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PICCOLO MOMENTO DI FEDE SETTIMANALE

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Messaggio  DomenicoPassante Dom 25 Mar - 10:19

Che cosa dice la Bibbia sulla depressione? In che modo un cristiano può sconfiggere la depressione?

Domanda: "Che cosa dice la Bibbia sulla depressione? In che modo un cristiano può sconfiggere la depressione?"

Risposta: La depressione è una malattia diffusa che colpisce milioni di persone, tanto cristiane quanto non. Coloro che soffrono di depressione possono sperimentare degli intensi sensi di tristezza, rabbia, disperazione, stanchezza e una varietà di altri sintomi. Possono cominciare a sentirsi inutili e sperimentare perfino manie suicide, perdendo interesse per le cose e per le persone con cui un tempo si trovavano bene. Spesso la depressione è scatenata dalle circostanze della vita come la perdita del lavoro, la morte di una persona cara, oppure il divorzio o problemi psicologici come la violenza sessuale o una bassa autostima.

La Bibbia ci dice di essere pieni di gioia e di lode (Filippesi 4:4; Romani 15:11), così Dio sembra volere che viviamo tutti una vita gioiosa. Questo non è facile per qualcuno che soffre per una depressione dovuta a una certa situazione, ma vi si può rimediare grazie ai doni di Dio della preghiera, dello studio e dell’applicazione della Bibbia, dei gruppi di sostegno, dei gruppi in casa, della comunione fra credenti, della confessione, del perdono e della consulenza. Dobbiamo fare lo sforzo consapevole di non essere concentrati su noi stessi, quanto piuttosto di rivolgere i nostri sforzi all’esterno. Spesso i sentimenti di depressione si possono risolvere quando chi ne soffre sposta la concentrazione da se stesso e la mette su Cristo e sugli altri.

La depressione clinica è una malattia fisica che dev’essere diagnosticata da un medico. Non è provocata da circostanze sfortunate della vita, né i suoi sintomi possono essere alleviati con la propria volontà. Contrariamente a quanto credono alcuni appartenenti della comunità cristiana, non sempre la depressione clinica è causata dal peccato. Talvolta la depressione può essere un disordine che dev’essere trattato con medicinali e/o con l’analisi. Naturalmente, Dio è in grado di curare qualunque malattia o disordine. Tuttavia, in alcuni casi, farsi visitare da un medico per la depressione non è affatto diverso che farlo per una ferita.

Ci sono alcune cose che possono fare quanti soffrono di depressione per alleviare la loro ansietà. Dovrebbero accertarsi di dimorare nella Parola, anche quando non se la sentono. Le emozioni possono portarci fuori strada, ma la Parola di Dio resta stabile e immutabile. Dobbiamo mantenere una forte fede in Dio, e tenerci ancora più saldi a Lui quando affrontiamo prove e tentazioni. La Bibbia ci dice che Dio non permetterà mai, nella nostra vita, le tentazioni che siano troppo forti per noi da affrontare (1 Corinzi 10:13). Sebbene essere depressi non sia un peccato, si è tuttavia responsabili per come si reagisce all’afflizione, anche chiedendo l’aiuto di un professionista di cui si ha bisogno. "Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome" (Ebrei 13:15).
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 15 Apr - 9:33

[b]Il dare nel Nuovo Testamento – sostenere le vedove


Un'altra area dove il sostenimento nel Nuovo Testamento era diretto erano le vere vedove. Le vedove nella Bibbia sono quelle donne che hanno perso il loro marito attraverso la morte. Forse alcuni di voi sarà sorpreso che dobbiamo chiarire tutto questo. Ma devo farlo perché ho letto da qualche parte che questo include anche quelle che sono separate o divorziate. Benché queste ultime hanno bisogno del sopporto della fratellanza non sono classificate vedove. “Vedova” nella Bibbia – e come parola Greca in generale – è la donna che ha perso suo marito attraverso la morte.

Avendo chiarito ciò, è mostrato ovunque nella Bibbia che esse hanno un posto speciale nel cuore di Dio. Qui ci sono alcuni passaggi del Vecchio Testamento.

Esodo 22:23
“Non affliggerete alcuna vedova, né alcun orfano. Se in qualche modo li affliggi, ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido;”

Deuteronomio 10:17-18
“poiché l’Eterno, il vostro Dio, è l’Iddio degli dei, il Signor dei signori, l’Iddio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta presenti, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito.”

Deuteronomio 24:17-21
“Non conculcherai il diritto dello straniero o dell’orfano, e non prenderai in pegno la veste della vedova;.... “Allorché, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche manipolo, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando scuoterai i tuoi ulivi, non starai a cercar le ulive rimaste sui rami; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non starai a coglierne i raspolli; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova.”

Come abbiamo visto precedentemente le decime avevano come beneficiari le vedove:

Deuteronomio 26:12-13
“Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l’anno delle decime, e le avrai date al Levita, allo straniero, all’orfano e alla vedova perché ne mangino entro le tue porte e siano saziati,dirai, dinanzi all’Eterno, al tuo Dio: Io ho tolto dalla mia casa ciò che era consacrato, e l’ho dato al Levita, allo straniero, all’orfano e alla vedova, interamente secondo gli ordini che mi hai dato; non ho trasgredito né dimenticato alcuno dei tuoi comandamenti.”

Deuteronomio 27:19
“Maledetto chi conculca il diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova! E tutto il popolo dirà: Amen.”

Salmi 146:9
“l’Eterno protegge i forestieri, solleva l’orfano e la vedova, ma sovverte la via degli empi.”

Proverbi 15:25
“L’Eterno spianta la casa dei superbi, ma rende stabili i confini della vedova.”

Isaia 1:17
“imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova!”

Geremia 7:6-7
“se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dei,io altresì vi farò abitare in questo luogo, nel paese che ho dato ai vostri padri in sempiterno.”

Geremia 22:3
“Così parla l’Eterno: Fate ragione e giustizia, liberate dalla mano dell’oppressore colui al quale è tolto il suo, non fate torto né violenza allo straniero, all’orfano e alla vedova,..”

Zaccaria 7:9-10
“Così parlava l’Eterno degli eserciti: Fate giustizia fedelmente, e mostrate l’uno per l’altro bontà e compassione; e non opprimete la vedova né l’orfano, lo straniero né il povero; e nessuno di voi macchini del male contro il fratello nel suo cuore.”

Io credo che questi passaggi delle scritture rendono chiaro quanto le vedove, insieme agli orfani ed i stranieri siano importanti nel cuore del Signore. Questo è continuato anche nel Nuovo Testamento. Noi leggiamo in Atti 6:1 che “sorse un mormorio degli Ellenisti contro gli Ebrei, perché le loro vedove erano trascurate nell’assistenza quotidiana.” L'assistenza quotidiana vuol dire l'assistenza che era fatta da ognuno, al di fuori del fondo comune che la chiesa aveva stabilito in relazione ai loro bisogni. Nessuno era trascurato, e specialmente le vedove, poiché erano persone che avevano bisogni speciali.

Nel Nuovo Testamento il soggetto delle vedove è trattato ampiamente, ed il loro relativo sostegno, in I Timoteo 5. Li noi leggiamo

I Timoteo 5:3
“Onora le vedove che son veramente vedove.”

L'onore come abbiamo spiegato precedentemente riguarda onorare gli anziani incluso anche un sopporto materiale. Non tutte le vedove possono avere questo onore. Per il semplice fatto che quando una donna diventa vedova non è ovvio che essa sia veramente vedova a cui l'onore è dovuto. Qual'è la differenza? Paolo ce lo dice chiaramente in I Timoteo 5 :

I Timoteo 5:5-6
“Or la vedova che è veramente tale e sola al mondo, ha posto la sua speranza in Dio, e persevera in supplicazioni e preghiere notte e giorno; ma quella che si dà ai piaceri, benché viva, è morta.”

C'è la vedova che ha posto la speranza in Dio e persevera in supplicazioni e preghiere “notte e giorno”. Ma c'è anche la vedova che ha uno stile di vita mondano. La frase “si dà ai piaceri” è parola Greca “Spatalao”. “Spatalao” vuol dire “vivere sfrenatamente” (Dizionario di Vine, pag. 871) La parola forma il verbo (“spatali”) che vuol dire “eccessiva sfrenatezza, vanitosa, spendendo esageratamente il denaro” (Mega Lexicon della Lingua Greca, pag 6621). Tali vedove, vedove che hanno uno stile di vita egocentrico, vedove che vivono sfrenatamente, non sono veramente vedove. E l'onore non è dovuto a questo tipo di vedove.

Avendo ben chiarito questo fin dall'inizio, Paolo mette anche molto chiaro che i figliuoli ed i nipoti delle vere vedove sono i primi che hanno responsabilità verso di loro. Ecco qui quello che dice:

I Timoteo 5:4,7-8
“Ma se una vedova ha de’ figliuoli o de’ nipoti, imparino essi prima a mostrarsi pii verso la propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, perché questo è gradito nel cospetto di Dio. Anche queste cose ordina, onde siano irreprensibili. Che se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore dell’incredulo.”

C'è una chiara responsabilità per i figlioli verso i genitori, inclusi i nipoti. Come la Parola dice, i figlioli devono “rendere il contraccambio”. Come è menzionato nel dizionario di Vine riguardo questa parola. La parola “rendere” è la parola Greca “amoive” che vuol dire “ricompensa”, è usata con il verbo “apodidomi”, a rendere, in I Timoteo 5:4.

C'è un'obbligazione da pare dei figlioli e nipoti verso i loro genitori. Questa è l'obbligazione “di onorare i genitori” che include prendere cura di loro ed il loro benessere. Nel caso delle vedove, i loro figlioli ed i loro nipoti dovrebbero prendere cura dei loro bisogni. Prendere cura della famiglia è una priorità ed è infatti un'obbligazione che ognuno di noi ha. Credo che questo argomento è stato precedentemente menzionato: questo tipo di “dare” ha una predominanza su qualsiasi altro dare. Altri tipi del dare sono volontarie contribuzioni. Questa non lo è. Questa qui è un'obbligazione. Non ci sono opzioni. Questo ci dimostra quanta importanza Dio dà ad esso. Se tu sei un credente tu devi “rendere il contraccambio” ai tuoi genitori (e nonni), cioè prendere cura di loro e dei loro bisogni. E questo chiarisce il verso 8 che dice “Che se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore dell’incredulo.” Questo è una cosa veramente seria.

Andando avanti sul soggetto delle vedove, la Parola di Dio ci dice qualcosa in più a riguardo delle partecipazioni della chiesa concernente la cura delle vedove:

I Timoteo 5:9-16
“Sia la vedova iscritta nel catalogo quando non abbia meno di sessant’anni: quando sia stata moglie d’un marito solo, quando sia conosciuta per le sue buone opere: per avere allevato figliuoli, esercitato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti, concorso ad ogni opera buona. Ma rifiuta le vedove più giovani, perché, dopo aver lussureggiato contro Cristo, vogliono maritarsi, e sono colpevoli perché hanno rotta la prima fede;ed oltre a ciò imparano anche ad essere oziose, andando attorno per le case; e non soltanto ad esser oziose, ma anche pettegole e curiose, parlando di cose delle quali non si deve parlare. Io voglio dunque che le vedove giovani si maritino, abbiano figliuoli, governino la casa, non diano agli avversari alcuna occasione di maldicenza, poiché già alcune si sono sviate per andar dietro a Satana. Se qualche credente ha delle vedove, le soccorra, e la chiesa non ne sia gravata, onde possa soccorrer quelle che son veramente vedove.”

C'è un “numero” (Greco: katalaigo = tesserata) in cui alcune vedove erano incluse ed altre no. Che cos'è questo “numero”, questo tesseramento? Sebbene Paolo non lo menziona esplicitamente, sembra di essere qualcosa familiare a Timoteo ed io credo che esso era il numero delle vedove che erano sostenute dalla chiesa. Questo numero non era dato a tutte le vedove, solo a quelle di 60 anni ed oltre, e sotto alcune particolari condizioni. Per le giovani vedove, Paolo, e Dio attraverso la Sua Parola, desidera che esse si maritano ed abbiano figli. L'ultimo verso di questo passaggio ricapitola il tutto: se qualche credente ha delle vedove, le soccorra, e la chiesa non ne sia gravata con il loro sopporto. Comunque la chiesa avrebbe dovuto sostenere le vecchie vedove che erano veramente vedove conformemente alle condizioni date nel verso antecedente e se non c'era nessuno dalla loro famiglia capace o essere disposto a dargli il sopporto necessario.

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Messaggio  DomenicoPassante Mer 25 Apr - 9:20

Solo per Oggi: Opera di misericordia Spirituale "ISTRUIRE GLI IGNORANTI"
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 6 Mag - 8:43

Aspetti

biblico-antropologici

del ricordare

e del perdonare

Giorgio Bonaccorso

La relazione tra il ricordare e il perdonare, tra la memoria e il perdono, è quanto mai complessa e può essere indagata sotto diverse prospettive. Per un verso, la memoria è, in un modo o nell’altro, la condizione previa del perdono, dato che questo riguarda la reazione al ricordo di un evento che ha infranto i rapporti umani. Per un altro verso, però, il perdono è un atteggiamento che contribuisce a costruire la memoria.

Dalla memoria al perdono

La dinamica tra l’offesa, la memoria, l’oblio e il perdono1 può venire inquadrata puntando l’attenzione sulla memoria per riconoscervi il luogo originario di un possibile perdono. Dalla memoria al perdono, ossia: la memoria è quanto io conservo per rapportarmi all’altro sotto il profilo del perdono.

1.1. Alcune premesse antropologiche.

La memoria è un dispositivo neurologico che consente all’organismo di conservare informazioni necessarie per risolvere i problemi emergenti dal rapporto con l’ambiente2. Essa svolge un ruolo particolarmente rilevante nell’uomo, nel quale si possono osservare una memoria implicita e una memoria esplicita3. Il punto nodale è il rapporto col tempo e con la coscienza, osservabile tanto a livello di memoria a breve termine quanto a livello di memoria a lungo termine, tipica soprattutto dell’uomo. Nonostante le posizioni parzialmente diverse, si deve riconoscere una innegabile interdipendenza tra memoria e coscienza4. In tal modo, la memoria, ha una considerevole valenza psichica, come emerge anzitutto dalla dinamica tra la sfera inconscia e la sfera conscia: i ricordi sono distribuiti a diversi livelli, ossia al di qua e al di là della linea di consapevolezza. La memoria è quindi più ampia della coscienza e la condiziona nella sua visione del mondo e nelle sue scelte. Tutto ciò avviene all’interno dei rapporti che coinvolgono la dimensione sociale: la creazione umana dei ricordi, infatti, è legata alla possibilità di semiotizzarli, ossia a quei linguaggi verbali e non verbali che implicano il rapporto intersoggettivo. La memoria è una costruzione psico-sociale a più livelli: ricordi inconsci, ricordi consapevoli, passaggio dall’inconscio al conscio.

La conseguenza di quanto si è detto sopra è che la memoria è una costruzione psicosociale che condiziona le scelte degli individui, compreso il perdono. Tale condizionamento dipende anzitutto dal fatto che il perdono implica il ricordo di una qualche offesa. C’è però un altro motivo, per comprendere la quale occorre tenere presente che la relazione significativa con la realtà (appunto il valore) non è data da un’oggettività astrattoargomentativa ma dalla memoria: ogni giorno io incontro qualcosa o qualcuno, la cui consistenza è garantita anzitutto dal fatto che la memoria rende «duratura» la presenza di quel qualcosa e di quel qualcuno. La memoria è la realtà stabile che impedisce la disintegrazione negli innumerevoli frammenti dell’esistenza. In quella memoria è conservata anche la stabilità dei rapporti con gli altri e quindi la condizione a partire dalla quale si gestiscono i rapporti con gli altri. Alla luce di tutto questo si può affermare che la memoria condiziona il perdono sotto due profili:

a) La memoria come ricordo di un’offesa: il perdono accordato oggi presuppone un’offesa avvenuta nel passato e conservata come ricordo;

b) La memoria come costruzione di un atteggiamento: l’atteggiamento del perdonare dipende dai valori conservati dalla memoria collettiva.

1.2. Qualche indicazione teologica.

Il secondo punto della memoria coinvolge le dimensioni filosofica e teologica. La memoria, nelle sue dinamiche neuro-psico-sociali, sembra delinearsi come un modo col quale l’individuo si inserisce nell’ambiente inteso sotto il profilo del tempo: la memoria è un entrare nel tempo. In termini più filosofici, potremmo affermare che la memoria è un modo per rimanere nel tempo. L’antica filosofia greca, però, elabora un’altra interpretazione del ricordare. Per Platone, la memoria è ciò che consente all’anima di riconoscere quelle cose le cui essenze ha contemplato prima di essere unita a un corpo: se non conservasse un qualche ricordo di quelle essenze non riuscirebbe neppure a riconoscere le realtà del mondo sensibile. Si tratta, però, di ricordi, per così dire, impliciti, ancora troppo immersi nell’oblio. Il cammino dell’anima deve essere quello di risalire alle essenze, al loro pieno ricordo. In altri termini, l’anima, che proviene da un essere senza tempo e vive in un tempo senza essere, deve uscire dall’oblio e tornare alle sue origini. In ultima analisi, la memoria è un uscire dal tempo.

L’aspetto sorprendente è che il mondo biblico sembra coniugare le due attitudini della memoria, delineate sopra, grazie a una prospettiva molto diversa da quella greca: un entrare nel tempo ma anche l’apertura a ciò che è oltre il tempo. Possiamo condensare queste due 3 attitudini della memoria negli aspetti rispettivamente profetico ed escatologico della visione giudeo-cristiana. L’aspetto profetico è la memoria che inserisce nel tempo, nella storia: in esso scopriamo l’attitudine ad assumere le vicende umane e a modificarle secondo alcuni eventi fondanti. L’aspetto escatologico è la memoria che apre orizzonti oltre il tempo e la storia: esso è caratterizzato dall’annuncio del Regno definitivo, dove la morte è ormai sconfitta, sollevando l’uomo dalla paura tipica di chi è nel divenire temporale e storico.

Le due modalità appena segnalate implicano il patto di alleanza che appunto perché diventa «memoria» del popolo ebraico chiede il suo mantenimento nei comportamenti attuali: «Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt 5,15; cf Dt 5,18)5. Nel NT il caso emblematico è rappresentato dall’istituzione dell’eucaristia: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1Cor 11,23-25).

La memoria dell’alleanza implica una complessa relazione umana e teandrica che prevede anche il perdono: tanto il perdono da parte di Dio verso il suo popolo, quanto il perdono tra i membri del popolo o della comunità. Le memoria teologica costituisce l’orizzonte, profetico ed escatologico di un possibile incontro di perdono.

Dal perdono alla memoria

Il rapporto tra la memoria e il perdono può prestarsi a un importante capovolgimento evidenziabile già da un punto di vista antropologico. Il capovolgimento, però, sembra particolarmente evidente se ci si sposta sul versante teologico-biblico6. Il percorso è dunque dal perdono alla memoria, ossia: il perdono è un rapportarsi all’altro che condiziona e costruisce la memoria.

2.1. Un presupposto antropologico sul perdono.

Il ruolo accordato al perdono nella costruzione della memoria implica l’abbandono del pregiudizio secondo il quale alla base dei ricordi c’è la ragione. Indubbiamente, la sfera intellettuale costituisce una componente inalienabile per la memoria, ma appunto come componente e non come origine assoluta. Non esiste infatti, una ragione pura da cui promanerebbe tutta l’attività umana, compresa la capacità di ricordare, ma una ragione condizionata, ossia intrinsecamente segnata dalle situazioni biologiche, psichiche e sociali. Proprio per questo motivo, le funzioni cognitive della mente, e quindi la ragione, sono condizionate dalla sfera emotiva7 nelle sue diverse qualifiche neurologiche, psichiche e sociali. In modo particolare, le emozioni condizionano i ricordi che non sono quindi relegabili alla semplice attività intellettiva. L’aspetto che qui interessa maggiormente, però, riguarda il perdono, che non può essere inteso solo come scelta razionale dipendente da una posizione razionale, ma anche come interscambio emotivo tra le persone. Il perdono, anzi, sembra un caso emblematico di collaborazione tra ragione ed emozione: collaborazione che incide sulla memoria individuale e collettiva.

Il rapporto tra il perdono e la memoria può essere esaminato alla luce di dispositivi razionali ed emotivi che giocano tra costruzione e ricostruzione dei rapporti umani. In termini estremamente sintetici, possiamo affermare che se il perdono, nel suo senso più profondo e complesso, può essere inteso come una dinamica razionale ed emotiva che consente la ricostruzione dei rapporti umani e se la memoria, sotto il profilo psico-sociale, implica la costruzione dei rapporti umani, allora la relazione tra i due assume un risvolto tale per cui il primo condiziona la seconda. In termini più semplici: poiché la costruzione dei rapporti è la condizione originaria della memoria, la ricostruzione dei rapporti, ossia il perdono, è parte integrante di quella condizione. In termini ancora più sintetici: il perdono condiziona la memoria. Questa affermazione risulta particolarmente vera se si accede a un ambito diverso, non più strutturale-antropologico ma storico-teologico, ossia se si esamina il mondo biblico.

2.2. L’essere perdonato: la memoria di un senso che include la sua negazione.

«Il perdono cristiano colpì gli intellettuali antichi»8, e in effetti nella prospettiva evangelica l’atto del perdonare svolge un ruolo centrale sotto diversi profili che condizionano la memoria. Il primo e più importante è costituito dall’essere perdonati da Dio, come appare già nell’AT: «Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri peccati» (Sal 65,4). La storia del popolo ebraico è il racconto di una ininterrotta disposizione divina a perdonare: l’essere perdonata qualifica la comunità credente al punto che potremmo definirlo come l’asse portante del grande codice biblico.

Nel NT il momento centrale del perdono col quale Dio riconcilia a sé gli uomini è quello pasquale, espresso sulla croce: «Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”» (Lc 23,34). Nel momento stesso in cui viene rifiutato, Dio perdona. Altri passi evangelici si muovono sulla stesso piano. Al paralitico calato dal tetto, Gesù dice: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Occorre aprire il tetto della casa, per lasciare spazio alla possibilità inedita di ricevere la salute, fisica e spirituale. E occorre ugualmente sfondare la casa dei pregiudizi per ascoltare la frase di Gesù alla peccatrice: «Ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 7,48). Qui inizia la costruzione della memoria nella quale si conserva la condizione umana. L’essere perdonato è un atto retrospettivo: un atto accolto oggi e che consente di avere una prospettiva sul passato. Il perdono ricevuto è un racconto che svela la condizione umana, la condizione, cioè, di essere peccatore (come emerge soprattutto nei testi paolini e giovannei), e di essere anticipati nell’atto della riconciliazione. Già in questo senso, l’essere perdonato costruisce la nostra memoria.

Il racconto del figlio prodigo è emblematico: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,20-24). Da una parte la coscienza di una rottura: «non sono più degno di essere chiamato tuo figlio»; dall’altra l’affermazione di una parentela che non si può distruggere: «questo mio figlio…». Il perdono, inteso come essere perdonato, crea il ricordo di un’origine insuperabile: si appartiene all’origine del mondo e dell’esistenza, con un legame che non può venire spezzato da nessun comportamento negativo. In tal modo, il perdono costruisce la memoria in modo del tutto originale: una memoria, cioè, che consente di orientarsi nella vita e che include fin dall’inizio il negativo.

La cosa più preziosa della memoria è di consegnarci il senso della vita; essa, però, conserva anche le ferite che distruggono il senso della vita. Il perdono, come atto dell’essere perdonato, coniuga i due aspetti della memoria, perché apre al senso in quella modalità del tutto peculiare che include il fallimento del senso. All’inizio non c’è il bene o il male, ma il perdono che fa subito i conti col male per poter indicare il bene. La memoria, costruita sul perdono, viene trasformata perché avverte del male interno a ogni costruzione di bene. Il perdono è la costruzione di una memoria nella quale il senso ha già messo in conto la negazione del senso.

2.3. Il perdonare: la memoria di una relazione che include la sua rottura.

L’essere perdonati rappresenta l’origine dell’esistenza e quindi ne qualifica lo sviluppo nella forma del perdonare: «Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”» (Mt 18,21-22). Il perdonare non è semplicemente ciò che mi devo ricordare di fare il più volte possibile, ma la ricostruzione di rapporti con coloro senza i quali non può esistere una memoria che mi orienta nella vita. Abbiamo un capovolgimento del rapporto tra la memoria e il perdono. Col termine memoria si può intendere la raccolta dei ricordi, ossia il contenitore di oggetti mentali: in base a questi 6 ricordi posso decidere alcune azioni da compiere, tra le quali quella di perdonare o meno. La dinamica è evidente: tra me e gli altri ci sono dei ricordi, e sono questi ricordi a decidere del rapporto tra me e gli altri. In tal modo il perdono è condizionato dalla memoria. Nel testo citato sopra, Gesù suggerisce un altro atteggiamento, ossia quello di partire non dalla memoria ma dal perdono: perdonare sempre vuol dire che il perdono non dipende dai ricordi, ma viceversa che i ricordi sono ricostruiti dal perdono. La dinamica è evidente: i ricordi dipendono dal rapporto tra me e gli altri, ed è questo rapporto a decidere dei ricordi. Il capovolgimento è fondamentale, perché mettendo al primo posto il perdono, si considerano più rilevanti i soggetti umani rispetto agli oggetti che chiamiamo ricordi.

La controprova evangelica più clamorosa di questa affermazione è l’amore al nemico: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,43-46; cf Lc 6,27ss). Il primato del perdono sul ricordo, legittima l’amore al nemico nonostante che nella mia memoria rimanga un nemico. Da ciò emerge una conseguenza di primo piano. Il nemico è il non prossimo, il non vicino, e più ancora il segno di una rottura. L’amore al nemico non è la sparizione del nemico o della rottura, ma l’atteggiamento che mette nella memoria anche il nemico e la rottura. Non si cancella la rottura dei rapporti ma la si include in una logica più ampia (la logica agapica): in tal modo il nemico non è più il simbolo della rottura dei rapporti ma è reso parte integrante dei rapporti. Il perdono è la costruzione di una memoria nella quale la relazione ha già messo in conto la negazione della relazione.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 27 Mag - 11:45

"Il Regno dei cieli è simile a un grano di senape. E' il più piccolo di tutti i semi; eppure cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto, tanto che gli uccelli nidificano tra i suoi rami
(Matteo 13, 31-32)"

cheers sunny
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 24 Giu - 11:25

Che cosa dice la Bibbia su come scoprire lo scopo della vita?
Domanda: "Che cosa dice la Bibbia su come scoprire lo scopo della vita?"

Risposta: La Bibbia è chiarissima riguardo a quale dovrebbe essere lo scopo della vita!

Lo scopo nella vita secondo alcuni personaggi biblici:

Salomone: dopo aver parlato della futilità della vita, quando essa è vissuta come se il mondo e tutto ciò che esso ha da offrire siano tutto quello che c’è, Salomone fa queste considerazioni conclusive nel libro dell’Ecclesiaste: "Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo. Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male" (Ecclesiaste 12:13-14). Salomone dice che la vita consiste soltanto nell’onorare Dio con i nostri pensieri e le nostre vite e, così facendo, nell’osservare i Suoi comandamenti, perché un giorno compariremo davanti a Lui per il giudizio.

Davide: contrariamente a coloro che consideravano il loro destino limitato a questa vita, Davide credeva che la sua soddisfazione sarebbe giunta in un tempo futuro. Egli disse: "Quanto a me, per la mia giustizia, contemplerò il tuo volto; mi sazierò, al mio risveglio, della tua presenza" (Salmi 17:15). Secondo Davide, la sua piena soddisfazione sarebbe venuta nel giorno in cui si fosse svegliato (nella vita futura) sia per contemplare il volto di Dio (avendo comunione con Lui) che per avere la Sua somiglianza (1 Giovanni 3:2).

Asaf: Nel Salmo 73, Asaf parla di come egli fu tentato di invidiare i malvagi che sembravano non avere preoccupazioni, tutti intenti a costruire le proprie fortune sulle spalle di coloro di cui si approfittavano, ma poi considerò il loro destino finale. Quindi, in contrasto con ciò che costoro ricercavano nella vita, egli affermò al versetto 25 che cos’era importante per lui: "Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te". Secondo lui, la relazione con Dio è ciò che importa nella vita, al di sopra di tutto il resto.

Paolo: l’apostolo Paolo parlò di tutto quello che aveva raggiunto prima di scontrarsi con il Cristo risorto e di come tutto quello che un tempo aveva raggiunto (specialmente a livello religioso) fosse per lui come un mucchio di spazzatura, in confronto all’eccellenza di conoscere Cristo Gesù, sebbene ciò comportasse la sofferenza di perdere tutto il resto. In Filippesi 3:8-11, egli dice di voler "guadagnare Cristo [ed] essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti". Ancora una volta, secondo Paolo quello che importava di più era conoscere Cristo ed essere trovato in possesso di una giustizia ricevuta da Lui e ottenuta mediante la fede in Lui, e vivere in comunione con Lui anche se questo avrebbe comportato delle sofferenze (2 Timoteo 3:12). In definitiva, egli attendeva il giorno in cui avrebbe preso parte alla "risurrezione dei morti".

Lo scopo della vita dichiarato nell’Apocalisse:

L’ultimo scritto della Bibbia, il libro dell’Apocalisse, parla di che cosa accadrà alla fine del tempo così come lo conosciamo noi. Dopo il ritorno di Cristo e che il Suo regno di 1.000 anni sulla terra sarà concluso, i non salvati saranno risuscitati e giudicati in base alle loro opere, così da essere mandati al loro destino eterno nello stagno di fuoco (Apocalisse 20). La terra e i cieli per come li conosciamo noi verranno distrutti e saranno creati un nuovo cielo e una nuova terra, inaugurando così la dimensione eterna. Ancora una volta, come nel giardino di Eden della Genesi, gli uomini dimoreranno nuovamente con Dio ed Egli con loro (Apocalisse 21:3); tutti i residui della maledizione sulla terra (a causa del peccato dell’umanità) saranno rimossi (tristezza, malattia, morte, dolore) (Apocalisse 21:4). Dio dice che coloro che vincono erediteranno tutto, e così Egli sarà il loro Dio ed essi i Suoi figli. Perciò, così come aveva cominciato nella Genesi, l’umanità redenta vivrà in comunione con Dio libera dal peccato (sia internamente che esternamente) e dalla sua maledizione in un mondo perfetto, avendo un cuore perfetto come quello stesso di Cristo (1 Giovanni 3:2-3).

Lo scopo della vita così come descritto da Gesù Cristo:

In principio, Dio creò l’uomo per godere (1) della comunione con Lui, (2) delle relazioni con gli altri, (3) del lavoro e (4) dell’esercizio del dominio sulla terra. Ma quando l’uomo cadde in peccato, la comunione con Dio fu interrotta, le relazioni con gli altri sono diventate spesso "difficili", il lavoro sembra avere sempre i suoi aspetti negativi e l’uomo lotta per mantenere una parvenza di dominio sulla natura, sia che si tratti del tempo atmosferico che delle erbacce in un campo o nel giardino. Nei nuovi cieli e nella nuova terra, l’uomo sarà coinvolto di nuovo in tutte queste cose, ma in uno stato di perfezione restaurata. Ma come si entra a far parte del gruppo che ce la farà a vedere il nuovo cielo e la nuova terra? E che cosa dobbiamo fare, adesso? C’è significato solo nella vita futura, quando la maledizione del peccato sarà rimossa? Gesù Cristo, il Figlio di Dio, lasciò la Sua casa in cielo, divenne pienamente umano — anche se mantenne la pienezza della divinità — e venne sulla terra PER SCONTARE IL PREZZO DELLA NOSTRA VITA ETERNA come anche per dare significato a questa vita. Poiché fu il nostro peccato a separare l’umanità da Dio e a farci attirare addosso la maledizione, Matteo 1:21 dice che Gesù venne per salvare "il suo popolo dai loro peccati".

Lo scopo della vita dipende dall’origine dell’umanità:

Se siamo il risultato del caso cosmico (l’evoluzione), allora siamo semplicemente delle forme sofisticate di vita biologica che sono riuscite a raggiungere l’autocoscienza. Non possiamo far altro che disperarci perché che non esiste uno scopo superiore nella vita a quello di sopravvivere e di portare avanti la specie, fino a quando il prossimo incidente cosmico porterà la nostra forma di vita a un gradino più in alto. PERÒ, noi NON siamo il risultato di un incidente cosmico. La vera scienza ha dimostrato il fatto che la macroevoluzione (la trasformazione da una specie a specie diverse) è una farsa. L’evoluzionismo è definito falsamente una “scienza”, quando in effetti esso non è ripetibile né osservabile, ma dev’essere accettato per fede tanto quanto il creazionismo.

Mentre continuiamo ad acquisire nuove conoscenze sulla microbiologia, abbiamo imparato che la probabilità di formazione anche delle più semplici molecole proteiche necessarie alla vita è una completa improbabilità, anche se si dessero MILIARDI DI MILIARDI di anni per la combinazione casuale dell’ordine corretto per la formazione degli amminoacidi. Né i reperti fossili avallano la teoria evoluzionista. Secondo le parole stesse degli evoluzionisti, dovrebbero esserci molteplici forme di vita transitorie che non sono state semplicemente scoperte. Ciò che i reperti fossili corroborano davvero è quello che dichiara il primo capitolo della Bibbia (Genesi 1): comparve contemporaneamente un gran numero di specie diverse, le quali erano per la maggior parte quelle che sono ancor oggi esistenti. I cambiamenti negli uccelli o nelle falene — osservati nel secolo scorso e citati a sostegno dell’evoluzione — comportano un cambiamento all’interno delle specie (la microevoluzione), qualcosa che non è confutata né dalla Bibbia né dagli evoluzionisti. Inoltre, a mano a mano che acquisiamo nuove conoscenze sulla cosiddetta cellula semplice, stiamo scoprendo di nuovo quello che Genesi 1 ha affermato fin dal principio: che la vita è il risultato di un incredibile Progettista e Creatore conoscibile. Poiché non siamo un incidente cosmico, ma piuttosto siamo stati creati da Dio, se c’è uno scopo per la vita, Dio ci ha detto qual è. sunny sunny sunny sunny
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 30 Set - 9:29

1Giovanni 5,19

Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno.

Dio è Amore e tutto il male di questo mondo di qualsiasi natura e forma e opera del maligno
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 20 Gen - 11:43

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Cosa dice la Bibbia riguardo alla gestione del tempo?
Domanda: "Cosa dice la Bibbia riguardo alla gestione del tempo?"

Risposta: La gestione del tempo è importante a causa della brevità delle nostre vite. Il nostro soggiorno sulla Terra è notevolmente più breve di quanto siamo propensi a credere. Come sottolinea giustamente Davide, "[…] tu hai ridotto i miei giorni alla lunghezza di un palmo, e la durata della mia vita è come niente davanti a te; sí, ogni uomo nel suo stato migliore non è che vapore" (Salmo 39:4–5). L'apostolo Giacomo lo conferma: "In verità essa è un vapore che appare per un po' di tempo, e poi svanisce" (Giacomo 4:14). In effetti, il nostro tempo sulla Terra è fugace, anzi infinitesimale, quando lo compariamo con l'eternità. Per vivere secondo i desideri di Dio, è essenziale fare il miglior uso possibile del tempo concessoci.

Mosè prega: "Insegnaci dunque a contare i nostri giorni, per ottenere un cuore savio" (Salmo 90:12). Un buon modo per ottenere la saggezza è quello di imparare a vivere ogni giorno in una prospettiva eterna. Il nostro Creatore ha messo l'eternità nei nostri cuori (Ecclesiaste 3:11). Sapere che dovremo fare un resoconto di come abbiamo impiegato il nostro tempo a Colui il quale ce lo ha donato, dovrebbe motivarci a farne un uso migliore. C. S. Lewis lo capì: "Se esaminate la storia, scoprirete che i cristiani che hanno fatto di più per il mondo presente, sono stati coloro i quali hanno pensato di più a quello successivo."

Nella sua Lettera agli Efesini, Paolo ammonì i santi: "Badate dunque di camminare con diligenza non da stolti, ma come saggi, riscattando il tempo, perché i giorni sono malvagi" (Efesini 5:15–16). Vivere saggiamente comporta un uso attento del tempo. Sapere che la messe è grande ma gli operai sono pochi (Luca 10:2), e che quel tempo sta rapidamente diminuendo, dovrebbe aiutarci a fare un uso migliore del nostro tempo per rendere testimonianza, sia con le parole che con l'esempio. Dobbiamo trascorrere del tempo amando gli altri con i fatti e in verità (1 Giovanni 3:17–18).

Non c'è dubbio che le responsabilità e le pressioni esercitate da questo mondo competano per la nostra attenzione. La miriade di cose che ci spinge in direzioni differenti, risucchia facilmente il nostro tempo in questioni mondane e di importanza minore. Quelle iniziative che hanno un valore eterno, dunque, spesso vengono messe da parte. Per evitare di perdere la concentrazione, dobbiamo porci delle priorità e degli obiettivi. Inoltre, per quanto possibile, dobbiamo delegare. Si ricordi come Jethro, il suocero di Mosè, gli insegnò saggiamente a delegare parte del suo pesante carico di lavoro (Esodo 18:13–22).

Per quanto riguarda la nostra etica del lavoro, ricordiamo che Dio completò la Sua opera in sei giorni e riposò il settimo. Questa proporzione tra lavoro e riposo mette in luce le aspettative del nostro Creatore, riguardo la nostra etica del lavoro. Infatti, Proverbi 6:10–11 rivela lo sdegno del Signore per la pigrizia: "Dormire un po' sonnecchiare un po' incrociare un po' le braccia per riposare, cosí la tua povertà verrà come un ladro, e la tua indigenza come un uomo armato" (si vedano anche Proverbi 12:24; 13:4; 18:9; 20:4; 21:25; 26:14). Inoltre, la Parabola dei Talenti (Matteo 25:14–30) mostra la tragedia dell'opportunità sprecata, così come l'importanza di lavorare onestamente fino all'arrivo del Signore. Dovremmo lavorare diligentemente nelle nostre occupazioni terrene, ma il nostro "lavoro" non è limitato a quello che facciamo per ottenere un guadagno finanziario. Anzi, il fulcro della nostra attenzione, in tutto quello che facciamo, dovrebbe essere la gloria di Dio (Colossesi 3:17). La Lettera ai Colossesi 3:23–24 dice: "E qualunque cosa facciate, fatelo di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete la ricompensa a dell'eredità, poiché voi servite a Cristo, il Signore." Gesù parlò di accumulare tesori in Cielo (Matteo 6:19–21). Non dobbiamo lavorare fino all'esaurimento, alla ricerca del benessere economico terreno (Giovanni 6:27). Piuttosto, dobbiamo fare del nostro meglio in tutto ciò che Dio ci ha chiamati a fare. In ogni iniziativa (le nostre relazioni, i nostri lavori, i nostri studi, servire gli altri, i particolari amministrativi delle nostre vite, prenderci cura della salute dei nostri corpi, il divertimento ecc.) il nostro obiettivo principale è Dio. Egli ci ha affidato questo tempo sulla Terra, ed Egli decide come dobbiamo trascorrerlo.

Bisognerebbe notare che il riposo è un uso del tempo legittimo e necessario. Non possiamo trascurare di trascorrere del tempo con Dio, sia in privato che collettivamente. Veniamo certamente incitati ad investire del tempo nelle relazioni con gli altri e a lavorare duro nelle faccende della vita. Ma non possiamo neppure trascurare il ristoro che Egli ci dà nei momenti di riposo. Il riposo non è tempo sprecato; è ristoro, che ci prepara a fare un miglior uso del tempo. Ci ricorda inoltre che è Dio ad avere il controllo, e a provvedere ad ogni nostro bisogno. Quando cerchiamo di gestire bene il nostro tempo, è saggio programmare dei momenti di riposo.

Cosa ancor più importante, dobbiamo ritagliarci un periodo di tempo ricorrente (giornaliero) con Dio. Egli ci equipaggia per realizzare i compiti che ci ha affidato. Egli guida i nostri giorni. La cosa peggiore da fare è gestire il nostro tempo come se ci appartenesse. Il tempo appartiene a Lui, dunque chiedete la Sua saggezza per il modo in cui usarlo al meglio, e poi procedete in sicurezza, sensibili ai Suoi cambi di rotta ed aperti ad interruzioni ordinate da Lui lungo il percorso.

Se state cercando di modificare il vostro uso del tempo, il primo passo da compiere è riflettere. Fate uno sforzo concertato e considerate la vostra gestione del tempo. Questo articolo presenta alcune delle cose dette da Dio sull'argomento. Sarebbe saggio studiarlo ulteriormente nella Scrittura. Considerate quali cose Dio considera preziose. Considerate ciò a cui vi ha chiamato in particolare. Considerate quanto del vostro tempo state investendo in queste cose al momento. Considerate cos'altro sta occupando il vostro tempo. Fate una lista di priorità e responsabilità e chiedete a Dio di guidarvi verso eventuali cambiamenti. Riflettere sulle proprie priorità e sull'uso del tempo è una buona pratica nella quale impegnarsi regolarmente. Alcuni trovano utile una deliberata revisione annuale della loro gestione del tempo.

Per quanto riguarda il tempo, la Bibbia ci consiglia di concentrare la nostra attenzione su ciò che è eterno, in contrapposizione ai piaceri effimeri di questo mondo fugace. Analogamente, dovremmo andare avanti con diligenza e seguendo lo scopo divino, mentre le rotte delle nostre vite vanno verso l'obiettivo ultimo di Dio. Il tempo trascorso con Dio e per conoscerLo, per mezzo della lettura della Sua Parola e della preghiera, non è mai sprecato. Il tempo trascorso nella creazione del corpo di Cristo e nell'amare gli altri con l'amore di Dio (Ebrei 10:24–25; Giovanni 13:34–35; 1 Giovanni 3:17–18) è tempo ben speso. Il tempo investito nella condivisone del Vangelo, affinché gli altri possano conoscere la salvezza di Gesù, porta a frutti eterni (Matteo 28:18–20). Dovremmo vivere come se ogni minuto contasse, perché in realtà è così.
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Messaggio  DomenicoPassante Ven 1 Nov - 7:55

Ognissanti
Significato, origine e storia della Festa di Ognissanti o di Tutti i Santi

La Festa di Ognissanti o di Tutti i Santi cade il 1° novembre di ogni anno. Le origini di questa ricorrenza sono lontanissime e si possono rintracciare al tempo dell’antica cultura delle popolazioni celtiche. I processi storici e culturali che hanno portato questo giorno ad avere un’importanza assoluta nel mondo cattolico, sono molti. In alcuni testi, però, appaiono controversi e discordanti.
Ognissanti: origine e significato

Tutto sembrerebbe risalire, come dicevamo, alla cultura celtica la cui tradizione divideva l’anno solare in due periodi. Quello in cui c’era la nascita e il rigoglio della natura e quello in cui la natura entrava in letargo passando un periodo di quiescenza.

I giorni di inizio di questi due periodi venivano quindi festeggiati. Il primo, durante il mese di maggio (quello della vita, e quindi della rinascita della natura) e il secondo a metà autunno (quello della morte, e della quiete della natura). Questi due giorni venivano chiamati rispettivamente Beltane e Samhain.

Nello stesso periodo storico, presso i romani si festeggiava un giorno simile, per significato al Samhain. Si tratta della festa in onore di Pomona, dove si salutava la fine del periodo agricolo produttivo e si ringraziava la terra per i doni ricevuti. Quando Cesare conquisto la Gallia, le due feste pagane, celtica e romana, si integrarono. I giorni per il festeggiamento, quindi, cadevano, a secondo delle zone, in un periodo che si collocava tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre. Solo in seguito i festeggiamenti caddero in un solo giorno e precisamente tra la notte del 31 ottobre e il primo novembre.
Tutti i Santi e le Calende d’Inverno



Questa notte veniva chiamata Nos Galan-Gaeaf, cioè notte delle calende d’inverno, ed era il momento di maggior contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Con l’affermarsi del cristianesimo, al significato di questa festa, prettamente agricola e pagana, se ne sovrappose un altro prettamente spirituale e religioso. Nel significato religioso si voleva commemorare il mondo dell’aldilà o il mondo della morte il cui significato viene fatto risalire proprio al Samhain dei Celti.

Nel VII secolo, con l’avvento a l soglio pontificio di Papa Bonifacio IV si tentò di andare oltre. Ovvero, cambiare la festa pagana in festa cristiana dandone così un significato puramente religioso. Per togliere ogni residuo di paganesimo, l’idea originale fu quella di abolire la festa pagana. Questa decisione, però, avrebbe scatenato le ire del popolo ancora molto ancorato alle antiche tradizioni. Si optò quindi per la compensazione e il giorno di festa religioso venne chiamato Tutti i Santi. Giorno in cui poter onorare i santi e che cadeva il giorno 13 del mese di maggio.

La conseguenza di questa decisione fu quella di avere due feste affiancate, una pagana e una cristiana. Circa due secoli più tardi, e più precisamente nell’835, Papa Gregorio IV fece coincidere la data della festa cristiana di Ognissanti o di Tutti i Santi con quella pagana per diminuire ancor di più il peso dell’antico culto precristiano. Il giorno della festa di Tutti i Santi cadeva quindi il 1° novembre di ogni anno. Giorno che cadeva in coincidenza del giorno successivo alla notte delle calende d’inverno. Ma anche questo non bastò a sradicare il culto pagano. La Chiesa, così, introdusse nel X secolo una nuova festa, quella dedicata ai morti, che cadeva il 2 novembre.
Halloween

Durante i festeggiamenti del 2 novembre, venivano ricordate le anime degli estinti. I loro cari si mascheravano da angeli e diavoli e, come nella tradizione celtica, accendevano grandi fuochi. Nel 1475 la festività di Ognissanti venne resa obbligatoria in tutta la Chiesa d’Occidente da Sisto IV. Il culto pagano, però è sempre sopravvissuto nella cultura dei popoli europei fino ai giorni nostri. Si tratta in special modo quello celtico, nonostante un lungo periodo di quasi totale dimenticanza.

Infatti la notte di Nos Galan-Gaeaf dell’antica cultura celtica viene rievocata, soprattutto nei paesi di cultura anglosassone, nella notte di Halloween. Il significat di questa parola è proprio vigilia di Ognissanti o di Tutti i Santi (All Hallows = Tutti i Santi + eve = Vigilia).
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Messaggio  DomenicoPassante Gio 30 Set - 9:20

Lascia che gli altri ti aiutino.
Quando la nostra situazione sembra disperata, potremmo essere tentati di allontanarci da famiglia e amici. La Bibbia però dice che questo può portarci a prendere decisioni sbagliate e a comportarci in modo poco saggio (Proverbi 18:1). Chi ci vuole bene può aiutarci a mantenere un certo equilibrio. Potrebbe anche darci degli utili suggerimenti su come gestire una situazione difficile (Proverbi 11:14). Inoltre, può confortarci e tirarci su di morale, dandoci la forza di perseverare in attesa che le cose migliorino (Proverbi 12:25). sunny flower
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