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PICCOLO MOMENTO DI FEDE SETTIMANALE

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Messaggio  Toto Bruno Sab 25 Gen - 21:45

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Buona Domenica a tutti.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 2 Feb - 9:07

IL SECONDO COMANDAMENTO

« Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio » (Es 20,7).89

« Fu detto agli antichi: "Non spergiurare" [...]. Ma io vi dico: Non giurate affatto » (Mt 5,33-34).

I. Il nome del Signore è santo

2142 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Come il primo comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in particolare il nostro uso della parola a proposito delle cose sante.

2143 Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una singolare, che è la rivelazione del nome di Dio, che egli svela a coloro che credono in lui; egli si rivela ad essi nel suo mistero personale. Il dono del nome appartiene all'ordine della confidenza e dell'intimità. « Il nome del Signore è santo ». Per questo l'uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un silenzio di adorazione piena d'amore.90 Non lo inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo.91

2144 Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso mistero e a tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù della religione:

« Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no? [...] Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono i sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che egli è presente ».92

2145 Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria fede senza cedere alla paura.93 L'atto della predicazione e l'atto della catechesi devono essere compenetrati di adorazione e di rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

2146 Il secondo comandamento proibisce l'abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi.

2147 Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l'onore, la fedeltà, la veracità e l'autorità divine. Esse devono essere mantenute, per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio e, in qualche modo, a fare di Dio un bugiardo.94

2148 La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro « che bestemmiano il bel nome [di Gesù] che è stato invocato » sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.

La bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per sua natura è un peccato grave.95

2149 Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo comandamento proibisce anche l'uso magico del nome divino:

« Il nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla sua grandezza e alla sua maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina con venerazione e con il timore di offenderlo ».96

II. Il nome di Dio pronunciato invano

2150 Il secondo comandamento proibisce il falso giuramento. Fare promessa solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma. È invocare la veracità divina a garanzia della propria veracità. Il giuramento impegna il nome del Signore. « Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome » (Dt 6,13).

2151 Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e Signore, Dio è la norma di ogni verità. La parola umana è in accordo con Dio oppure in opposizione a lui che è la stessa verità. Quando il giuramento è veridico e legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la verità di Dio. Il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una menzogna.

2152 È spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con l'intenzione di non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento, non vi si attiene. Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto verso il Signore di ogni parola. Impegnarsi con giuramento a compiere un'opera cattiva è contrario alla santità del nome divino.

2153 Gesù ha esposto il secondo comandamento nel discorso della montagna: « Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti!". Ma io vi dico: non giurate affatto [...]. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno » (Mt 5,33-34.37).97 Gesù insegna che ogni giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione.

2154 Seguendo san Paolo,98 la Tradizione della Chiesa ha inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché viene fatto per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un tribunale). « Il giuramento, ossia l'invocazione del nome di Dio a testimonianza della verità, non può essere prestato se non secondo verità, prudenza e giustizia ».99

2155 La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per cose futili e che non si presti giuramento in quelle circostanze in cui esso potrebbe essere interpretato come un'approvazione del potere da cui ingiustamente venisse richiesto. Quando il giuramento è esigito da autorità civili illegittime, può essere rifiutato. Deve esserlo allorché è richiesto per fini contrari alla dignità delle persone o alla comunione ecclesiale.

III. Il nome cristiano

2156 Il sacramento del Battesimo è conferito « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt 28,19). Nel Battesimo il nome del Signore santifica l'uomo e il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. Può essere il nome di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con esemplare fedeltà al suo Signore. Il patrocinio del santo offre un modello di carità ed assicura la sua intercessione. Il « nome di Battesimo » può anche esprimere un mistero cristiano o una virtù cristiana. « I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano ». 100

2157 Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il segno della croce, « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen ». Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà.

2158 Dio chiama ciascuno per nome. 101 Il nome di ogni uomo è sacro. Il nome è l'icona della persona. Esige il rispetto, come segno della dignità di colui che lo porta.

2159 Il nome ricevuto è un nome eterno. Nel Regno, il carattere misterioso ed unico di ogni persona segnata dal nome di Dio risplenderà in piena luce. « Al vincitore darò [...] una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve » (Ap 2,17). « Poi guardai ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo » (Ap 14,1).

In sintesi

2160 « O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! » (Sal 8,2).

2161 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Il nome del Signore è santo.

2162 Il secondo comandamento proibisce ogni uso sconveniente del nome di Dio. La bestemmia consiste nell'usare il nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e dei santi in un modo ingiurioso.

2163 Il falso giuramento chiama Dio come testimone di una menzogna. Lo spergiuro è una mancanza grave contro il Signore, sempre fedele alle sue promesse.

2164 « Non giurare né per il Creatore, né per la creatura, se non con verità, per necessità e con riverenza ». 102

2165 Nel Battesimo, il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. I genitori, i padrini e il parroco avranno cura che gli venga dato un nome cristiano. Essere sotto il patrocinio di un santo significa avere in lui un modello di carità e un sicuro intercessore.

2166 Il cristiano incomincia le sue preghiere e le sue azioni con il segno della croce « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen ».

2167 Dio chiama ciascuno per nome.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 9 Feb - 9:02

il terzo comandamento




Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;

ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio;

non farai alcun lavoro" (Es 20, 8-10).

Il giorno del Signore

Tutti i giorni sono del Signore, Dio tuttavia ha voluto riservarsene uno che fosse consacrato in modo speciale al suo culto e al suo servizio.

La domenica è il giorno di festa dei cristiani.

Al sabato degli Ebrei, gli Apostoli sostituirono la domenica, chiamata dai pagani il "giorno del sole", perché in quel giorno avvenne la Resurrezione di Gesù e a Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua, la discesa dello Spirito Santo.

L'obbligo della domenica

"La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di partecipare alla Messa … o nello stesso giorno della festa, o nel vespro del giorno precedente" (cfr. CCC 2180).

"Coloro che senza giustificati motivi non ottemperano a questo obbligo commettono peccato grave" (cfr. CCC 2181).

Giorno di grazia e di cessazione dal lavoro

La domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo.

Le necessità familiari o una grande utilità sociale costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del riposo domenicale" (cfr. CCC 2185).

Lo spirito della legge

La partecipazione alla Messa ci mette al riparo dalla colpa grave, ma ciò non basta per santificare pienamente il giorno del Signore;

occorre: accostarsi ai Sacramenti, fare opere di carità e di bene, dedicare più tempo alla propria famiglia, completare la propria istruzione religiosa, prendere parte alle attività sociali della propria Parrocchia, sollevare lo spirito con pie letture.

Il riposo festivo risponde ad un bisogno fisico, morale e sociale dell'uomo.

Serve a recuperare le forze dell'organismo, ad elevare la nostra anima e la nostra vita e a consolidare la famiglia nell'armonia e nell'affetto.

IL RIPOSO FESTIVO

Il riposo festivo non è fine a se stesso, ma è il presupposto necessario perché l'uomo possa attendere con piena libertà, nel giorno del Signore, ai suoi particolari doveri religiosi.

Santificare le domeniche e i giorni di festa, esige un serio impegno comune, perciò occorre:

- che ogni cristiano eviti di imporre ad altri, senza necessità, attività che impediscano l'osservanza del giorno del Signore.

- Sono permesse, secondo i costumi, alcune attività, quali:

sport, ristoranti, servizi pubblici sociali …, senza che precludano e impediscano tuttavia un sufficiente tempo di libertà.

- Che ogni cristiano eviti eccessi e violenze cui danno luogo talvolta i diversivi di massa.

- I pubblici poteri dovranno vigilare per assicurare ai fedeli un tempo da destinare al riposo e al culto divino.

- I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti.

Gesù ci ha dato l'esempio perché anche noi onoriamo il Padre come ha fatto lui.

San Paolo ci esorta a splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita (Fil 2, 13-16).
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 16 Feb - 9:14

PER TUTTE LE PERSONE RICCHE DI PAZIENZA.

IL QUARTO COMANDAMENTO

   « Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio » (Es 20,12).

   « Stava loro sottomesso » (Lc 2,51).

   Lo stesso Signore Gesù ha ricordato l'importanza di questo « comandamento di Dio ». 136 L'Apostolo insegna: « Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra » (Ef 6,1-3). 137

2197 Il quarto comandamento apre la seconda tavola della Legge. Indica l'ordine della carità. Dio ha voluto che, dopo lui, onoriamo i nostri genitori ai quali dobbiamo la vita e che ci hanno trasmesso la conoscenza di Dio. Siamo tenuti ad onorare e rispettare tutti coloro che Dio, per il nostro bene, ha rivestito della sua autorità.

2198 Questo comandamento è espresso nella forma positiva di un dovere da compiere. Annunzia i comandamenti successivi, concernenti un rispetto particolare della vita, del matrimonio, dei beni terreni, della parola. Costituisce uno dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa.

2199 Il quarto comandamento si rivolge espressamente ai figli in ordine alle loro relazioni con il padre e con la madre, essendo questa relazione la più universale. Concerne parimenti i rapporti di parentela con i membri del gruppo familiare. Chiede di tributare onore, affetto e riconoscenza ai nonni e agli antenati. Si estende infine ai doveri degli alunni nei confronti degli insegnanti, dei dipendenti nei confronti dei datori di lavoro, dei subordinati nei confronti dei loro superiori, dei cittadini verso la loro patria, verso i pubblici amministratori e i governanti.

Questo comandamento implica e sottintende i doveri dei genitori, tutori, docenti, capi, magistrati, governanti, di tutti coloro che esercitano un'autorità su altri o su una comunità di persone.

2200 L'osservanza del quarto comandamento comporta una ricompensa: « Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio » (Es 20,12). 138 Il rispetto di questo comandamento procura, insieme con i frutti spirituali, frutti temporali di pace e di prosperità. Al contrario, la trasgressione di questo comandamento arreca gravi danni alle comunità e alle persone umane.

I. La famiglia nel piano di Dio

Natura della famiglia

2201 La comunità coniugale è fondata sul consenso degli sposi. Il matrimonio e la famiglia sono ordinati al bene degli sposi e alla procreazione ed educazione dei figli. L'amore degli sposi e la generazione dei figli stabiliscono tra i membri di una medesima famiglia relazioni personali e responsabilità primarie.

2202 Un uomo e una donna uniti in matrimonio formano insieme con i loro figli una famiglia. Questa istituzione precede qualsiasi riconoscimento da parte della pubblica autorità; si impone da sé. La si considererà come il normale riferimento, in funzione del quale devono essere valutate le diverse forme di parentela.

2203 Creando l'uomo e la donna, Dio ha istituito la famiglia umana e l'ha dotata della sua costituzione fondamentale. I suoi membri sono persone uguali in dignità. Per il bene comune dei suoi membri e della società, la famiglia comporta una diversità di responsabilità, di diritti e di doveri.

La famiglia cristiana

2204 « La famiglia cristiana offre una rivelazione e una realizzazione specifica della comunione ecclesiale; anche per questo motivo, può e deve essere chiamata "Chiesa domestica" ». 139 Essa è una comunità di fede, di speranza e di carità; nella Chiesa riveste una singolare importanza come è evidente nel Nuovo Testamento. 140

2205 La famiglia cristiana è una comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività procreatrice ed educativa è il riflesso dell'opera creatrice del Padre. La famiglia è chiamata a condividere la preghiera e il sacrificio di Cristo. La preghiera quotidiana e la lettura della Parola di Dio corroborano in essa la carità. La famiglia cristiana è evangelizzatrice e missionaria.

2206 Le relazioni in seno alla famiglia comportano un'affinità di sentimenti, di affetti e di interessi, che nasce soprattutto dal reciproco rispetto delle persone. La famiglia è una comunità privilegiata chiamata a realizzare un'amorevole apertura di animo tra i coniugi e una continua collaborazione tra i genitori nell'educazione dei figli. 141

II. La famiglia e la società

2207 La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l'uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell'amore e nel dono della vita. L'autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell'ambito della società. La famiglia è la comunità nella quale, fin dall'infanzia, si possono apprendere i valori morali, si può incominciare ad onorare Dio e a fare buon uso della libertà. La vita di famiglia è un'iniziazione alla vita nella società.

2208 La famiglia deve vivere in modo che i suoi membri si aprano all'attenzione e all'impegno in favore dei giovani e degli anziani, delle persone malate o handicappate e dei poveri. Numerose sono le famiglie che, in certi momenti, non hanno la possibilità di dare tale aiuto. Tocca allora ad altre persone, ad altre famiglie e, sussidiariamente, alla società provvedere ai bisogni di costoro: « Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo » (Gc 1,27).

2209 La famiglia deve essere aiutata e difesa con appropriate misure sociali. Là dove le famiglie non sono in grado di adempiere alle loro funzioni, gli altri corpi sociali hanno il dovere di aiutarle e di sostenere l'istituto familiare. In base al principio di sussidiarietà, le comunità più grandi si guarderanno dall'usurpare le loro prerogative o di ingerirsi nella loro vita.

2210 L'importanza della famiglia per la vita e il benessere della società, 142 comporta per la società stessa una particolare responsabilità nel sostenere e consolidare il matrimonio e la famiglia. Il potere civile consideri « come un sacro dovere rispettare, proteggere e favorire la loro vera natura, la moralità pubblica e la prosperità domestica ». 143

2211 La comunità politica ha il dovere di onorare la famiglia, di assisterla, e di assicurarle in particolare:

— la libertà di costituirsi, di procreare figli e di educarli secondo le proprie convinzioni morali e religiose;

— la tutela della stabilità del vincolo coniugale e dell'istituto familiare;

— la libertà di professare la propria fede, di trasmetterla, di educare in essa i figli, avvalendosi dei mezzi e delle istituzioni necessarie;

— il diritto alla proprietà privata, la libertà di intraprendere un'attività, di procurarsi un lavoro e una casa, il diritto di emigrare;

— il diritto, in conformità alle istituzioni dei paesi, alle cure mediche, all'assistenza per le persone anziane, agli assegni familiari;

— la difesa della sicurezza e della salute, particolarmente in ordine a pericoli come la droga, la pornografia, l'alcolismo, ecc.;

— la libertà di formare associazioni con altre famiglie e di essere in tal modo rappresentate presso le autorità civili. 144

2212 Il quarto comandamento illumina le altre relazioni nella società. Nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle vediamo i figli dei nostri genitori; nei nostri cugini, i discendenti dei nostri avi; nei nostri concittadini, i figli della nostra patria; nei battezzati, i figli della Chiesa, nostra Madre; in ogni persona umana, un figlio o una figlia di colui che vuole essere chiamato « Padre nostro ». Conseguentemente, le nostre relazioni con il prossimo sono di carattere personale. Il prossimo non è un « individuo » della collettività umana; è « qualcuno » che, per le sue origini conosciute, merita un'attenzione e un rispetto singolari.

2213 Le comunità umane sono composte di persone. Il loro buon governo non si limita alla garanzia dei diritti e all'osservanza dei doveri, come pure al rispetto dei contratti. Giuste relazioni tra imprenditori e dipendenti, governanti e cittadini presuppongono la naturale benevolenza conforme alla dignità delle persone umane, cui stanno a cuore la giustizia e la fraternità.

III. Doveri dei membri della famiglia

Doveri dei figli

2214 La paternità divina è la sorgente della paternità umana; 145 è la paternità divina che fonda l'onore dovuto ai genitori. Il rispetto dei figli, minorenni o adulti, per il proprio padre e la propria madre 146 si nutre dell'affetto naturale nato dal vincolo che li unisce. Questo rispetto è richiesto dal comando divino. 147

2215 Il rispetto per i genitori (pietà filiale) è fatto di riconoscenza verso coloro che, con il dono della vita, il loro amore e il loro lavoro, hanno messo al mondo i loro figli e hanno loro permesso di crescere in età, in sapienza e in grazia. « Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato; che darai loro in cambio di quanto ti hanno dato? » (Sir 7,27-28).

2216 Il rispetto filiale si manifesta anche attraverso la vera docilità e la vera obbedienza: « Figlio mio, osserva il comando di tuo padre, non disprezzare l'insegnamento di tua madre [...]. Quando cammini ti guideranno; quando riposi, veglieranno su di te; quando ti desti, ti parleranno » (Prv 6,20-22). « Il figlio saggio ama la disciplina, lo spavaldo non ascolta il rimprovero » (Prv 13,1).

2217 Per tutto il tempo in cui vive nella casa dei suoi genitori, il figlio deve obbedire ad ogni loro richiesta motivata dal suo proprio bene o da quello della famiglia. « Figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore » (Col 3,20). 148 I figli devono anche obbedire agli ordini ragionevoli dei loro educatori e di tutti coloro ai quali i genitori li hanno affidati. Ma se in coscienza sono persuasi che è moralmente riprovevole obbedire a un dato ordine, non vi obbediscano.

Crescendo, i figli continueranno a rispettare i loro genitori. Preverranno i loro desideri, chiederanno spesso i loro consigli, accetteranno i loro giustificati ammonimenti. Con l'emancipazione cessa l'obbedienza dei figli verso i genitori, ma non il rispetto che ad essi è sempre dovuto. Questo trova, in realtà, la sua radice nel timore di Dio, uno dei doni dello Spirito Santo.

2218 Il quarto comandamento ricorda ai figli divenuti adulti le loro responsabilità verso i genitori. Nella misura in cui possono, devono dare loro l'aiuto materiale e morale, negli anni della vecchiaia e in tempo di malattia, di solitudine o di indigenza. Gesù richiama questo dovere di riconoscenza. 149

   « Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati, chi riverisce la madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli, sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce suo padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre » (Sir 3,2-6).

   « Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo mentre sei nel pieno del vigore. [...] Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore » (Sir 3,12-13.16).

2219 Il rispetto filiale favorisce l'armonia di tutta la vita familiare; concerne anche le relazioni tra fratelli e sorelle. Il rispetto verso i genitori si riflette su tutto l'ambiente familiare. « Corona dei vecchi sono i figli dei figli » (Prv 17,6). « Con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza » sopportatevi « a vicenda con amore » (Ef 4,2).

2220 I cristiani devono una speciale gratitudine a coloro dai quali hanno ricevuto il dono della fede, la grazia del Battesimo e la vita nella Chiesa. Può trattarsi dei genitori, di altri membri della famiglia, dei nonni, di Pastori, di catechisti, di altri maestri o amici. « Mi ricordo della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunice, e ora, ne sono certo, anche in te » (2 Tm 1,5).

Doveri dei genitori

2221 La fecondità dell'amore coniugale non si riduce alla sola procreazione dei figli, ma deve estendersi alla loro educazione morale e alla loro formazione spirituale. La funzione educativa dei genitori « è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita ». 150 Il diritto e il dovere dell'educazione sono, per i genitori, primari e inalienabili. 151

2222 I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio e rispettarli come persone umane. Educano i loro figli ad osservare la Legge di Dio mostrandosi essi stessi obbedienti alla volontà del Padre dei cieli.

2223 I genitori sono i primi responsabili dell'educazione dei loro figli. Testimoniano tale responsabilità innanzi tutto con la creazione di una famiglia, in cui la tenerezza, il perdono, il rispetto, la fedeltà e il servizio disinteressato rappresentano la norma. Il focolare domestico è un luogo particolarmente adatto per educare alle virtù. Questa educazione richiede che si impari l'abnegazione, un retto modo di giudicare, la padronanza di sé, condizioni di ogni vera libertà. I genitori insegneranno ai figli a subordinare « le dimensioni materiali e istintive a quelle interiori e spirituali ». 152 I genitori hanno anche la grave responsabilità di dare ai loro figli buoni esempi. Riconoscendo con franchezza davanti ai figli le proprie mancanze, saranno meglio in grado di guidarli e di correggerli:

   « Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta [...]. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio » (Sir 30,1-2). « E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore » (Ef 6,4).

2224 Il focolare domestico costituisce l'ambito naturale per l'iniziazione dell'essere umano alla solidarietà e alle responsabilità comunitarie. I genitori insegneranno ai figli a guardarsi dai compromessi e dagli sbandamenti che minacciano le società umane.

2225 Dalla grazia del sacramento del Matrimonio i genitori hanno ricevuto la responsabilità e il privilegio di evangelizzare i loro figli. Li inizieranno, fin dai primi anni di vita, ai misteri della fede dei quali essi, per i figli, sono « i primi annunziatori ». 153 Li faranno partecipare alla vita della Chiesa fin dalla più tenera età. I modi di vivere in famiglia possono sviluppare le disposizioni affettive che, per l'intera esistenza, costituiscono autentiche condizioni preliminari e sostegni di una fede viva.

2226 L'educazione alla fede da parte dei genitori deve incominciare fin dalla più tenera età dei figli. Essa si realizza già allorché i membri della famiglia si aiutano a crescere nella fede attraverso la testimonianza di una vita cristiana vissuta in conformità al Vangelo. La catechesi familiare precede, accompagna e arricchisce le altre forme d'insegnamento della fede. I genitori hanno la missione di insegnare ai figli a pregare e a scoprire la loro vocazione di figli di Dio. 154 La parrocchia è la comunità eucaristica e il cuore della vita liturgica delle famiglie cristiane; è un luogo privilegiato della catechesi dei figli e dei genitori.

2227 I figli, a loro volta, contribuiscono alla crescita dei propri genitori nella santità. 155 Tutti e ciascuno, con generosità e senza mai stancarsi, si concederanno vicendevolmente il perdono che le offese, i litigi, le ingiustizie e le infedeltà esigono. L'affetto reciproco lo suggerisce. La carità di Cristo lo richiede. 156

2228 Durante l'infanzia, il rispetto e l'affetto dei genitori si esprimono innanzi tutto nella cura e nell'attenzione prodigate nell'allevare i propri figli, e nel provvedere ai loro bisogni materiali e spirituali. Durante la loro crescita, il medesimo rispetto e la medesima dedizione portano i genitori ad educare i figli al retto uso della ragione e della libertà.

2229 Primi responsabili dell'educazione dei figli, i genitori hanno il diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie convinzioni. È, questo, un diritto fondamentale. I genitori, nei limiti del possibile, hanno il dovere di scegliere le scuole che li possano aiutare nel migliore dei modi nel loro compito di educatori cristiani. 157 I pubblici poteri hanno il dovere di garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete per poterlo esercitare.

2230 Diventando adulti, i figli hanno il dovere e il diritto di scegliere la propria professione e il proprio stato di vita. Assumeranno queste nuove responsabilità in un rapporto confidente con i loro genitori, ai quali chiederanno e dai quali riceveranno volentieri avvertimenti e consigli. I genitori avranno cura di non costringere i figli né quanto alla scelta della professione, né quanto a quella del coniuge. Questo dovere di discrezione non impedisce loro, anzi tutt'altro, di aiutarli con sapienti consigli, particolarmente quando progettano di fondare una famiglia.

2231 Alcuni non si sposano, al fine di prendersi cura dei propri genitori, o dei propri fratelli e sorelle, di dedicarsi più esclusivamente ad una professione o per altri validi motivi. Costoro possono grandemente contribuire al bene della famiglia umana.

IV. La famiglia e il Regno

2232 I vincoli familiari, sebbene importanti, non sono però assoluti. Quanto più il figlio cresce verso la propria maturità e autonomia umane e spirituali, tanto più la sua specifica vocazione, che viene da Dio, si fa chiara e forte. I genitori rispetteranno tale chiamata e favoriranno la risposta dei propri figli a seguirla. È necessario convincersi che la prima vocazione del cristiano è di seguire Gesù: 158 « Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me » (Mt 10,37).

2233 Diventare discepolo di Gesù significa accettare l'invito ad appartenere alla famiglia di Dio, a condurre una vita conforme al suo modo di vivere: « Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre » (Mt 12,50).

I genitori accoglieranno e rispetteranno con gioia e rendimento di grazie la chiamata rivolta dal Signore a qualcuno dei loro figli a seguirlo nella verginità per il Regno, nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale.

I genitori accoglieranno e rispetteranno con gioia e rendimento di grazie la chiamata rivolta dal Signore a uno dei figli a seguirlo nella verginità per il Regno, nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale.

V. Le autorità nella società civile

2234 Il quarto comandamento di Dio ci prescrive anche di onorare tutti coloro che, per il nostro bene, hanno ricevuto da Dio un'autorità nella società. Mette in luce tanto i doveri di chi esercita l'autorità quanto quelli di chi ne beneficia.

Doveri delle autorità civili

2235 Coloro che sono rivestiti d'autorità, la devono esercitare come un servizio. « Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo » (Mt 20,26). L'esercizio di un'autorità è moralmente delimitato dalla sua origine divina, dalla sua natura ragionevole e dal suo oggetto specifico. Nessuno può comandare o istituire ciò che è contrario alla dignità delle persone e alla legge naturale.

2236 L'esercizio dell'autorità mira a rendere evidente una giusta gerarchia dei valori al fine di facilitare l'esercizio della libertà e della responsabilità di tutti. I superiori attuino con saggezza la giustizia distributiva, tenendo conto dei bisogni e della collaborazione di ciascuno, e in vista della concordia e della pace. Abbiano cura che le norme e le disposizioni che danno non inducano in tentazione opponendo l'interesse personale a quello della comunità. 159

2237 I poteri politici sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali della persona umana. Cercheranno di attuare con umanità la giustizia, nel rispetto del diritto di ciascuno, soprattutto delle famiglie e dei diseredati.

I diritti politici connessi con la cittadinanza possono e devono essere concessi secondo le esigenze del bene comune. Non possono essere sospesi dai pubblici poteri senza un motivo legittimo e proporzionato. L'esercizio dei diritti politici è finalizzato al bene comune della nazione e della comunità umana.

Doveri dei cittadini

2238 Coloro che sono sottomessi all'autorità considereranno i loro superiori come rappresentanti di Dio, che li ha costituiti ministri dei suoi doni: 160 « State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore [...]. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio » (1 Pt 2,13.16). La leale collaborazione dei cittadini comporta il diritto, talvolta il dovere, di fare le giuste rimostranze su ciò che a loro sembra nuocere alla dignità delle persone e al bene della comunità.

2239 È dovere dei cittadini dare il proprio apporto ai poteri civili per il bene della società in spirito di verità, di giustizia, di solidarietà e di libertà. L'amore e il servizio della patria derivano dal dovere di riconoscenza e dall'ordine della carità. La sottomissione alle autorità legittime e il servizio del bene comune esigono dai cittadini che essi compiano la loro funzione nella vita della comunità politica.

2240 La sottomissione all'autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l'esigenza morale del versamento delle imposte, dell'esercizio del diritto di voto, della difesa del paese:

   « Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto » (Rm 13,7).

   I cristiani « abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come stranieri [...]. Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi [...]. Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è lecito disertarlo ». 161

L'Apostolo ci esorta ad elevare preghiere ed azioni di grazie « per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità » (1 Tm 2,2).

2241 Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l'ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono.

Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L'immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.

2242 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. « Rendete [...] a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio » (Mt 22,21). « Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini » (At 5,29).

   « Dove i cittadini sono oppressi da un'autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non ricusino quelle cose che sono oggettivamente richieste dal bene comune; sia però loro lecito difendere i diritti propri e dei propri concittadini contro gli abusi di questa autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale ed evangelica ». 162

2243 La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori.

La comunità politica e la Chiesa

2244 Ogni istituzione si ispira, anche implicitamente, ad una visione dell'uomo e del suo destino, da cui deriva i propri criteri di giudizio, la propria gerarchia dei valori, la propria linea di condotta. Nella maggior parte delle società le istituzioni fanno riferimento ad una certa preminenza dell'uomo sulle cose. Solo la Religione divinamente rivelata ha chiaramente riconosciuto in Dio, Creatore e Redentore, l'origine e il destino dell'uomo. La Chiesa invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro decisioni a tale ispirazione della verità su Dio e sull'uomo.

   Le società che ignorano questa ispirazione o la rifiutano in nome della loro indipendenza in rapporto a Dio, sono spinte a cercare in se stesse oppure a mutuare da una ideologia i loro riferimenti e il loro fine e, non tollerando che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male, si arrogano sull'uomo e sul suo destino un potere assoluto, dichiarato o non apertamente ammesso, come dimostra la storia. 163

2245 « La Chiesa, che, a motivo della sua missione e della sua competenza, non si confonde in alcun modo con la comunità politica, [...] è ad un tempo il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana ». 164 La Chiesa « rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini ». 165

2246 È proprio della missione della Chiesa « dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E questo farà utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni ». 166

In sintesi

2247 « Onora tuo padre e tua madre » (Dt 5,16; Mc 7,10).

2248 Secondo il quarto comandamento, Dio ha voluto che, dopo lui, onoriamo i nostri genitori e coloro che egli, per il nostro bene, ha rivestito d'autorità.

2249 La comunità coniugale è stabilita sull'alleanza e sul consenso degli sposi. Il matrimonio e la famiglia sono ordinati al bene dei coniugi, alla procreazione e all'educazione dei figli.

2250 « La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare ». 167

2251 I figli devono ai loro genitori rispetto, riconoscenza, giusta obbedienza e aiuto. Il rispetto filiale favorisce l'armonia di tutta la vita familiare.

2252 I genitori sono i primi responsabili dell'educazione dei propri figli alla fede, alla preghiera e a tutte le virtù. Hanno il dovere di provvedere, nella misura del possibile, ai bisogni materiali e spirituali dei propri figli.

2253 I genitori devono rispettare e favorire l'educazione dei propri figli. Ricorderanno a se stessi ed insegneranno ai figli che la prima vocazione del cristiano è seguire Gesù.

2254 La pubblica autorità è tenuta a rispettare i diritti fondamentali della persona umana e le condizioni per l'esercizio della sua libertà.

2255 È dovere dei cittadini collaborare con i poteri civili all'edificazione della società in uno spirito di verità, di giustizia, di solidarietà e di libertà.

2256 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti si oppongono alle esigenze dell'ordine morale. « Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini » (At 5,29).

2257 Ogni società ispira i propri giudizi e la propria condotta ad una visione dell'uomo e del suo destino. Al di fuori della luce del Vangelo su Dio e sull'uomo, è facile che le società diventino « totalitarie ».
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 23 Feb - 8:18

5° comandamento: Non uccidere
Non uccidere (Es 20,13). «Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio". Ma io vi dico: Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,21-22).

Dal catechismo della Chiesa Cattolica

2258 - «La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente.

2268 - Il quinto comandamento proibisce come gravemente peccaminoso l’omicidio diretto e volontario. L’omicida e coloro che volontariamente cooperano all’uccisione commettono un peccato che grida vendetta al cielo. L’infanticidio, il fratricidio, il parricidio e l’uccisione del coniuge sono crimini particolarmente gravi a motivo dei vincoli naturali che infrangono. Preoccupazioni eugenetiche o di igiene pubblica non possono giustificare nessuna uccisione, fosse anche comandata dai pubblici poteri.

L’aborto diretto, voluto come fine o come mezzo, nonchè la cooperazione ad esso, pena la scomunica,perchè l’essere umano, fin dal suo concepimento, va rispettato e protetto in modo assoluto nella sua integrità.
L’eutanasia diretta, che consiste nel mettere fine, con un atto o l’omissione di un’azione dovuta, alla vita dipersone handicappate, ammalate, o prossime alla morte.
Il suicidio e la cooperazione volontaria ad esso, in quanto è un’offesa grave al giusto amore di Dio, di sé e del prossimo.

Il rispetto della dignità delle persone.

IL RISPETTO DELL’ANIMA ALTRUI: LO SCANDALO

2284 - Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello alla morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza.

IL RISPETTO DELLA SALUTE

2288 - La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene comune. La cura della salute dei cittadini richiede l’apporto della società perché si abbiano condizioni d’esistenza che permettano di crescere e di raggiungere la maturità: cibo e indumenti, abitazione, assistenza sanitaria, insegnamento di base, lavoro, previdenza sociale.

Si devono evitare ogni sorta di eccessi, l’abuso dei cibi, dell’alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli.
- L’uso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita umana. Esclusi i casi di prescrizioni strettamente terapeutiche, costituisce una colpa grave. La produzione clandestina di droghe e il loro traffico sono pratiche scandalose; costituiscono una cooperazione diretta, poiché spingono a pratiche gravemente contrarie alla legge morale.

Rientrano nei divieti del 5° comandamento anche le sperimentazioni scietifiche, quando queste non sono moralmente legittime e fanno correre rischi sproporzionati o evitabili per la vita o l’integrità fisica e psichica dei soggetti.
Il trapianto di organi è accettabile con il consenso del donatore e senza rischi per lui. Così come la donazione degli organi dopo la morte che deve essere pienamente accertata.

Deve essere rispettata anche l’integrità corporea e quindi da ritenersi peccato i rapimenti, i sequestri, il terrorismo, la tortura, le violenze ecc…

Sono da rispettare i morti, in quanto i loro corpi devono essere trattati con carità nella fede e nella speranza della risurrezione.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 16 Mar - 8:54

6° comandamento: Non commettere atti impuri
Non commettere adulterio (Es 20,14)). Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28).

Il libro dell’Esodo 20,14 così cita:”Non commettere adulterio” e usa questa espressione per indicare il peccato degli atti impuri, perché l’adulterio è la forma più grave di impurità sessuale.

Gli atti impuri sono tutte quelle abitudini sbagliate che portano l’uomo a compiere azioni che non sono dettate dall’amore inteso come dono di se e rispetto dell’altro ma, sopratutto da desideri carnali legati al soddisfacimento di un piacere venereo.

L’uomo e la donna creati ad immagine di Dio, devono avere rispetto per il proprio corpo e per quello dell’altro. Essi devono vivere con castità l’amore che Dio gli ha dato, qui intesa la castità, come positiva integrazione della sessualità nella persona.

L’articolo del catechismo della Chiesa Cattolica n° 2339 così cita: - La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice. «La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma l’uomo ottiene tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù delle passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti».

La sessualità diventa umana quando è integrata in modo giusto nella relazione da persona a persona, diviene peccato quando si cede al vizio della lussuria, della masturbazione,della fornicazione, e ancora con la pornografia, la prostituzione, lo stupro.

2357 - L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2359 - Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.

Altri peccati legati al 6° comandamento sono quelli che riguardano la vita di due sposi, e sono
-L’adulterio questa parola designa l’infedeltà coniugale. Quando due persone, di cui almeno una è sposata, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche episodica, commettono un adulterio.
Il divorzio Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente: «Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un’altra donna, é lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui é adultera, perché ha attirato a sé il marito di un’altra».
- L’incesto consiste in relazioni intime tra parenti o affini, in un grado che impedisce tra loro il matrimonio. San Paolo stigmatizza questa colpa particolarmente grave: «Si sente da per tutto parlare d’immoralità tra voi (…) al punto che uno convive con la moglie di suo padre! […] Nel nome del Signore nostro Gesù, (…) questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne…» (I Cor 5,1.3-5). L’incesto corrompe le relazioni familiari e segna un regresso verso l’animalità.

2389 - Si possono collegare all’incesto gli abusi sessuali commessi da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia. In tal caso la colpa è, al tempo stesso, uno scandaloso attentato all’integrità fisica e morale dei ragazzi, i quali ne resteranno segnati per tutta la loro vita, ed è altresì una violazione della responsabilità educativa.

La poligamia che è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa, «infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo».
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 23 Mar - 9:02


IL SETTIMO COMANDAMENTO

« Non rubare » (Es 20,15). 281

« Non rubare » (Mt 19,18).

2401 Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo.

I. La destinazione universale e la proprietà privata dei beni

2402 All'inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell'umanità, affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. 282 I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata dalla violenza. L'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra gli uomini.

2403 Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio.

2404 « L'uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri ». 283 La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti.

2405 I beni di produzione – materiali o immateriali –, come terreni o stabilimenti, competenze o arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a vantaggio del maggior numero di persone. Coloro che possiedono beni d'uso e di consumo devono usarne con moderazione, riservando la parte migliore all'ospite, al malato, al povero.

2406 L'autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune. 284

II. Il rispetto delle persone e dei loro beni

2407 In materia economica, il rispetto della dignità umana esige la pratica della virtù della temperanza, per moderare l'attaccamento ai beni di questo mondo; della virtù della giustizia, per rispettare i diritti del prossimo e dargli ciò che gli è dovuto; e della solidarietà, seguendo la regola aurea e secondo la liberalità del Signore il quale, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà. 285

Il rispetto dei beni altrui

2408 Il settimo comandamento proibisce il furto, cioè l'usurpazione del bene altrui contro la ragionevole volontà del proprietario. Non c'è furto se il consenso può essere presunto, o se il rifiuto è contrario alla ragione e alla destinazione universale dei beni. È questo il caso della necessità urgente ed evidente, in cui l'unico mezzo per soddisfare bisogni immediati ed essenziali (nutrimento, rifugio, indumenti...) è di disporre e di usare beni altrui. 286

2409 Ogni modo di prendere e di tenere ingiustamente i beni del prossimo, anche se non è in contrasto con le disposizioni della legge civile, è contrario al settimo comandamento. Così, tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti smarriti; commettere frode nel commercio; 287 pagare salari ingiusti; 288 alzare i prezzi, speculando sull'ignoranza o sul bisogno altrui. 289

Sono pure moralmente illeciti: la speculazione, con la quale si agisce per far artificiosamente variare la stima dei beni, in vista di trarne un vantaggio a danno di altri; la corruzione, con la quale si svia il giudizio di coloro che devono prendere decisioni in base al diritto; l'appropriazione e l'uso privato dei beni sociali di un'impresa; i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero. Arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche è contrario alla legge morale ed esige il risarcimento.

2410 Le promesse devono essere mantenute, e i contratti rigorosamente osservati nella misura in cui l'impegno preso è moralmente giusto. Una parte rilevante della vita economica e sociale dipende dal valore dei contratti tra le persone fisiche o morali. È il caso dei contratti commerciali di vendita o di acquisto, dei contratti d'affitto o di lavoro. Ogni contratto deve essere stipulato e applicato in buona fede.

2411 I contratti sottostanno alla giustizia commutativa, che regola gli scambi tra le persone e tra le istituzioni nel pieno rispetto dei loro diritti. La giustizia commutativa obbliga strettamente; esige la salvaguardia dei diritti di proprietà, il pagamento dei debiti e l'adempimento delle obbligazioni liberamente contrattate. Senza la giustizia commutativa, qualsiasi altra forma di giustizia è impossibile.

Va distinta la giustizia commutativa dalla giustizia legale, che riguarda ciò che il cittadino deve equamente alla comunità, e dalla giustizia distributiva, che regola ciò che la comunità deve ai cittadini in proporzione alle loro prestazioni e ai loro bisogni.

2412 In forza della giustizia commutativa, la riparazione dell'ingiustizia commessa esige la restituzione al proprietario di ciò di cui è stato derubato:

Gesù fa l'elogio di Zaccheo per il suo proposito: « Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto » (Lc 19,Cool. Coloro che, direttamente o indirettamente, si sono appropriati di un bene altrui, sono tenuti a restituirlo, o, se la cosa non c'è più, a rendere l'equivalente in natura o in denaro, come anche a corrispondere i frutti e i profitti che sarebbero stati legittimamente ricavati dal proprietario. Allo stesso modo hanno l'obbligo della restituzione, in proporzione alla loro responsabilità o al vantaggio avutone, tutti coloro che in qualche modo hanno preso parte al furto, oppure ne hanno approfittato con cognizione di causa; per esempio, coloro che l'avessero ordinato, o appoggiato, o avessero ricettato la refurtiva.

2413 I giochi d'azzardo (gioco delle carte, ecc.) o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù. Truccare le scommesse o barare nei giochi costituisce una mancanza grave, a meno che il danno causato sia tanto lieve da non poter essere ragionevolmente considerato significativo da parte di chi lo subisce.

2414 Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come se fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone cristiano di trattare il suo schiavo cristiano « non più come schiavo, ma [...] come un fratello carissimo [...], come uomo, nel Signore » (Fm 16).

Il rispetto dell'integrità della creazione

2415 Il settimo comandamento esige il rispetto dell'integrità della creazione. Gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell'umanità passata, presente e futura. 290 L'uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell'universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all'uomo non è assoluta; deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell'integrità della creazione. 291

2416 Gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. 292 Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria. 293 Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d'Assisi o san Filippo Neri, trattassero gli animali.

2417 Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. 294 È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane.

2418 È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell'uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone.

III. La dottrina sociale della Chiesa

2419 « La rivelazione cristiana [...] ci guida a un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale ». 295 La Chiesa riceve dal Vangelo la piena rivelazione della verità dell'uomo. Quando compie la sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina.

2420 La Chiesa dà un giudizio morale, in materia economica e sociale, « quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime ». 296 Per ciò che attiene alla sfera della moralità, essa è investita di una missione distinta da quella delle autorità politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene comune in quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni socio-economiche.

2421 La dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della società, dello Stato e dell'autorità, le sue nuove forme di lavoro e di proprietà. Lo sviluppo della dottrina della Chiesa, in materia economica e sociale, attesta il valore permanente dell'insegnamento della Chiesa e, ad un tempo, il vero senso della sua Tradizione sempre viva e vitale. 297

2422 L'insegnamento sociale della Chiesa costituisce un corpo dottrinale, che si articola a mano a mano che la Chiesa, alla luce di tutta la parola rivelata da Cristo Gesù, con l'assistenza dello Spirito Santo, interpreta gli avvenimenti nel corso della storia. 298 Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli.

2423 La dottrina sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di giudizio, offre orientamenti per l'azione:

Ogni sistema secondo cui i rapporti sociali sarebbero completamente determinati dai fattori economici, è contrario alla natura della persona umana e dei suoi atti. 299

2424 Una teoria che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca di produrre i suoi effetti perversi. È una delle cause dei numerosi conflitti che turbano l'ordine sociale. 300

Un sistema che sacrifica « i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione » è contrario alla dignità dell'uomo. 301 Ogni pratica che riduce le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto, asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla diffusione dell'ateismo. « Non potete servire a Dio e a mammona » (Mt 6,24; Lc 16,13).

2425 La Chiesa ha rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi moderni, al « comunismo » o al « socialismo ». Peraltro essa ha pure rifiutato, nella pratica del « capitalismo », l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano. 302 La regolazione dell'economia mediante la sola pianificazione centralizzata perverte i legami sociali alla base; la sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché « esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato ». 303 È necessario favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune.

IV. L'attività economica e la giustizia sociale

2426 Lo sviluppo delle attività economiche e l'aumento della produzione sono destinati a soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la potenza; essa è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo nella sua integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi, l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio sull'uomo. 304

2427 Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra. 305 Il lavoro, quindi, è un dovere: « Chi non vuol lavorare, neppure mangi » (2 Ts 3,10). 306 Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo. Sopportando la penosa fatica 307 del lavoro in unione con Gesù, l'artigiano di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. 308 Il lavoro può essere un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.

2428 Nel lavoro la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne è l'autore e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro. 309

Ciascuno deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per quella dei suoi familiari, e per servire la comunità umana.

2429 Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune. 310

2430 La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano. 311 Si farà di tutto per comporre tali conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale: i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le organizzazioni sindacali, ed, eventualmente, i pubblici poteri.

2431 La responsabilità dello Stato. « L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. [...] Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni di cui si compone la società ». 312

2432 I responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni. 313 Hanno il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti. Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.

2433 L'accesso al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati. 314 In rapporto alle circostanze, la società deve da parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego. 315

2434 Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia. 316 Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. « Il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune ». 317 Non è sufficiente l'accordo tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario.

2435 Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune.

2436 È ingiusto non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle legittime autorità.

La disoccupazione, per carenza di lavoro, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua famiglia. 318

V. Giustizia e solidarietà tra le nazioni

2437 A livello internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da provocare un vero « fossato » tra le nazioni. 319 Da una parte vi sono coloro che possiedono e incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i debiti.

2438 Varie cause, di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi « alla questione sociale [...] una dimensione mondiale ». 320 Tra le nazioni, le cui politiche sono già interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa indispensabile allorché si tratta di bloccare « i meccanismi perversi » che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti. 321 A sistemi finanziari abusivi se non usurai, 322 a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, « ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte ». 323

2439 Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.

2440 L'aiuto diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali, causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi con i paesi meno sviluppati. 324 È necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione. 325 Questi principi vanno applicati in una maniera tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel terzo mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri.

2441 Alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e l'apertura alla trascendenza. 326
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 30 Mar - 8:33

OTTAVO COMANDAMENTO
"Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo" (Es. 20,16).

L’ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. La parola diventa falsa testimonianza quando procura danno agli altri, come nel caso dei due anziani del popolo designati giudici che accusarono ingiustamente la giovane e bella Susanna, che aveva rifiutato di acconsentire di soddisfare i loro desideri, incolpandola di essersi adagiata con un giovane. Il popolo credette ai due malvagi e Susanna fu condannata a morte. Dio però accorse in soccorso della giovane innocente attraverso l’intervento di Daniele, che riuscì a smascherare la menzogna dei due malvagi, i quali furono a loro volta condannati a morte, mentre Susanna fu salva (Dn 13). Il vizio della lingua è molto diffuso e questo è l’unico peccato che sembra estendersi a tutti gli uomini e dal quale derivano mali infiniti.

Quanto più falsa è la testimonianza contro il nostro prossimo, tanto più è maledetta dal Signore. La bugia intrisa di malignità è condannata in modo severo: "Sei cose odia il Signore, sette ne detesta: occhi alteri, lingua bugiarda, mani che versano sangue innocente, cuore che ordisce trame malvagie, piedi solleciti a correre al male; testimone bugiardo che diffonde menzogne, chi provoca risse in mezzo ai fratelli". "il perverso, uomo iniquo, va con la bocca distorta, ammicca con gli occhi, stropiccia i piedi e fa cenni con le dita. Cova propositi malvagi nel cuore, in ogni tempo suscita liti. Per questo improvvisa verrà la sua rovina, in un attimo crollerà senza rimedio" (Prv 6,12-19).

Dio non sopporta il bugiardo e il maldicente per la malvagità del peccatore. La menzogna come la bugia può distruggere la stima, l’innocenza e rovinare la vita di una persona. Chi agisce è preda dell’odio, dalla vendetta, dalla avidità oppure dall’invidia. Guai all'impostore che alla menzogna aggiunge la cattiveria! "Un testimone falso non rimarrà impunito, chi dice menzogne perirà" (Prv. 19,9). Dio vede, giudica, e prima o poi interviene: "il Signore ride dell'empio, perché vede arrivare il suo giorno" (Sal. 36,13).

Il buono non è mai avido, quindi non ha bisogno di mentire per ottenere ciò che vuole o per volere ciò che non ha. Se Dio ci ha fatto il dono della parola è per usarla a fin di bene e non per farne un uso di offesa con la falsità, la maldicenza, l’ipocrisia, lo spergiuro e l’inganno. "L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore" (Rm. 13,10).

In questo comandamento sono comprese due leggi: una che proibisce di dire falsa testimonianza; l'altra che comanda di pesare le nostre parole e le nostre azioni con la verità, eliminando ogni simulazione e menzogna.

La prima parte di questo comandamento proibisce innanzitutto la falsa testimonianza fatta in giudizio da chi ha giurato. In realtà il testimone giura nel nome di Dio prendendolo come garante della veridicità di quanto ha affermato, pur sapendo che Dio castigherà severamente i mentitori. "Io scatenerò la maledizione, dice il Signore degli eserciti, in modo che essa penetri nella casa del ladro e nella casa dello spergiuro riguardo al mio nome; rimarrà in quella casa e la consumerà insieme con le sue travi e le sue pietre" (Zc. 4-4).

Gesù ci esorta a non giurare, ma ad avere un solo linguaggio: "sì" o "no", ossia a non essere ambigui e ipocriti: "Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5,33-37). "Razza di vipere come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che sovrabbonda dal cuore. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive" (Mt 12,34). Perciò, se è necessario mantenere casta la lingua, ancora più importante è mantenere puro il cuore. Evitiamo dunque di essere falsi e ambigui, mostrandoci veri nelle parole e negli atti, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.

La bugia è da annoverarsi tra le false testimonianze, quand'anche si dica per falsa lode di qualcuno. Se ci sono anche le bugie buone, fatte a fin di bene per coprire un male, o per nascondere una verità che è bene tener segreta, per evitare un danno o per tranquillizzare una persona, tuttavia non bisogna farne un'abitudine, per non perdere fiducia e attendibilità. Come, infatti, si può credere a uno che racconta sempre bugie? La bugia è pur sempre un difetto ed è bene eliminarla il più possibile. Talora è meglio fare silenzio, perché dice il Signore: "Di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato" (Mt 12,36-37).

Da questo comandamento è proibita non solo la falsa testimonianza, ma anche l’abitudine di denigrare gli altri, molte sciagure provengono da questa peste. Il comandamento non solo vieta la falsa testimonianza, ma impone anche di dichiarare la verità. Chi nasconde la verità e chi dice menzogna, sono ambedue colpevoli; il primo perché non vuol giovare ad altri; il secondo perché desidera di nuocere. Nelle sacre Scritture il demonio è chiamato padre della menzogna: non essendo stato saldo nella verità, è menzognero e padre della menzogna.

Il danno principale della menzogna è che essa è quasi insanabile malattia dell'animo. Infatti, il peccato che si commette accusando qualcuno falsamente di una colpa o denigrando la fama e la stima del prossimo, non è rimesso se il calunniatore non dia soddisfazione dell'ingiuria a chi ha incriminato.

Chi dunque è in questo peccato, non può dubitare che sia condannato alle pene eterne dell'inferno. Né alcuno speri di poter ottenere perdono delle calunnie o della denigrazione fatta se prima non dia soddisfazione a colui, la cui dignità e fama egli ha denigrato in qualche modo, o pubblicamente in giudizio, o anche in adunanze private e familiari.

Pertanto tutti noi siamo chiamati alla sincerità e alla veracità nell'agire e nel parlare, a evitare la falsa testimonianza, lo spergiuro, la menzogna, il giudizio temerario, la maldicenza, la diffamazione, la calunnia, la lusinga, l'adulazione o la compiacenza, soprattutto se finalizzate a peccati gravi o al conseguimento di vantaggi illeciti. Una colpa commessa contro la verità comporta la riparazione, se ha procurato un danno ad altri.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 6 Apr - 9:13

IL NONO COMANDAMENTo
Non desiderare la moglie del tuo prossimo

« Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo » (Es 20,17).

« Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore » (Mt 5,28).

2514 San Giovanni distingue tre tipi di smodato desiderio o concupiscenza: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita. 388 Secondo la tradizione catechistica cattolica, il nono comandamento proibisce la concupiscenza carnale; il decimo la concupiscenza dei beni altrui.

2515 La « concupiscenza », nel senso etimologico, può designare ogni forma veemente di desiderio umano. La teologia cristiana ha dato a questa parola il significato specifico di moto dell'appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione umana. L'Apostolo san Paolo la identifica con l'opposizione della « carne » allo « spirito ». 389 È conseguenza della disobbedienza del primo peccato. 390 Ingenera disordine nelle facoltà morali dell'uomo e, senza essere in se stessa una colpa, inclina l'uomo a commettere il peccato. 391

2516 Già nell'uomo, essendo un essere composto, spirito e corpo, esiste una certa tensione, si svolge una certa lotta di tendenze tra lo « spirito » e la « carne ». Ma essa di fatto appartiene all'eredità del peccato, ne è una conseguenza e, al tempo stesso, una conferma. Fa parte dell'esperienza quotidiana del combattimento spirituale:

« Per l'Apostolo non si tratta di discriminare e di condannare il corpo, che con l'anima spirituale costituisce la natura dell'uomo e la sua soggettività personale; egli si occupa invece delle opere, o meglio delle stabili disposizioni – virtù e vizi – moralmente buone o cattive, che sono frutto di sottomissione (nel primo caso) oppure di resistenza (nel secondo) all'azione salvifica dello Spirito Santo. Perciò l'Apostolo scrive: "Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (Gal 5,25) ». 392

I. La purificazione del cuore

2517 Il cuore è la sede della personalità morale: « Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni » (Mt 15,19). La lotta contro la concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la pratica della temperanza:

« Conservati nella semplicità, nell'innocenza, e sarai come i bambini, i quali non conoscono il male che devasta la vita degli uomini ». 393

2518 La sesta beatitudine proclama: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5,Cool. I « puri di cuore » sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio, in tre ambiti soprattutto: la carità, 394 la castità o rettitudine sessuale, 395 l'amore della verità e l'ortodossia della fede. 396 C'è un legame tra la purezza del cuore, del corpo e della fede:

I fedeli devono credere gli articoli del Simbolo, « affinché credendo, obbediscano a Dio; obbedendo, vivano onestamente; vivendo onestamente, purifichino il loro cuore, e purificando il loro cuore, comprendano quanto credono ». 397

2519 Ai « puri di cuore » è promesso che vedranno Dio faccia a faccia e che saranno simili a lui. 398 La purezza del cuore è la condizione preliminare per la visione. Fin d'ora essa ci permette di vedere secondo Dio, di accogliere l'altro come un « prossimo »; ci consente di percepire il corpo umano, il nostro e quello del prossimo, come un tempio dello Spirito Santo, una manifestazione della bellezza divina.

II. La lotta per la purezza

2520 Il Battesimo conferisce a colui che lo riceve la grazia della purificazione da tutti i peccati. Ma il battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza della carne e i desideri disordinati. Con la grazia di Dio giunge alla purezza del cuore:

— mediante la virtù e il dono della castità, perché la castità permette di amare con un cuore retto e indiviso;

— mediante la purezza d'intenzione che consiste nel tenere sempre presente il vero fine dell'uomo: con un occhio semplice, il battez zato cerca di trovare e di compiere in tutto la volontà di Dio; 399

— mediante la purezza dello sguardo, esteriore ed interiore; mediante la disciplina dei sentimenti e dell'immaginazione; mediante il rifiuto di ogni compiacenza nei pensieri impuri, che inducono ad allontanarsi dalla via dei divini comandamenti: « La vista pro voca negli stolti il desiderio » (Sap 15,5);

— mediante la preghiera:

« Pensavo che la continenza si ottenesse con le proprie forze e delle mie non ero sicuro. A tal segno ero stolto da ignorare che [...] nessuno può essere continente, se tu non lo concedi. E tu l'avresti concesso, se avessi bussato alle tue orecchie col gemito del mio cuore e lanciato in te la mia pena con fede salda ». 400

2521 La purezza esige il pudore. Esso è una parte integrante della temperanza. Il pudore preserva l'intimità della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. È ordinato alla castità, di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone e della loro unione.

2522 Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore. Suggerisce la pazienza e la moderazione nella relazione amorosa; richiede che siano rispettate le condizioni del dono e dell'impegno definitivo dell'uomo e della donna tra loro. Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell'abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove traspare il rischio di una curiosità morbosa. Diventa discrezione.

2523 Esiste non soltanto un pudore dei sentimenti, ma anche del corpo. Insorge, per esempio, contro l'esposizione del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa in certe pubblicità, o contro la sollecitazione di certi mass-media a spingersi troppo in là nella rivelazione di confidenze intime. Il pudore detta un modo di vivere che consente di resistere alle suggestioni della moda e alle pressioni delle ideologie dominanti.

2524 Le forme che il pudore assume variano da una cultura all'altra. Dovunque, tuttavia, esso appare come il presentimento di una dignità spirituale propria dell'uomo. Nasce con il risveglio della coscienza del soggetto. Insegnare il pudore ai fanciulli e agli adolescenti è risvegliare in essi il rispetto della persona umana.

2525 La purezza cristiana richiede una purificazione dell'ambiente sociale. Esige dai mezzi di comunicazione sociale un'informazione attenta al rispetto e alla moderazione. La purezza del cuore libera dal diffuso erotismo e tiene lontani dagli spettacoli che favoriscono la curiosità morbosa e l'illusione.

2526 La cosiddetta permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana. La libertà, per costruirsi, ha bisogno di lasciarsi educare preliminarmente dalla legge morale. È necessario chiedere ai responsabili dell'educazione di impartire alla gioventù un insegnamento rispettoso della verità, delle qualità del cuore e della dignità morale e spirituale dell'uomo.

2527 « La Buona Novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale, feconda come dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo e di ogni età ». 401

In sintesi

2528 « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore » (Mt 5,28).

2529 Il nono comandamento mette in guardia dal desiderio smodato o concupiscenza carnale.

2530 La lotta contro la concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la pratica della temperanza.

2531 La purezza del cuore ci farà vedere Dio: fin d'ora ci consente di vedere ogni cosa secondo Dio.

2532 La purificazione del cuore esige la preghiera, la pratica della castità, la purezza dell'intenzione e dello sguardo.

2533 La purezza del cuore richiede il pudore, che è pazienza, modestia e discrezione. Il pudore custodisce l'intimità della persona.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 13 Apr - 8:41

IL DECIMO COMANDAMENTO

« Non desiderare [...] alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo » (Es 20,17).

« Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo » (Dt 5,21).

« Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore » (Mt 6,21).

2534 Il decimo comandamento sdoppia e completa il nono, che verte sulla concupiscenza della carne. Il decimo proibisce la cupidigia dei beni altrui, che è la radice del furto, della rapina e della frode, vietati dal settimo comandamento. « La concupiscenza degli occhi » (1 Gv 2,16) porta alla violenza e all'ingiustizia, proibite dal quinto comandamento. 402 La bramosia, come la fornicazione, trova origine nell'idolatria vietata nelle prime tre prescrizioni della Legge. 403 Il decimo comandamento riguarda l'intenzione del cuore; insieme con il nono riassume tutti i precetti della Legge.

I. Il disordine delle cupidigie

2535 L'appetito sensibile ci porta a desiderare le cose piacevoli che non abbiamo. Così, quando si ha fame si desidera mangiare, quando si ha freddo si desidera riscaldarsi. Tali desideri, in se stessi, sono buoni; ma spesso non restano nei limiti della ragione e ci spingono a bramare ingiustamente ciò che non ci spetta e appartiene, o è dovuto ad altri.

2536 Il decimo comandamento proibisce l'avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali:

« La formula: Non desiderare è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: L'avaro non sarà mai sazio del suo denaro (Qo 5,9) ». 404

2537 Non si trasgredisce questo comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale indica con realismo « coloro che maggiormente devono lottare contro le cupidigie peccaminose » e che, dunque, « devono con più insistenza essere esortati ad osservare questo comandamento »:

« Sono, cioè, quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e speculazioni; [...] quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti... ». 405

2538 Il decimo comandamento esige che si bandisca dal cuore umano l'invidia. Allorché il profeta Natan volle suscitare il pentimento del re Davide, gli narrò la storia del povero che possedeva soltanto una pecora, la quale era per lui come una figlia, e del ricco che, malgrado avesse bestiame in gran numero, invidiava quel povero e finì per portargli via la sua pecora. 406 L'invidia può condurre ai peggiori misfatti. 407 « La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo » (Sap 2,24):

« Noi ci facciamo guerra vicendevolmente, ed è l'invidia ad armarci gli uni contro gli altri. [...] Se tutti si accaniscono così a far vacillare il corpo di Cristo, dove si arriverà? Siamo quasi in procinto di snervarlo. [...] Ci diciamo membra di un medesimo organismo e ci divoriamo come farebbero le belve ». 408

2539 L'invidia è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l'invidia diventa peccato mortale:

Sant'Agostino vedeva nell'invidia « il peccato diabolico per eccellenza ». 409

« Dall'invidia nascono l'odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna ». 410

2540 L'invidia rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità; il battezzato lotterà contro l'invidia mediante la benevolenza. L'invidia spesso è causata dall'orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell'umiltà.

« Vorreste vedere Dio glorificato da voi? Ebbene, rallegratevi dei progressi del vostro fratello, ed ecco che Dio sarà glorificato da voi. Dio sarà lodato – si dirà – dalla vittoria sull'invidia riportata dal suo servo, che ha saputo fare dei meriti altrui il motivo della propria gioia ». 411

II. I desideri dello Spirito

2541 L'economia della Legge e della grazia libera il cuore degli uomini dalla cupidigia e dall'invidia: lo rivolge al desiderio del sommo Bene; lo apre ai desideri dello Spirito Santo, che appaga il cuore umano.

Il Dio delle promesse da sempre ha messo in guardia l'uomo dalla seduzione di ciò che, fin dalle origini, appare « buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza » (Gn 3,6).

2542 La Legge data a Israele non è mai bastata a giustificare coloro che le erano sottomessi; anzi, è diventata lo strumento della « concupiscenza ». 412 Il fatto che il volere e il fare non coincidano 413 indica il conflitto tra la Legge di Dio, la quale è la legge della mente, e un'altra legge « che mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra » (Rm 7,23).

2543 « Ora, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono » (Rm 3,21-22). Da allora i credenti in Cristo « hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri » (Gal 5,24); essi sono guidati dallo Spirito 414 e seguono i desideri dello Spirito. 415

III. La povertà di cuore

2544 Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferire lui a tutto e a tutti, e propone di rinunziare a tutti i loro averi 416 per lui e per il Vangelo. 417 Poco prima della sua passione ha additato loro come esempio la povera vedova di Gerusalemme, la quale, nella sua miseria, ha dato tutto quanto aveva per vivere. 418 Il precetto del distacco dalle ricchezze è vincolante per entrare nel regno dei cieli.

2545 Tutti i fedeli devono sforzarsi « di rettamente dirigere i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e dall'attaccamento alle ricchezze, contrario allo spirito della povertà evangelica, non siano impediti di tendere alla carità perfetta ». 419

2546 « Beati i poveri in spirito » (Mt 5,3). Le beatitudini rivelano un ordine di felicità e di grazia, di bellezza e di pace. Gesù esalta la gioia dei poveri, ai quali già appartiene il Regno: 420

« Il Verbo chiama povertà di spirito l'umiltà volontaria dell'animo umano, e l'Apostolo ci addita come esempio la povertà di Dio quando dice: Da ricco che era, si è fatto povero per noi (2 Cor 8,9) ». 421

2547 Il Signore apostrofa i ricchi, perché trovano la loro consolazione nell'abbondanza dei beni. 422 « Il superbo cerca la potenza terrena, mentre il povero in spirito cerca il regno dei cieli ». 423 L'abbandono alla provvidenza del Padre del cielo libera dall'apprensione per il domani. 424 La fiducia in Dio prepara alla beatitudine dei poveri. Essi vedranno Dio.

IV. «Voglio vedere Dio»

2548 Il desiderio della vera felicità libera l'uomo dallo smodato attaccamento ai beni di questo mondo, per avere compimento nella visione e nella beatitudine di Dio. « La promessa di vedere Dio supera ogni felicità. [...] Nella Scrittura, vedere equivale a possedere [...]. Chi vede Dio, ha conseguito tutti i beni che si possono concepire ». 425

2549 Il popolo santo deve lottare, con la grazia che viene dall'alto, per ottenere i beni che Dio promette. Per possedere e contemplare Dio, i cristiani mortificano le loro brame e trionfano, con la grazia di Dio, sulle seduzioni del piacere e del potere.

2550 Lungo questo cammino della perfezione, lo Spirito e la Sposa chiamano chi li ascolta 426 alla piena comunione con Dio:

« Là sarà la vera gloria, dove nessuno verrà lodato per sbaglio o per adulazione; il vero onore, che non sarà rifiutato a nessuno che ne sia degno, non sarà riconosciuto a nessuno che ne sia indegno; né d'altra parte questi potrebbe pretenderlo, perché vi sarà ammesso solo chi è degno. Vi sarà la vera pace, dove nessuno subirà avversità da parte di se stesso o da parte di altri. Premio della virtù sarà colui che diede la virtù e che promise se stesso come ciò del quale non può esservi nulla di migliore e di più grande. [...] "Sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Lv 26,12) [...]. Ancora questo indicano [...] le parole dell'Apostolo: "Perché Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15,28). Egli sarà l'obiettivo di tutti i nostri desideri, contemplato senza fine, amato senza fastidio, lodato senza stanchezza. Questo dono, questo affetto, questo atto sarà certamente comune a tutti, come la stessa vita eterna ». 427

In sintesi

2551 « Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore » (Mt 6,21).

2552 Il decimo comandamento proibisce la sfrenata cupidigia, generata dalla brama smodata delle ricchezze e del potere insito in esse.

2553 L'invidia è la tristezza che si prova davanti ai beni altrui e l'irresistibile desiderio di appropriarsene. È un vizio capitale.

2554 Il battezzato combatte l'invidia con la benevolenza, l'umiltà e l'abbandono alla provvidenza di Dio.

2555 I cristiani « hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri » (Gal 5,24); sono guidati dallo Spirito e seguono i suoi desideri.

2556 Il distacco dalle ricchezze è indispensabile per entrare nel regno dei cieli. « Beati i poveri in spirito » (Mt 5,3).

2557 Il vero desiderio dell'uomo è: « Voglio vedere Dio ». La sete di Dio è estinta dall'acqua della vita eterna. 428

(402) Cf Mic 2,2.

(403) Cf Sap 14,12.

(404) Catechismo Romano, 3, 10, 13: ed. P. Rodríguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989) p. 518.

(405) Catechismo Romano, 3, 10, 23: ed. P. Rodríguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989) p. 523.

(406) Cf 2 Sam 12,1-4.

(407) Cf Gn 4,3-8; 1 Re 21,1-29.

(408) San Giovanni Crisostomo, In epistulam II ad Corinthios, homilia 27, 3-4: PG 61, 588.

(409) Sant'Agostino, De disciplina christiana, 7, 7: CCL 46, 214 (PL 40, 673); Id., Epistula 108, 3, 8: CSEL 34, 620 (PL 33, 410).

(410) San Gregorio Magno, Moralia in Iob, 31, 45, 88: CCL 143b, 1610 (PL 76, 621).

(411) San Giovanni Crisostomo, In epistulam ad Romanos, homilia 7, 5: PG 60, 448.

(412) Cf Rm 7,7.

(413) Cf Rm 7,15.

(414) Cf Rm 8,14.

(415) Cf Rm 8,27.

(416) Cf Lc 14,33.

(417) Cf Mc 8,35.

(418) Cf Lc 21,4.

(419) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 42: AAS 57 (1965) 49.

(420) Cf Lc 6,20.

(421) San Gregorio di Nissa, De beatitudinibus, oratio 1: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger, v. 72 (Leiden 1992) p. 83 (PG 44, 1200).

(422) Cf Lc 6,24.

(423) Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 1, 1, 3: CCL 35, 4 (PL 34, 1232).

(424) Cf Mt 6,25-34.

(425) San Gregorio di Nissa, De beatitudinibus, oratio 6: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger, v. 72 (Leiden 1992) p. 138 (PG 44, 1265).

(426) Cf Ap 22,17.

(427) Sant'Agostino, De civitate Dei, 22, 30: CSEL 402, 665-666 (PL 41, 801-802).

(428) Cf Gv 4,14.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 20 Apr - 8:39

Le sette opere di misericordia corporale

1) Dar da mangiare agli affamati

2) Dar da bere agli assetati

3) Vestire gli ignudi

4) Alloggiare i pellegrini

5) Visitare gli infermi

6) Visitare i carcerati

7) Seppellire i morti

FELICE PASQUA A TUTTI.
Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se è morto vivrà (Gv 1,25)
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 27 Apr - 8:47

1. Dar da mangiare agli affamati
La fame continua ad essere presente nel mondo, nonostante i progressi tecnologici e la crescita della produzione alimentare e industriale. Non è il cibo che manca: manca un'equa distribuzione dei beni della terra. La fame è frutto della povertà e la povertà scaturisce dalle ingiustizie. C'è chi ha troppo e chi non ha nulla, o manca comunque del necessario. Questa prima opera di misericordia corporale ci chiede anzitutto di aprire gli occhi sulla fame e sulla povertà del mondo: del mondo del sottosviluppo, dove la fame comporta non solo assenza di cibo, ma anche impossibilità a curare la salute, ad accedere alla scuola, ad avere un lavoro e un reddito; povertà del nostro Paese, dove pure esistono casi e fenomeni di povertà e di emarginazione. La permanenza della povertà nel mondo ci dice che non è sufficiente il gesto occasionale di misericordia, che assicura un pasto a chi ha fame. La misericordia deve diventare costume di vita, deve portarci a verificare lo stile dei nostri consumi, ad evitare tutto ciò che è superfluo per destinarlo ai poveri ai quali appartiene, a praticare perciò non solo l'elemosina, ma la condivisione, la comunione con gli altri. La misericordia di Cristo, infatti, alla quale facciamo riferimento, nella fede, è stata ed è condivisione.

2. Dar da bere agli assetati
La mancanza di acqua richiama all'attenzione la situazione catastrofica del Sahel, una larga fascia a sud del Sahara, che tocca diversi paesi africani, dove da anni piove sempre meno e dove le sabbie del deserto avanzano, seminando la morte: senza acqua non si può vivere, non si può coltivare, è impossibile l'igiene, problematica la prevenzione come anche la cura delle malattie. Questo disastro ecologico sahariano è da imputare in parte non trascurabile – dicono i biologi – all'opera nefasta dell'uomo. Il terreno era costituito da savana e da vegetazione arborea xerofila – cioè amante del secco – capace di resistere all'enorme secchezza dell'ambiente. Questa vegetazione manteneva una ricchissima fauna: giraffe, rinoceronti, antilopi ecc. La fauna è stata distrutta e sostituita da enormi mandrie di bovini, che hanno calpestato e appiattito il terreno, annientando la vegetazione erbosa e accelerando l'erosione del suolo. Enormi distese sono diventate improduttive in seguito al tentativo di coltivare piante inadatte; i pastori hanno bruciato sconsideratamente la savana per favorire la produzione di erba verde per i bovini, eliminando i già scarsi alberi; la piovosità è diminuita per il continuo indietreggiare della grande selva ombrifera del Congo. Il disastro del Sahel deve renderci pensosi. Noi pure rischiamo di distruggere con le nostre mani il nostro ambiente umano. Ora però urge salvare la vita di migliaia di fratelli. Un pozzo d’acqua: forse una persona da sola non può donarlo. Una famiglia, un gruppo di famiglie, una parrocchia tutta insieme, sì. Il Signore ritiene dato a sé un bicchiere d’acqua fresca offerto ai fratelli più umili e bisognosi.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 4 Mag - 9:10

VESTIRE GLI IGNUDI

La virtù della misericordia è dono di Dio e conquista allo stesso tempo. Ciò che ci è stato elargito da Dio in abbondanza diamolo anche noi a coloro che sono nella necessità. Ci vuole coraggio e sacrificio, ma se vogliamo piacere a Dio, è giusto sforzarci al massimo per acquistare un amore sincero e pratico che sboccia nelle opere di misericordia.
Ricordiamoci che in questo Anno Santo la Chiesa ci concede il dono dell’indulgenza del Giubileo 2000, quando, confessati e comunicati preghiamo secondo le intenzioni del Papa e, anche senza visitare una Chiesa Giubilare, compiamo qualcuna delle “Opere di Misericordia Corporale”. In questo modo si acquista l’indulgenza giubilare che è la remissione, dinanzi a Dio, della pena temporale per i peccati, già perdonati con la confessione. Sappiamo che si può ottenere una volta sola al giorno, per se stessi o per le anime del purgatorio.
La terza opera di misericordia è: Vestire gli ignudi. Gente che non ha la sufficienza per coprirsi ce n’è sempre nel mondo. Lo diceva tanti e tanti secoli fa anche il libro di Giobbe (24,7): “Nudi passan la notte, senza panni, non hanno da coprirsi contro il freddo”. Quando il freddo si accompagna alla nudità, e se vi si aggiunge anche fame e sete, allora la situazione di nudità diventa insostenibile.

Ero nudo e mi avete vestito

– “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il premio preparato per voi fin dall’eternità. Perché ero nudo e mi avete vestito”.
– “Signore, quando mai ti abbiamo veduto nudo e ti abbiamo vestito?”.
– “In verità io vi dico: ogni volta che avete fatto questo a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25).
Caro Gesù, eccoci qui davanti a te, davanti a questa «Ostia Consacrata», tu realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità. Spogliandoti di tutto ti sei fatto pane da mangiare.
E allora pensiamo a quelle ultime ore della tua vita trascorse qui in terra, quando sei stato trascinato davanti al tribunale di Ponzio Pilato. Egli ti ha consegnato ai soldati romani i quali ti spogliarono dei tuoi vestiti per flagellarti e schernirti con schiaffi, sputi e insulti. Poi ti fecero indossare i tuoi vestiti e ti caricarono sulle spalle il pesante legno della croce, sulla quale, nudo, sei stato inchiodato. Non più figura d’uomo ma come verme così ridotto dai tanti nostri peccati. Perdono, pietà!
Sarà ben giusto allora, Gesù, se guardando a te, crocifisso, ci mettiamo seriamente al tuo servizio nei poveri e sofferenti, e in particolare a quelli che non hanno i mezzi per coprirsi dal freddo e per rivestire la loro persona sia per il lavoro che per i giorni di festa, così che tu possa dire: Ero nudo e mi avete vestito.

Dio veste Adamo ed Eva

“Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese il suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Genesi 3).
O Gesù buono, la storia di Adamo ed Eva che si sono lasciati tentare dall’orgoglio, cioè dalla voglia di diventare simili a Dio, costituisce per noi un grande insegnamento. Il frutto della disobbedienza appare più gustoso di quello dell’obbedienza, però alla fine fa crollare la fiducia in Dio sino al punto di negarlo. A questo punto uno si trova nudo e disperato.
Caro Gesù, quando vedi che, dopo brutte esperienze, mi dibatto con me stesso, perché mi trovo con un pugno di mosche in mano, non permettere che io mi nasconda da te, ma vieni in mio soccorso con la brezza della sera, perdonami e rivestimi di te stesso.
E questo ancora ti chiedo, o buon Gesù: Tocca con amore di tenerezza la mente e il cuore di tutti coloro che sono interessati, in prima o in seconda persona, a esibire, attraverso la stampa, il cinema o la televisione, certi spettacoli per nulla affatto degni della persona umana e fa’ che, eliminata ogni malizia, si lascino rivestire della bella grazia di Dio, per la gioia di tutti.

Vestite voi stessi gli ignudi

“A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità, nome che significa Gazzella, la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. I discepoli avvisarono Pietro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto e gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra di loro. Pietro si inginocchiò, poi disse: Tabità, alzati!, quindi le prese la mano e la presentò a tutti viva” (At 9,36-41).
O Gesù dolcissimo, ecco una donna che ha capito e messo in pratica i tuoi insegnamenti riguardo alle opere di misericordia, e in particolare il comando di vestire coloro che ne hanno bisogno. Risuona alla memoria il consiglio che papà Tobi dava al figlio Tobia: “Fa’ parte dei tuoi vestiti agli ignudi” (Tb 4,16).
L’uomo nudo è l’immagine del più povero fra i poveri. E non soltanto nel senso realistico della parola. Infatti si trova nello stato di nudità anche colui che viene privato e spogliato di tutti i suoi beni e della stessa sua dignità. Ricordati, Signore Gesù, di tutti questi poveri. Tocca il cuore di coloro che esercitano il potere perché quelli che si trovano in estrema necessità siano sollevati, e perché, guardando al di là delle proprie barriere nazionali, si prendano provvedimenti adeguati per tutti i bisognosi.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 11 Mag - 8:48

ALLOGGIARE I PELLEGRINI
Tu hai detto, caro Gesù: “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Ma non è facile vedere te nel mio prossimo, vederti nello straniero che passa al mio fianco, o anche solo nei vicini di casa, nei miei parenti.
Mi rendo conto che i motivi principali sono questi.
Non ho fatto abbastanza largo nei miei pensieri alle tue parole, ai suggerimenti dello Spirito Santo, ai suoi impulsi che mi dicono di amare in modo pratico il prossimo come me stesso.
Non ho aperto il mio cuore all’amore del Padre che ci ha fatto il grande regalo di mandare te, mio buon Signore, qui su questa terra. Egli bramava di abbracciare con il suo infinito amore te, inchiodato alla croce, e in te abbracciare anche noi peccatori per accoglierci nel suo regno. Tu sei amore e misericordia per tutte le creature umane, senza distinzione di razze e di nazioni.
E io non posso e non voglio fare altro che imitarti, caro e adorato Gesù, e quanto vorrei che tutti arrivassero alla conoscenza della Verità!

Ero forestiero e mi avete ospitato

– “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il premio preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché ero forestiero e mi avete ospitato”.
– “Signore, quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato?”.
– “In verità vi dico: Ogni volta che avete fatto questo a uno di questi più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25).

Gesù, tu hai detto: “L’avete fatto a me”

È vero, Signore. Di fronte al problema dei migranti noi cristiani dobbiamo fare il nostro bel esame di coscienza.
Tu hai difeso l’adultera dalle mani di coloro che volevano lapidarla, e hai portato con te, nello stesso giorno della tua morte in croce, il malfattore pentito che subìva la tua stessa sorte. Quando impareremo a non mostrare indifferenza né tanto meno freddezza, sospetto e ostilità, riguardo ai migranti, soprattutto se sono donne e bambini?
Ci dobbiamo specchiare nel tuo Vangelo, caro Gesù. È giusto pensare con serietà alla conversione del nostro modo di pensare e di agire. Vogliamo ospitare, almeno nel nostro cuore, tanta povera gente che sbarca ogni giorno sulle nostre coste. Pensiamo ai nostri parenti e amici che hanno dovuto emigrare in condizioni di vera povertà. La Bibbia lo ricorda agli Ebrei: “Tu amerai il forestiero come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Lv 19,34).
Come sei buono, Gesù, che accogli anche me, con amore, tutte le volte che mi allontano da te.
Tu mi consoli, asciughi le mie lacrime e fasci le mie ferite.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 18 Mag - 8:35

VISITARE GLI INFERMI



Ero malato e mi avete visitato.

- "Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il premio preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ero malato e mi avete visitato.
- "Signore, quando ti abbiamo visto ammalato e siamo venuti a visitarti?
- "In verità vi dico: Ogni volta che avete fatto questo a uno di questi più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25).

Caro Gesù, tu vuoi che ci interessiamo degli infermi, di coloro che sono deboli nel corpo e nello spirito, e che andiamo a visitarli. Se vogliamo, dunque, fare cosa gradita a te dobbiamo occuparci in modo concreto e abituale di coloro che si trovano sotto il peso della malferma salute per malattia o vecchiaia.
Tu ci insegni ad avere sempre fiducia in te, caro Gesù, ci dici che dobbiamo seminare fiducia in tutti i cuori e portare consolazione ai più disperati, usando poche parole, ma mostrando molta comprensione e ascolto, senza far pesare la nostra fretta.
Quando visito un infermo visito te, che preghi senza consolazioni, abbandonato da tutti, condannato a portare da solo la tua croce fino al Calvario, affaticato e logoro. Così ti facciamo coraggio, Gesù.
Sono tante le cose che possiamo fare presso un malato: riassettare la casa, fare la spesa, cucinare, lavare e stirare, e tante altre piccole cose.
O buon Gesù, mi sono sempre reso conto che quando mi interesso praticamente dei malati, non sono io colui che dà ma colui che riceve.

L'esempio di Gesù.

Entrato in Cafarnao, venne incontro a Gesù un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò". Ma il centurione rispose: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio detto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito" (Mt 8,5-10).

Signore Gesù, durante la tua vita terrena ti sei sempre interessato dei malati. Tu passavi per le strade della Palestina beneficando e risanando tutti e al Centurione che ti supplicava hai detto "Io verrò e lo curerò". Trascorrendo le pagine del Vangelo mi rendo conto quanto sia grande la tua misericordia e la compassione e addirittura la tenerezza verso i peccatori e i malati.
"I ciechi ricuperavano la vista, gli storpi camminavano, i lebbrosi venivano guariti, ai poveri veniva predicata la buona novella" (Mt 11,3-6).
Caro Gesù, io so che tu continui a passare per le nostre strade, a entrare nelle nostre case, a venire incontro alle nostre necessità, e asciugare le nostre lacrime, e guarire i nostri corpi. E tutto questo lo vuoi operare oggi per mezzo dei tuoi fedeli. E per questo tu ci chiedi una fede viva e così tu potrai operare miracoli.
Quando poi facciamo visita a malati ammalati e moribondi non credenti, tu ci suggerisci di comportarci come Madre Teresa, la quale non cercava di convertirli, ma metteva nel loro cuore un grande amore che li rendeva abili di entrare nel tuo Paradiso.

Il Sacramento dell'Unzione degli infermi.

"Chi è malato, scrive San Giacomo, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati" (Gc 5,14-15).

Caro Gesù, questo sacramento che tu hai istituito è il segno tangibile del tuo grande amore per noi peccatori quando veniamo a trovarci in stato di malattia. La preghiera fatta con fede salverà il malato, ci ha lasciato scritto il tuo Apostolo Giacomo. Tu stesso ci rialzerai e se abbiamo commesso dei peccati tu ci perdonerai. Nel sacramento dell'Unzione degli infermi si manifesta la potenza e la santità del tuo Santo Spirito. Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di lui, egli è lo Spirito Creatore, e quando lui riversa su di noi la sua rugiada benefica, noi riceviamo vigore e sostegno per far fronte alle esigenze della nostra vita, per compiere bene tutto il nostro dovere di creature umane.
Ti prego, Gesù caro, metti nei mio cuore una grande stima per questo sacramento e un sincero desiderio di riceverlo quando il male mi colpisce. E' cosa buona e giusta suggerire, ai malati e ai loro parenti, di chiamare il prete quando uno sta molto male e viene ricoverato in ospedale. Non dobbiamo aver paura di farlo. Se abbiamo le idee chiare il malato non si spaventerà. Questo sacramento è stato istituito per venire incontro ai malati, è fatto per la guarigione del corpo e dell'anima.

TIMOTEO MUNARI SDB
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 25 Mag - 9:07

VISITARE I CARCERATI
Quest’opera di misericordia è forse la più ostica e non è alla portata di tutti;
oggi non è semplice entrare in un carcere; ci sono associazioni di volontari preparati
che visitano i carcerati con costanza e assiduità: un’opera sociale e politica da
compiere. Noi possiamo "accompagnare" chi è in carcere con il nostro pensiero, il
nostro interesse, la nostra premura e non solo con l’antipatia, la paura e il
risentimento. Anche loro sono parte della comunità cristiana e hanno diritto a una
cura pastorale.
Il Vangelo ci ricorda che anche Gesù è stato arrestato (Mt 26, 50) e come lui e
prima di lui i Patriarchi (Gen 39, 20 – 41, 46) e i profeti (Ger 37, 11-21) e lo stesso
Giovanni Battista è morto decapitato mentre era chiuso in carcere (Mc 6, 14-29). È
l’esperienza, annunciata da Gesù ai suoi discepoli (Lc 21, 12); per Pietro (At 4, 1-23;
12, 1-18), accompagnato dalla preghiera della Chiesa; di Paolo (At 16, 22-40; da 21,
7 al termine; Ef 3,1; 4,1; 2Tm 1, 8; Fm 1.9); e dei primi cristiani (Ap 2, 10). La lettera
agli Ebrei (10, 32-35) dice: “avete preso parte alle sofferenze dei carcerati” e (13, 3)
“ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere”. Questo è fin
all'inizio lo stile della comunità cristiana.
Spezzare l’omertà, il silenzio, l’ignoranza, l’insofferenza verso i carcerati è già
compiere quest’opera di misericordia, circondandoli di cura, attenzione se non di
relazioni autentiche, di ascolto e di affetto. Pensiamo alla loro vergogna per la colpa.
Anche i carcerati sono nostri fratelli da amare di più, perché peccatori e bisognosi di
aiuto, siano essi ladri, assassini, spacciatori, delinquenti, ecc. Gesù si identifica anche
con loro (Mt 25, 36.43). Certo la società chiede loro giustizia e con la condanna fa
scontare una pena; ma tutto deve volgere alla rieducazione non solo alla punizione.
La privazione della libertà è già una prezzo notevole da pagare per il reato commesso,
per riparare il male fatto.
Il cristiano è sempre attento alla persona e non solo al delitto da essa compiuto.
Abbiamo a che fare con dei colpevoli, ma domandiamoci se noi siamo così bravi e
innocenti. Loro non sono angeli, ma neppure noi lo siamo. Che avremmo fatto al loro
posto? Noi abbiamo avuto la provvidenza di una famiglia, di un ambiente che ci ha
formati, ci ha educati al bene e ci ha difesi dal male. Perché non pensare a loro
mettendoci dalla parte di Dio; che ne pensa Dio di loro?
Non possiamo restare indifferenti per la situazione disumana in cui sono tenuti
i carcerati nella nostra nazione; peggio nel passato, ma ancora così nel resto del
mondo. I recenti e numerosi suicidi sono un segnale grave, che ci interpella, della
solitudine e del diffuso malessere senza prospettive positive per chi è in carcere.
Un’attenzione particolare è dovuta anche alle loro famiglie e al momento delicato
dell’uscita dal carcere e al reinserimento nella società, nel lavoro, nella comunità
cristiana. Per loro possiamo pregare perché possano stare meglio, si convertano e
divengano uomini liberi; avviare iniziative di solidarietà e di aiuto materiale per
fornire loro quanto è necessario o utile.
"Dovunque c’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è
Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto (Benedetto XVI, 19.12.11).
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 1 Giu - 8:59

Seppellire i morti



Seppellire i morti era l'opera di misericordia che Tobia compiva durante l'esilio degli ebrei in Babilonia. E' anche l'opera di misericordia compiuta da Giuseppe d'Arimatea nei riguardi di Gesù.

Oggi ci sono leggi precise che regolano il trasporto e la sepoltura dei morti: è un servizio pubblico. Nessuno potrebbe farlo di sua iniziativa. Come esprimere allora la pietà cristiana per i morti? Anzitutto accompagnando le salme dei propri parenti, degli amici, dei conoscenti, dei compagni di lavoro, dei vicini di casa al funerale.

Ci sono due maniere di partecipare a un funerale: per convenienza sociale e per pietà cristiana. Nel primo caso è solo una presenza che, quando è educata, è rispettosa e silenziosa. Nel secondo caso, è una partecipazione attiva alla preghiera, alla liturgia, all'eucaristia. Evidentemente solo così la partecipazione al funerale diventa un'opera di misericordia.

Ma c'è un secondo modo di esprimere la pietà per i morti: con i fiori e le opere buone. E' certamente segno di gentilezza e di animo buono coprire la bara e la tomba di fiori. Ma questi ben presto appassiscono. I fiori più belli sono piuttosto le opere buone, le opere di carità: la carità, quindi, come segno di pietà per i defunti.

Vi è, infine, un terzo modo che nasce dalla fede: illuminare il funerale e la sepoltura della luce della risurrezione. Anche se oggi non è più possibile seppellire materialmente i morti, la partecipazione al funerale, vissuta nella preghiera, nella condivisione con i poveri, nella fede innovata dalla resurrezione, diventa un modo diverso, ma luminoso e fecondo di vivere nel tempo attuale la settima opera di misericordia corporale.

Ecco in sintesi come si può anche oggi dare un'espressione concreta ben precisa alle opere di misericordia sia spirituale che corporale. Nessuna di queste è impossibile. Anzi, le mutate condizioni dei tempi offrono nuove opportunità per renderle ancor più significative, dal momento che anche oggi i poveri sono in mezzo a noi.

Amen,alleluia, amen!

La presenza dei cristiani ai funerali, costituisce il commiato della comunità di fede alla sorella o al fratello partiti per l'incontro definitivo con il Signore. Il culto per la salma di chi ci ha lasciati è la continuazione del rispetto e della venerazione dovuti alle persone vive. Per essere autentico il culto dei morti deve riflettere un sincero impegno per la vita.

Anzitutto la misericordia va usata per i morenti: vi sono coinvolti i presenti, i vicini, il personale sanitario (medici, infermieri), la comunità cristiana nel suo insieme. Tutti sono impegnati ad aiutare i fratelli e le sorelle a morire bene: senza forme di terrorismo psicologico, ma anche senza evasioni. Si devono preparare le persone ad incontrarsi con il Signore, presentandolo come padre e amico, attraverso la preghiera e la ricezione dei Sacramenti. È atto di misericordia rasserenare i morenti, assicurando loro la vicinanza solidale alle persone che rimangono, soprattutto se si tratta del coniuge e dei figli in tenera età. È atto di misericordia anche diffondere una cultura cristiana della morte, inserendola nel contesto della vita umana.

La morte non deve mai essere provocata, né dall’alcool, né dalla droga, né da altre violenze o inutili imprudenze; ma quando arriva va accolta nello spirito della fede: è il passaggio verso la comunione definitiva e gloriosa con Dio.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 8 Giu - 8:23

Le 7 opere di misericordia spirituale

1. Consigliare i dubbiosi
2. Insegnare agli ignoranti
3. Ammonire i peccatori
4. Consolare gli afflitti
5. Perdonare le offese
6. Sopportare pazientemente le persone moleste
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 15 Giu - 9:19

Consigliare i dubbiosi
… I Miei Amati Poveri
In una società, proiettata quasi in continuazione verso cambiamenti di ogni genere e bombardata
da infinite parole di maestri d’ogni specie, non sarà certo una novità che sorgano negli animi della
nostra gente dubbi su molti fronti e in particolare sull’esistenza di Dio, su Gesù Cristo, sull’aldilà. Il
dubbio, a volte, lacera l’esistenza, mette a dura prova l’intelligenza e provoca fortemente il cuore,
che è fatto per vivere in pace e per amare.
Quando uno inizia a dubitare della Parola di Dio contenuta nella Bibbia e a non aver fiducia della
sua bontà e della sua fedeltà, dovrebbe ragionare un poco e convincersi che fonte di ogni dubbio è
il padre della menzogna, il quale si infiltra nella mente in tanti modi: superbia, orgoglio, voglia
sfrenata di libertà, suggestioni varie.
ڜ A chi è stato assegnato il compito di proclamare la Parola di Dio?
Al Papa e ai Vescovi, in prima linea, e poi ai Sacerdoti, e non solo, ma anche a tutti i battezzati,
nessuno escluso. Tutti abbiamo l’obbligo di testimoniare la nostra fede, tutti siamo tenuti ad
istruirci in essa, tutti a diffonderla e tutti a dare una mano a quelli che vacillano. Non possiamo
accontentarci di essere cristiani a metà.
Il dubbio è parte della vita, serve alla ricerca della verità, rende umana la persona, che si mette in
cammino e continua la ricerca della verità e della vita. Ciò che conta è ritornare sempre alla fede
attraverso il dubbio. Il dubbio fa parte della fede, il dubbio ci porta alla solidarietà con le persone.
Prima di consigliare i dubbiosi, devo dare a me stesso una risposta soddisfacente ai miei dubbi.
CONSIGLIARE significa PROVVEDERE, PREPARARE, RIFLETTERE,
MI PREOCCUPO DELL’ALTRO,
PREPARO DELLE PAROLE CHE AIUTINO L’ALTRO A SUPERARE LA SITUAZIONE IN CUI SI TROVA,
PORTO L’ALTRO A CONTATTO CON LE SUE RISORSE,
DALLE QUALI PUÓ ATTINGERE SE INCAPPA NEL DUBBIO.
Talvolta i dubbi possono sfociare nella disperazione, che è mancanza di via d’uscita. Si ha la
sensazione che non abbia senso continuare a lottare, continuare a vivere. La vita è troppo difficile.
Nella disperazione si perde ogni fiducia nella Provvidenza di Dio. Ci si augura che nel mezzo della
disperazione, si possa ritrovare la speranza. Consigliare i disperati, dare loro un motivo di speranza
è davvero un’opera di misericordia.
Come consigliare i dubbiosi ?
Importante è l’impegno in tre direzioni:
1. Pregare e rendere grazie a Dio per tutti coloro che hanno una profonda fede in Gesù Cristo,
nostro unico Salvatore e che si dedicano alla proclamazione del Regno di Dio, nostro Padre.
2. Avere una grande carità e misericordia verso tutti coloro che ancora non conoscono il Signore
Gesù o, che conoscendolo, nutrono perplessità e dubbi. Non basta pregare e non basta desiderare
che “venga il Regno di Dio”.
3. Avere “una piena conoscenza della volontà del Padre con ogni sapienza e intelligenza
spirituale” come dice San Paolo ai Colossesi e, cioè, approfondire il suo grande progetto di salvezza
per tutti gli uomini:
“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità”
(1 Tim 2,4)
Personalmente come posso realizzare, nel mio piccolo,
quest’Opera di Misericordia?
Seguendo il comando di Gesù:
“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo”.
Dobbiamo sentirci inviati e tutti protetti e aiutati dallo Spirito dello stesso Signore Gesù.
Sarà necessario suscitare nelle gente, che vive attorno a noi, l’ascolto della Parola rivelata, il
Vangelo, poiché la fede nasce appunto dall’ascolto dell’annuncio della Buona Novella. Il dubbio
che si abbatte fortemente nella mente e nel cuore delle persone può venire debellato solo
dall’ascolto della verità e dalla grazia dello Spirito che non manca mai.
Invitiamo amici e conoscenti a partecipare a conferenze, lezioni su argomenti biblici, liturgici,
teologici o sulla Storia della Chiesa. Se possiamo, regaliamo qualche buon libro.
Non solo questo. Noi stessi dobbiamo predisporci ad ascoltare con pazienza e amore coloro che
hanno bisogno di parlare della loro vita, dei loro dubbi, delle loro impressioni errate su persone di
Chiesa, di paure sul giudizio di Dio e sull’Aldilà. Tutte le volte che si ascolta qualcuno, si rasserena
una persona senza dire molte parole è evangelizzazione.
PICCOLO MOMENTO DI FEDE SETTIMANALE - Pagina 18 CONSIGLIARE-I-DUBBIOSI

CONSIGLIARE I DUBBIOSI

Spesso il dubbio nasce dalla mancanza di fede.

"Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31) ammonisce Gesù a Pietro che ha paura di annegare.

Consigliare vuol dire comunicare la propria esperienza, il proprio progetto di fede, di cui l’altro è all'oscuro, testimoniando una verità consolatoria.
"Il consiglio sarà tuo custode e la prudenza ti salverà - Proverbi 2.11
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 22 Giu - 8:34

INSEGNARE GLI IGNORANTI


Chi possiede una parola di vita e non la trasmette [ad altri]
somiglia a un uomo che in tem
po di carestia tiene grano nel granaio
e lascia che gli affa
mati
vengano meno sulla sua soglia

(Ernst Hello)
Ignorare dal latino
gnarus,
stessa radice dal greco
gnorezei

conoscere.
L’ignorante è colui che
non conosce, non sa.
Questo vocabolo può essere usato anche
in senso più ampio
: per esempio si applica a chi non
conosce la buona educazione o le buone maniere. Normalmente noi identifichiamo in chi parla a
sproposito, a voce troppo alta, in maniera sboccata o con modi rozzi, appunto l’ignorante. Ma
ignorante è anche chi giudica in base a cose che non sa o si approf
itta dell’ingenuità altrui.
Talvolta diciamo che
qualcuno monta in cattedra
quando vuole fare vedere che ne sa sempre più
degli altri, quando ci trasmette l'im
pressione che noi non sappiamo niente e lui sa tutto.
Paradossalmente possiamo dire che chi si ‘
mette in cattedra’ con autorità e non si guadagna
autorevolezza è un ignorante.
Perciò l’ignorante è la persona che non conosce, che non ha ancora visto, che non ha visto
qualcosa. E la parola
insegnare
viene da
signare
e cioè
lasciare il segno.
In
è la p
articella che sta a
significare
dentro
perciò insegnare vuol dire
lasciare un segno dentro
.
Insegnare agli ignoranti perciò non significa che mi ritenga superiore agli altri. Si tratta piuttosto di
aprire gli occhi a chi non ha visto qualcosa, in un certo
senso di dire: «
Guarda, guarda qui. Ecco
qualcosa di interessante. Qui c'è qualcosa che ti riguarda, che è importante per te
». Non
ammaestro, ma gli mostro qualcosa affinché lo guardi con i suoi occhi.
Per poter ammaestrare gli ignoranti è chiaro che non
bisogna esserlo noi per primi
.
Due sono gli aspetti di quest’opera di misericordia.
Il primo tocca l’analfabetismo, l’obbligo scolastico, il lavoro sfruttato o minorile... tutte realtà che
condannano tanti uomini a un’esistenza diminuita, senza orizzonti.
L
’insegnamento coinvolge anche l’aspetto dell’educazione e dell’alfabetizzazione.
Educare
significa “condurre fuori”, “portare alla luce”
le potenzialità della vita personale, le dimensioni
dello sviluppo (affettiva, sociale, intellettuale, etica,fisica) ch
e caratterizzano tutte le età
generazionali e i diversi ambienti di vita: i paesi, le borgate, le metropoli. L’educazione deve
affrontare le diverse problematicità della realtà. Educare per evitare tante forme di emarginazione
e di depauperamento della per
sona e per favorirne lo sviluppo integrale. Se la finalità è l’
autonomia dell’ uomo e della donna i luoghi dell’ educazione dovranno essere gli ambiti della
famiglia, della scuola, delle chiese, delle associazioni degli enti locali, istituzioni ma anche i
l
territorio con le sue risorse. L’educazione può coinvolgere diverse dimensioni: il tempo libero, l’
insegnamento, il gioco, la relazione,la sperimentazione (come apertura alle diversità culturali e
ambientali),un progetto educativo(ovvero una programmazi
one).
Davanti a diverse situazioni di difficoltà di vita occorre, in ambito educativo, proporre uno stile
sempre più differenziato,quindi individualizzato, che varia a seconda degli stili cognitivi, ovvero
alle modalità di apprendimento, dei diversi modi d
i pensare.
In base a tutto ciò possiamo anche
dire che il compito dell'insegnante a scuola è un'opera di misericordia. Vorrebbe aprire gli oc
chi
agli allievi e alle allieve che non sanno, non perché acquisiscano qualcosa di più di nozioni da
2
richiamare al
la mente, ma perché vedano di più, perché vedano meglio.
Insegnare è soprattutto
una scuola dello sguardo.
L'inse
gnamento, però, avviene anche tramite la parola. Le parole sono come chiavi che aprono gli
occhi. Le pa
role non trasmettono soltanto il sape
re in una determina
ta materia ma toccano
l'essere umano, il suo cuore. Aprono una porta, attraverso la quale l'allievo può entrare per
ammirare un nuovo mondo. L'insegnante, però, insegna anche mediante il proprio esempio, che
dimostra che in lui la perso
na e le parole coincidono. Con la sua perso
na dimostra per quali valori
garantisce e che cosa rende umano l'uomo.
Il filosofo greco Socrate intendeva
l'essere maestro come arte maieutica, cioè ostetrica.
Come
una levatrice aiuta la nascita di un nuovo es
sere umano, così l'insegnante, con le sue domande,
contribuisce al fatto che l'allievo veda il mondo con occhi nuovi e in tal modo sia rinnovato
interiormente.
Ma c’è anche, e soprattutto, un aspetto legato
all’ignoranza religiosa,
al disconoscimento delle
verità della fede, che rende i cristiani incapaci di comunicare le ragioni della loro fede e della loro
speranza all’uomo d’oggi.
L'opera di misericordia spirituale che richiama il dramma dell’ignoranza nelle cose riguardanti la
fede, purtroppo, tocca un
a forte percentuale delle persone del nostro tempo. Già San Girolamo
denunciava questo fatto: “
L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo
”. Quando l’uomo si
allontana dal suo prototipo che è il Signore della vita e della storia, come può ancora ridi
segnarsi
come essere creato a “
immagine e somiglianza di Dio
”?
I Padri greci, circa l’uomo “
creato a immagine e somiglianza
” di Dio, dicevano: “
L’immagine ci è
donata fin dall’inizio da Dio; gli artefici della somiglianza siamo invece ciascuno di noi. La v
ita
spirituale è quindi un continuo progresso ... dall’immagine alla somiglianza, cioè nella risposta
attiva alla voce del Padre”.
Nella società di oggi ciò che rende difficile, a volte, un’autentica
esperienza di Dio e della sua presenza in mezzo a noi, è l
o spessore impenetrabile dell’indifferenza
e dell’apparenza. L’opera di misericordia spirituale di “insegnare” agli ignoranti ci affida il compito
di essere mediatori di testimonianza e di autenticità. Scriveva Paolo VI: “
L’uomo contemporaneo
ascolta più v
olentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei
testimoni”.
È dunque mediante il nostro vissuto e la vita pienamente realizzata che noi riusciamo a
penetrare e incidere nelle chiusure così cristallizzate di coloro che vivo
no lontano dalla verità e
dalla conoscenza di Cristo.
Come diceva Paolo VI nell’
Evangelii nuntiand
i, l’uomo moderno sazio di discorsi si mostra spesso
stanco di ascoltare e, peggio ancora è immunizzato contro la parola.
Oggi possiamo contare su sostegni d
iversi come i mezzi di comunicazione
di massa che hanno
allargato gli orizzonti al mondo intero.
Occorre rischiare e osare strade non consuete.
Un esempio è rappresentato da
don Milani
che cercò di avvicinare i giovani alla Chiesa col gioco
del pallone, i
l ping pong e il circolo ricreativo. Presto si rese conto che la mancanza di cultura era
un ostacolo alla evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo.
Organizzò così una scuola serale per giovani operai e contadini. Per lui prete la s
cuola era il mezzo
per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando
predicava il Vangelo; lo strumento per dare la parola ai poveri perchè diventassero più liberi e più
eguali e consapevoli dei problemi del popolo.
La sua scuola accoglieva solo operai e contadini,
perchè intendeva eliminare la differenza culturale che esisteva tra questi e altri strati sociali. Per
questo la definiva scuola classista, nel senso cioè di scelta dei poveri. Don Milani diceva :
“Se si p
erde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e
respinge i malati.”
(Da
Lettera a una professoressa).
La Chiesa attraverso i secoli è sempre stata promotrice di cultura e civiltà.
Nei paesi del terzo
mondo d
ove l'analfabetismo è ancora molto diffuso, quest'opera di misericordia è esercitata dai
3
missionari, dai volontari, dalle scuole cattoliche e interessa i catechisti, gli insegnanti di religione
nelle scuole, sacerdoti e laici. Ma diventa veramente opera di
misericordia a due condizioni: se
riesce a essere non soltanto trasmissione di notizie, ma di esperienza e di vita e se riesce a
coinvolgere i genitori che sono i primi maestri dei loro figli.
Proprio l’atteggiamento di misericordia è caratterizzato dalla
percezione che l’altro ha bisogno,
dall’impegno ad aiutarlo, e il “consiglio” è questo. Non si tratta solo di “consigliare i dubbiosi”, ma
anche di “insegnare agli ignoranti”.
Dice l’evangelista che Gesù si commosse di fronte alle folle “
perché erano come
pecore senza
pastore e allora si mise a insegnare loro molte co
se” facendo opera di misericordia. Di fronte alla
commozione per il popolo sbandato. Gesù intuisce il male profondo di questo popolo, che non è
tanto
materiale, ma di smarrimento, di insicurez
za, di mancanza di senso. In mezzo a tanta
confusione
d’opinioni, non è forse anche il nostro, tempo di fame delle cose di Dio? Falsi maestri,
falsi idoli,
ingannevoli stili di vita ci vengono proposti e anche imposti. Un pericoloso
relativismo
intellettua
le e morale si insinua in modo subdolo anche in mezzo a noi cristiani.
Inoltre siamo bombardati da infinite parole di maestri d’ogni specie che pongono sullo stesso
piano il lecito e l’illecito, il bene e il male. Sempre più spesso la persona è lasciata a
se stessa di
fronte ai problemi morali più gravi. Ci vengono a mancare riflessione, saggezza.
Dobbiamo sentire
costantemente la necessità e la gioia di affidarci all’unico vero pastore e maestro: Gesù
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 29 Giu - 9:15

AMMONIRE I PECCATORI

Constatiamo che l’esasperata laicità degli stati moderni, il dilagare, a volte spregiudicato, dei mezzi di comunicazione – giornali, radio, televisione –, e molte altre cause ancora, stanno cancellando il senso del peccato anche nelle famiglie che si dichiarano cristiane. Il peccato è sempre stato presente nella storia umana, e lo è ancora oggi, anche se la stessa parola è scomparsa quasi del tutto e non sono rari i casi nei quali esso viene approvato e applaudito.
Esiste un legame innegabile tra Dio e l’uomo, tra Creatore e creatura, ed è per questo vincolo che il peccato assume il ruolo preciso di rifiuto e di opposizione a Dio. Questo è vero per noi cristiani, ma lo è anche per tutti gli uomini, perché tutti trovano scritto nel loro cuore la legge naturale.
Il peccato si oppone all’amore di Dio per noi e viene definito da Sant’Agostino “l’amore di sé fino al disprezzo di Dio”.
Per distruggere il peccato e per dare a noi la forza di combatterlo, il Padre ci ha tanto amati da darci il suo Figlio Gesù, il quale, per il suo grande amore, si è offerto liberamente alla sua passione e morte.
Conosciamo il grave peccato di adulterio e di omicidio che commise il re Davide, e come il Signore lo abbia severamente ammonito per mezzo del profeta Natan (2 Sam 12,1-13). Anche se non possiamo paragonarci al Profeta Natan, noi credenti non dobbiamo sottrarci alla responsabilità di combattere il peccato in noi stessi, prima di tutto, e poi nel nostro prossimo, perché Dio vuole che tutti si salvino.
La nostra azione parte sempre dalla preghiera, prosegue con la sincera testimonianza del nostro comportamento, quindi, là dove è possibile, con l’esortazione e l’ammonimento fatto con discrezione e carità.
Ricordiamo sempre che noi dobbiamo condannare il peccato ma non il peccatore. Aspettiamo infatti che si converta e viva. Il Concilio Vaticano II afferma: “La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione” (GS 10).

Preghiera di adorazione

Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
O Gesù, che hai guarito il lebbroso, rinnova anche oggi i prodigi della tua misericordia, e donaci il coraggio di diffondere attorno a noi, a imitazione di quel lebbroso, il tuo Vangelo e di proclamare la forza risanatrice del tuo amore per gli uomini.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, tu che sei venuto nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto. Ti preghiamo: vieni a prendere parte della nostra vita umana per consigliarci, difenderci, perdonarci e anche ammonirci, quando è necessario, per ricevere l’abbraccio del Padre.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, ricordati del paralitico che è stato calato giù dal tetto davanti a te e che tu hai guarito e perdonato: donaci compagni sinceri e amici veri che ci conducano a te per ricevere il perdono e la guarigione, per la gioia del Padre tuo e nostro.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, infondi in noi una profonda compunzione per i nostri peccati perché, sottomettendoci ogni giorno al giusto giudizio di Dio nostro Padre, vogliamo adorare te, nostro unico Salvatore, che trasfigurerai il nostro corpo per conformarlo al tuo.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, che passando lungo il mare di Galilea hai detto al figlio di Alfeo: Seguimi, ed entrato in casa di lui, ti sei seduto a mensa con pubblicani e peccatori, dicendo: Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori, apri i nostri cuori alla tua chiamata.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
O adorato Gesù. Con il tuo Santo Spirito aiutaci a non considerare tutti gli uomini come dannati e senza speranza e a non trascurare coloro che si trovano nel pericolo di allontanarsi da te, ma fa’ che possiamo dare loro una mano, perché il tuo cuore si rallegri.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.
O Signore Gesù, fermati quando il nemico ci colpisce e ci butta lungo le strade e soccorrici fasciando le nostre ferite e donandoci il cibo che ci salva. Vieni in nostro soccorso, siamo poveri peccatori e abbiamo fiducia solo in te, il Figlio della Benedetta Vergine Maria.
Rit. Signore Gesù, mandato dal Padre, abbi pietà di noi.

Come ammonire i peccatori

Ammonire vuol dire mettere in guardia con energia e autorevolezza qualcuno contro errori, pericoli, peccati, ma anche esortare, ammaestrare, rimproverare, riprendere, correggere. Si può dunque distogliere uno da una cattiva strada o anche solo correggerlo per il suo comportamento, con diversi interventi, come l’esortazione, l’ammonimento, l’istruzione e l’incitamento. Noi possiamo influire sull’intelletto insegnando, chiarificando, oppure sulla volontà e sul sentimento incitando e ammonendo.
È lo stesso Dio nostro Padre che ci sollecita con il suo amore a prendere qualche iniziativa al riguardo di quest’opera di misericordia spirituale, dicendo: “com’è vero che io vivo, non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33,11). E San Paolo ci dice come dobbiamo agire per la salvezza dei peccatori: “La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente. Ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza” (Col 3,16).
Tutto deve essere fatto per il nostro Signore Gesù, il Figlio di Dio che si è incarnato nascendo da Maria Vergine, e che si è manifestato a tutto il mondo dall’alto della sua Croce, proponendo a tutti la salvezza, cioè l’acquisto della vera ricchezza che è Cristo stesso.
La parola che salva va annunziata a tutti, volenti e nolenti, da coloro che sono addetti alla predicazione – il Papa, i Vescovi, i Parroci, i laici loro collaboratori e tutti battezzati –, i quali devono pure impegnarsi ad ammonire e istruire i fedeli che si trovano in difficoltà.
Secondo San Paolo insegnare e ammonire devono andare di pari passo. Certo nelle nostre famiglie non è così facile né istruire né correggere. Si consiglia di usare discrezione, amabilità e soprattutto dare il proprio esempio. L’abnegazione nei propri doveri, la bontà e il sorriso conquistano assai di più di tante prediche.
Dunque il compito di annunciare Gesù Cristo e di esortare i fratelli spetta a tutti i componenti della comunità che hanno raggiunto quella maturità di spirito evangelico di cui parla San Paolo scrivendo ai Romani: “Fratelli miei, sono convinto che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro” (Rm 15,14).

Alla scuola di maria

Rit. O Maria, rifugio dei peccatori, prega per noi.
Maria, ci sei stata data dal tuo Figlio Gesù non come colei che ammonisce o che rimprovera, ma come donna e madre che ci esorta e ci incoraggia con le parole di san Paolo: Vi supplichiamo, lasciatevi riconciliare con Dio (2 Cor 5,20).
Rit. O Maria, rifugio dei peccatori, prega per noi.
Salve, o Madre del Signore Gesù, a te ci rivolgiamo dai tempi immemorabili con la preghiera accorata e il canto supplichevole: Salve, Regina. Madre di misericordia. E ancora: Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, e nelle Litanie Lauretane: Rifugio dei peccatori, prega per noi.
Rit. O Maria, rifugio dei peccatori, prega per noi.
Maria, dolcissimo nome, siamo felici perché è Dio stesso che ti ha dato, con generosità, un cuore pieno di misericordia verso di noi peccatori. E noi, implorando il suo perdono, ci rifugiamo in te, sicuri di essere accolti da lui. “Ave, piena di grazia, noi peccatori invochiamo la tua clemenza, perché sei compassionevole verso la nostra miseria”.
Rit. O Maria, rifugio dei peccatori, prega per noi.
Tutta bella sei, Maria, e macchia di peccato non è in te. Così ti contempliamo e con te combattiamo le nefaste attrattive del mondo. Mentre con te ci impegniamo a pregare per i peccatori perché si convertano e vivano.
                                                                              Timoteo Munari SDBPICCOLO MOMENTO DI FEDE SETTIMANALE - Pagina 18 Ges%C3%B9+guarisce+indemoniato
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 6 Lug - 9:23

Consolare gli afflitti



San Paolo traduce con queste parole l'opera di misericordia "consolare gli afflitti": "godere con chi è lieto e piangere con chi soffre".

Certamente è più facile la prima parte, godere con chi gode; è più difficile piangere con chi piange.

Eppure ci sono tante situazioni di sofferenza che si incontrano in continuazione nella vita: una disgrazia, una malattia, un dissesto finanziario, uno sfratto, una famiglia che si sfascia, genitori anziani e abbandonati: "Quando una persona vive in una di queste situazioni, molto spesso si trova sola con la propria sofferenza; anche gli amici girano al largo. Anzi è proprio qui che si riconoscono i veri amici. Forse anche ciascuno di noi deve pentirsi di avere lasciato sole persone che conosceva nel momento della sofferenza, mentre si sarebbero attese una nostra presenza: ne avevano bisogno, ne avevano diritto. Noi ci scusiamo dicendo che non abbiamo avuto tempo, che avevamo troppe cose da fare, che proprio non potevamo: in realtà abbiamo avuto poco cuore, poco amore".

Ovviamente, "non si tratta di parole: anzi le parole, quando uno soffre, servono poco. E tanto meno servono alcune espressioni convenzionali e formali: un biglietto di condoglianze, la ghirlanda di fiori, l'inserzione sul giornale. Sono spesso formalità inutili, che non dicono nulla, che non coprono il vuoto di umanità e di amore". "Quello che conta nella sofferenza è il rapporto umano, vero, autentico che può essere espresso anche con una visita, una telefonata, una lettera; ma questi segni devono servire a stare vicino con amore: è il flere cum flentibus, piangere con chi piange.

Il dolore vissuto accanto a chi ha fede è una crescita per tutti. Più difficile è quando non c'è questa luce. Allora "la forma di consolazione in questi casi è una vicinanza sincera, discreta, rispettosa, affettuosa, frutto di umanità viva e di sincero amore".

Amen,alleluia, amen.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 13 Lug - 8:31

Perdonare le offese ricevute



Forse è l'opera più difficile di tutte. Eppure fa parte dell'insegnamento inequivocabile del Vangelo e costituisce la condizione per essere perdonati da Padre che è nei cieli. Senza dubbio, la pratica del perdono fraterno è una strada in salita, non solo perché i nostri sentimenti si ribellano, ma anche perché per giungere alla riconciliazione completa bisogna essere in due a volerla. Come regola, è necessario che il perdono e la riconciliazione si basino sulla chiarezza e sulla verità. Perdonare perciò significa: tentare sempre di chiarire ciò che è causa di tensione e di scontro; non togliere mai il saluto a nessuno, anche quando non siamo riusciti a chiarire e a capirci; non fare mai del male ad alcuno, neanche quando ci capitasse l'occasione di vendicarci...

Una regola d'oro è questa: non lasciare mai scendere la notte su tensioni non chiarite, su offese non perdonate. "Non tramonti mai il sole sulla vostra ira".

Ma è possibile tutto questo all'umana debolezza? Il Signore non ci comanda forse una cosa superiore alle nostre forze? La risposta sta nelle parole dell'apostolo San Paolo: "Tutto posso in colui che mi dà la forza".

Amen,alleluia,amen.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 20 Lug - 8:57

SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE

Il cristiano vive immerso ogni giorno nelle sofferenze, che sono quelle di Cristo, e porta la croce, che è sempre quella di Cristo, per questo egli è consolato dal Signore Gesù e da lui stesso riceve la forza della pazienza (cfr 2 Cor 1,6).
Si tratta, dunque, di guardare con viva fede all’atteggiamento del Padre celeste verso questo mondo, e in particolare ammirare la volontà precisa del Signore Gesù verso la sua Chiesa per la quale egli ha dato tutta la sua vita fino alla croce.
Dio è paziente, non colpisce l’uomo peccatore, lo vuole salvare, egli trattiene la sua ira perché l’uomo si converta e viva. In particolare Gesù, eterno Figlio del Padre, e fatto uomo nel seno di Maria Vergine, ha voluto portare su di sé la maledizione della croce, e sulla croce stessa ha soddisfatto pienamente alla giustizia del Padre. Per Gesù noi siamo salvati, in lui consolati e con lui fortificati per affrontare tutte le varie situazioni che la vita di credenti ci presenta.
Dio concede tutto a tutti, ma sa bene dove vuole arrivare: “Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza delle verità” (1 Tm 2,4). Egli permette che il bene e il male convivano insieme, anche se i rischi sono molti. Egli è il più forte di tutti.
Non devo pensare che Dio guardi con indifferenza tutte le nostre situazioni e che lasci correre, lavandosene le mani. Il Padre, appunto perché tale, soffre e ama. La sua attesa è grande. La sua pazienza è una potente prova d’amore: egli vuole soccorrere tutti quelli che ama. A volte noi siamo troppo impazienti. Troviamo troppo lungo il tempo concesso alla conversione dei cattivi e a un radicale cambiamento di coloro che ci danno tanti fastidi e che ci combattono.
Gesù ci ama, e sa come deve fare per condurre i nostri cari alla pratica della religione. Egli lo fa a modo suo e nei tempi che sono a sua disposizione. La sua pazienza è disarmante. Il Tempo è suo. Il prezzo che ha versato è la sua morte in croce. Armiamoci anche noi di pazienza, non lasciamoci prendere dalla sfiducia, crediamo nel cambiamento dei nostri fratelli. Amiamo, l’amore disarma i cuori.

Come sopportare con pazienza ogni contrarietà

Sopportare vuol dire subire qualcosa che comporta sofferenza, disagio, privazione. Vuol dire anche tollerare, accettare senza reagire sia avvenimenti sia comportamenti spiacevoli. Ben lontano dall’opera di misericordia spirituale: “Sopportare pazientemente le persone moleste” è la sopportazione che sfocia nell’impazienza e insofferenza nei riguardi di certe persone o cose che non sono gradite.
In quest’opera di misericordia deve entrare necessariamente la virtù della pazienza, altrimenti tutto va in fumo per il cristiano. La pazienza è un comportamento caratterizzato dalla capacità di dominare, per amore di Dio, se stessi, i propri impulsi, le proprie reazioni, di fronte a persone e fatti che ci recano disagi, molestie, offese.
L’esercizio di sopportare con pazienza le persone moleste ci rende sempre migliori e forti. Dice un proverbio: “Con la pazienza si arriva a tutto”. Il cristiano, infatti, sa bene che, quando è avversato da persone fastidiose o da avvenimenti spiacevoli, si trova nella condizione di partecipare alla croce di Cristo. Per questo è consolato dal Signore. Consolazione che produce in lui la forza della pazienza e accende la speranza, che è la sicura certezza della vita eterna. Si può dire, dunque, che la sopportazione paziente riceve la sua forza e il suo sostegno dalla virtù della speranza.
La sopportazione paziente richiede perseveranza senza la quale non si può costruire nulla. “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo” (Mc 13,13). San Paolo scrive: “Rivestitevi di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, gli uni verso gli altri” (Col 3,12). Qui l’accento è posto sulla “pazienza”. Anche di Dio è detto che “trattiene l’ira, la punizione, perché è benigno, paziente, e vuole portarci al ravvedimento” (Rm 2,4).
Come Dio dona a ciascuno di noi il tempo di cambiare, di convertirsi, così anche noi dobbiamo offrire alle persone moleste una nuova opportunità di vivere in pace con tutti, usando pazienza, longanimità, indulgenza. Se ci impegniamo, con la pazienza di Dio, in quest’opera di misericordia spirituale, avremo un forte aiuto nel mantenerci fedeli ai nostri doveri, come Mosè che in mezzo a mille tribolazioni rimase saldo e perseverò come se vedesse Colui che è invisibile (cfr Eb 11,27), e come Gesù che affrontò liberamente passione e morte senza perdere di vista la risurrezione, la vittoria sul peccato e sulla morte.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 27 Lug - 9:03

PREGARE DIO PER I VIVI E I MORTI
Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e goderlo per sempre in paradiso, e cioè per vivere sempre in comunione con lui.
Ognuno di noi lo prega dall’intimo del cuore, perché sa che Dio, suo creatore, è un padre buono e fedele ai suoi progetti e alle sue promesse. La settima opera di misericordia spirituale c’invita a rivolgere a Dio una preghiera tutta particolare che ci sta molto a cuore, cioè la supplica e l’intercessione in favore dei vivi e dei defunti.
Quando la nostra domanda viene fatta nella viva fede di essere esauditi, e nel nome del Signore Gesù, nostro salvatore, e secondo la volontà del Padre celeste, che vuole solo il nostro bene, allora siamo sicuri che la nostra preghiera sarà ascoltata. Come e quando non lo sappiamo, però siamo certi che Dio non delude mai, se no non sarebbe Dio. Pertanto dobbiamo ringraziare sempre anche prima di avere ricevuto la grazia richiesta.
Il cristiano possiede le primizie dello Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio Gesù, tanto che il suo corpo è tempio vivo dello stesso Spirito. Per questo egli è figlio di Dio e pertanto vive nella sicura speranza della risurrezione per la vita eterna. Già ora crediamo e amiamo così, anche se dobbiamo dibatterci, ogni giorno, nella condizione dolorosa della nostra fragilità umana. Un giorno sarà piena e felice libertà per noi e per i nostri cari.
Quando preghiamo parliamo con Dio, ci accostiamo a lui, e poiché lo facciamo con Cristo, noi stessi diventiamo “preghiera”, e siamo il “gemito ineffabile” dello Spirito Santo che in noi grida: “Abbà, Padre” (Rm 8,15). Quando preghiamo mettiamoci in sintonia con lo Spirito Santo per portare a compimento il progetto del Padre che vuole la salvezza di tutti gli uomini (1 Tm 2,4). E poiché, a volte, non sappiamo domandare quello che ci conviene, allora lasciamo che lo Spirito Santo stesso “interceda con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26).
Come pregare per i vivi e per i defunti

Santa Monica, poco prima di morire, si rivolse ai suoi due figli, chiedendo loro di essere ricordata “innanzi all’altare del Signore”. Così la pensavano già i santi nei primi secoli della Chiesa.

La preghiera che innalziamo al Padre è come una lotta in favore di tutti, vivi e defunti: coloro che ci sono cari, ma anche tutti i peccatori e quanti si trovano in difficoltà e i nostri defunti. Scrive San Giacomo: “Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza” (Gc 5,16). Anche Gesù sulla croce implorava per i peccatori: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Noi cristiani conosciamo bene il luogo sicuro dove le nostre preghiere e lacrime sono esaudite: la Santa Messa. La Messa, infatti, è l’azione di grazie, di lode e di intercessione che Gesù offre a Dio Padre in favore di tutta l’umanità, vivi e defunti. Non c’è nulla di più efficace che unirci a Gesù nella Celebrazione Eucaristica, per ottenere grazie di guarigione e di misericordia.

       – Ti offriamo, Padre, questo Sacrificio di lode per ottenere per noi e per i nostri cari, redenzione, sicurezza di vita e salute.
       – Abbi misericordia di tutti, o Dio nostro, e donaci la vita eterna insieme con la Beata Maria e tutti i santi.
       – Concedi pace e salvezza al mondo intero e ricongiungi a te tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
       Sono queste alcune delle tante espressioni della Liturgia Eucaristica con le quali ci rivolgiamo a Dio in favore dei vivi. Qui di seguito ne presentiamo altre in favore dei nostri defunti.
       – Ricordati, Padre, dei nostri fratelli che ci hanno preceduto con il segno della fede, dona loro beatitudine, luce e pace.
       – Ricordati di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza, e concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gioia.
       – Accogli nella tua casa, o Padre, i nostri cari defunti che sono morti in Cristo, perché si riuniscano insieme con lui per la vita senza fine.
       – Concedi, Padre, ai nostri fratelli defunti di risvegliarsi nell’ultimo giorno nella gioia della risurrezione.
       Nella Santa Messa noi possiamo presentare al Padre per mezzo di Gesù Cristo tutte le intenzioni che ci stanno a cuore, sicuri che arrivano al cuore del nostro Dio.

       Preghiamo la Vergine Maria

       Rit. Salve, Regina, madre di misericordia, intercedi per noi.
       Benedetta sei tu, Maria, fra tutte le donne,
       ascolta, ti preghiamo, il nostro grido:
       presenta al Padre la tua potente intercessione
       per noi e per tutti i nostri cari,
       adesso e nell’ora della nostra morte.
       Rit. Salve, Regina, madre di misericordia, intercedi per noi.
       O Maria, dolcezza e speranza nostra,
       da questa valle di lacrime innalziamo a te,
       avvocata nostra, questa supplica:
       mostra a noi e ai nostri cari defunti,
       il tuo Gesù, dolce volto d’eterna consolazione.
       Rit. Salve, Regina, madre di misericordia, intercedi per noi.
       O Madre di Dio, Maria,
       tabernacolo dello Spirito Santo,
       aiutaci nei pericoli, ottienici il perdono,
       difendi e guarisci coloro che amiamo,
       e dopo quest’esilio terreno, portaci tutti
       verso la dimora di luce e di pace senza fine.
       Rit. Salve, Regina, madre di misericordia, intercedi per noi.
       O Maria, Regina del cielo,
       portaci tutti sulla strada della salvezza
       perché il Padre gioisca e il Figlio si rallegri
       e perché lo Spirito Santo c’infiammi d’amore,
       sì che possiamo fuggire il peccato, veleno di morte, e aprici la porta del giardino celeste
       nel quale si entra per l’infinita misericordia di Dio.
       Rit. Salve, Regina, madre di misericordia, intercedi per noi.
                                                                  Timoteo Munari SDB

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