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PICCOLO MOMENTO DI FEDE SETTIMANALE

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Messaggio  DomenicoPassante Dom 3 Ago - 9:07

LE TRE VIRTU' TEOLOGALI.

FEDE - SPERANZA - CARITA'
Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina (cfr. 2Pt 1,4). Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino.

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità (cfr. 1Cor 13,13).


(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1812-1813)
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 10 Ago - 10:06

La fede



"La fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta dalla parola di Cristo."

"Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà."

(Rom. 10:17 - 2 Piet. 1:16)


Forse siete tra quelli che dicono: "Invidio la vostra fede; io non riesco a credere".

Ma sapete realmente cos'è la fede?

Credete forse che sia ingenuità, un'abdicazione della ragione o una specie di salto nel vuoto, con gli occhi chiusi?
Oppure una stampella sulla quale ci si appoggia come ultima risorsa quando si fa fatica ad andare avanti?
O forse un tranquillante, una specie di droga che ci fa da schermo contro la paura della morte?

No! La fede è una fiducia assoluta in Dio, il Dio che ha voluto parlare all'uomo mediante le Sacre Scritture, e rivelarsi in Gesù Cristo; un Dio che ama, che ha dimostrato il suo amore col dono di ciò che aveva di più prezioso: il suo Figlio diletto. Egli ci ha amati mentre ancora noi non Lo amavamo, e ha offerto la propria vita per chiunque mette tutta la propria fiducia in Lui.



(Lo studio che segue è stato tratto dal sito www.gesularisposta.it)


La fede è l'aspetto concreto della vera conversione, il lato umano della rigenerazione. Nel pentimento il peccatore si allontana dal peccato, mentre per mezzo della fede si volge verso Gesù Cristo. Questi due atti sono inseparabili uno dall'altro. Il vero pentimento non può esistere senza la fede, e la fede non può esistere senza che vi sia stato il pentimento sincero.

« Vi è una maniera razionalistica di considerare la fede e cioè come il raggiungimento di certe verità provate con una dimostrazione; vi è la maniera della chiesa romana di considerare la fede che fa di essa una specie di opera buona o di atto mistico e spirituale. Ma quando andiamo alle Scritture, tutte queste sottigliezze e questi errori si disperdono come nebbia al sole » (Anderson).

La fede è essenziale per avere relazione con Dio. Questa relazione fu perduta a causa dell'incredulità e può essere ristabilita solamente per mezzo della fede.

Ebr. 11:6 - « Senza fede è impossibile piacergli; poiché chi s'accosta a Dio deve credere ch'Egli è, e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano ».

Giov. 3:36 - « Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui ».

IL SIGNIFICATO DELLA FEDE

La fede naturale è quella capacità di credere e di fidarsi, posseduta in maggiore o minore misura da tutti gli uomini. Capacità basata su testimonianze materiali e prove apparentemente degne di fiducia. Essa tuttavia è insufficiente a soddisfare le esigenze morali e spirituali dell'uomo, nonché le esigenze di Dio.

La fede spirituale è quella fiducia posseduta in vari gradi dal credente "nato di nuovo", la quale si basa sulla conoscenza di Dio e della Sua volontà, ed è ottenuta per mezzo della rivelazione e di una esperienza personale con il Signore.

Questa è la fede nel suo significato iniziale ed è sinonimo di credulità, in contrasto con altri aspetti che si devono identificare con la mera fiducia.


a. Credere al Vangelo di Cristo.

Giov. 3:16 - « Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio ».

Mar. 10:15 - Gesù disse: « In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non vi entrerà affatto ».

Colui che veramente ode la Buona Notizia di Cristo, la crede come un bambino crede alla parola di sua madre. E solo costoro entreranno nel regno dei cieli.


b. Ricevere il Cristo del Vangelo.

Giov. 1:12 - « Ma a tutti quelli che lo hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figliuoli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome ».

La fede deriva dalla fiducia nella persona in cui si confida; e questo di nuovo dipende dalla conoscenza che si ha di questa persona stessa. In questo senso la fede può essere grande o piccola, debole o forte. Alcuni credenti non arrivano neppure ad avere fiducia che Dio possa provvedere ad un loro pasto; altri possono guardare a Lui, senza titubare, perché Egli nutra mille bocche affamate o converta mille peccatori. La nostra fede, in questo senso, dipende interamente dalla nostra conoscenza di Dio e dalla nostra comunione con Lui.


c. Credere in Dio ovvero avere fiducia nella Sua Parola.

Giov. 5:24 - Gesù disse: « In verità, in verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita ».

Credere in Dio significa basarsi con piena fiducia sulla verità della testimonianza di Dio, e non solo avere fiducia, ma anche credere in maniera totale nell'adempimento delle promesse di Dio, anche se alla logica umana esse non sembra che si possano adempire. Questo vuol dire prendere Dio in parola.
La fede non è una credenza senza prove, ma è credere avendo la prova migliore, cioè la Parola di Dio che non può mentire (Tito 1:2). La fede è tanto razionale che non chiede nessun'altra prova poiché questa è sufficiente a se stessa ed in maniera completa. Domandare un'altra prova oltre alla parola di Colui « che non può mentire » non è razionalismo, ma pieno irrazionalismo.


d. In che modo si ha fede

La fede è generata da Dio, ossia dal Padre (Rom. 12:3), dal Figlio, Gesù (Ebr. 12:2) e dallo Spirito Santo (1 Cor. 12:4,8,9). La fede è dunque ottenuta quale risultato della potenza e dell'opera di grazia di Dio.

La fede nasce nell'uomo ascoltando la Parola di Dio e serbandola nel cuore (Rom. 10:17).

Avere fede significa credere alla testimonianza di Dio con la stessa semplicità e certezza con cui presti fede alla parola di tuo padre o di un tuo caro amico: « Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore » (1 Giov. 5:9).


e. La fede nella vita del credente

La salvezza, nel suo significato più lato, è un termine che comprende in sé tutte le manifestazioni della vita del credente: dalla giustificazione alla glorificazione.

a. Il perdono.

Atti 10:43 - « Di lui attestano tutti i profeti che, chiunque crede in lui riceve la remission de' peccati mediante il suo nome ».

b. La giustificazione.

Rom. 5:1 - « Giustificati dunque per fede, abbiam pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore».

c. L'essere figli di Dio.

Gal. 3:26 - « Perché siete tutti figliuoli di Dio, per la fede in Cristo Gesù ».

d. La vita eterna.

Giov. 20:31 - « Ma queste cose sono scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio, e affinché credendo abbiate vita nel suo nome ».

e. Partecipazione alla natura divina.

2 Piet. 1:4 - « Per le quali Egli ci ha largito le sue preziose e grandissime promesse onde per loro mezzo voi foste fatti partecipi della natura divina dopo esser fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza ».

f. Divenire la dimora di Cristo.

Efes. 3:17-18 - « E faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, affinché essendo radicati e fondati nell'amore...».

Per il credente, fede significa certezza della risposta di Dio, secondo quanto Egli promette nella Sua Parola:

1 Giov. 5:14,15 - « E questa è la confidanza che abbiamo in lui: che se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, Egli ci esaudisce; e se sappiamo che Egli ci esaudisce in quel che gli chiediamo, noi sappiamo di avere le cose che gli abbiamo domandate ».

La fede in tale modo è «la certezza di cose che si sperano, e la dimostrazione di cose che non si vedono».

Applicata alle opere, la fede è la radice e l'albero e le opere sono i frutti. Noi non siamo salvati per fede e per opere, ma per mezzo della fede che opera. Noi siamo, cioè, salvati solo per fede, ma la fede non rimane da sola.

La fede è la causa, le opere sono gli effetti (Giac. 2:20-22, 26).

Efes. 2:8-10 - « Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo ».
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 17 Ago - 9:09

LA SPERANZA

La speranza è una virtù teologale infusa da Dio nella nostra anima. Essa ci indirizza a desiderare Dio come il bene supremo, con la fiducia di ottenere da lui il Paradiso e gli aiuti necessari per conseguirlo. La fede ci mostra Dio come Sommo Bene e attraverso di Lui la possibilità di ottenere l’eterna Felicità. Di conseguenza nasce nel nostro cuore, il desiderio di un amore soprannaturale, da conseguire attraverso le buone opere e per mezzo della grazia e le promesse di Dio. «Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore» (Sal 122/121,1). Le grazie sono indispensabili per vincere le tentazioni e ottenere le virtù per giungere all’eterna salvezza.

La speranza è di grande aiuto e conforto nell'opera della nostra santificazione. Essa ci unisce a Dio, staccandoci dai beni della vita presente, dalla stima degli uomini, dai beni temporali, dai piaceri. Ora la speranza ci fa vedere queste cose come miserevoli in sé, e fuggevoli per la durata. Ci procurano ben scarsa consolazione e con la morte svaniscono del tutto, in quanto l'anima porterà con sé solo il bene o il male fatti. Solo Dio sarà il tutto in eterno nella gioia inesauribile.

La speranza e la fiducia sono necessarie per ottenere le grazie, e molte sono le Divine Promesse: «In verità, in verità vi dico, se qualcosa chiederete in nome mio al Padre, ve la concederà» (Gv 16,23). «Domandate ed otterrete. Chiedete e vi sarà dato» (Mt 7,7).

La speranza ci stimola nei desideri del paradiso, nell’ardore nella preghiera, ci dà energia nel lavoro, con la certezza che Dio è con i suoi servi fedeli che di lui si fidano. «Ciò che infatti era impossibile per la legge, ciò in cui essa era debole a causa della carne, è stato reso possibile» (Rm 8,3). Se Gesù Cristo è con noi e noi siamo davvero con lui, che cosa potranno il demonio e gli uomini? Chi è sicuro della vittoria è fermo sulla buona via e nell'apostolato. «Perciò, con i fianchi della vostra mente succinti, in uno stato di sobrietà, sperate completamente nella grazia che vi viene portata nella manifestazione di Gesù Cristo. Animati come siete dallo spirito di obbedienza, non uniformatevi più alle passioni sregolate che prima, nella vostra ignoranza, vi dominavano, ma, in conformità col Santo che vi chiamò, diventate santi anche voi in tutto il vostro comportamento, poiché sta scritto: Siate santi, poiché io sono santo» (1 Pt 1,13-16).

Il Signore infonde nell'anima che prega la speranza che crescerà sempre di più per mezzo della preghiera ardente e tramite gli atti ripetuti di desiderio, di fiducia e di amore ai beni celesti. La cooperazione nostra è condizione indispensabile per ogni virtù: «Siamo infatti collaboratori di Dio e voi siete il campo di Dio» (1 Cor 3,9). Come vuole che il contadino semini, irrighi e coltivi e poi gli dà il vivere e il crescere, così desidera facciamo per la vita soprannaturale. La speranza soprannaturale eleva la speranza naturale: «Per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non fu vana» (1 Cor 15,10). Scrive San Paolo: «e poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio» (2 Cor 6,1). Ed al suo discepolo scrive: «soffri insieme con me da buon soldato di Cristo Gesù» (2 Tm 2,3). Lavorare, soffrire, pregare, combattere per il cielo e per l'accrescimento delle virtù porta un irrobustimento ed ardore nella speranza. Bisogna, dunque, essere ben convinti che nell'opera della nostra santificazione tutto dipende da Dio, ma occorre pur operare come se tutto dipendesse da noi soli. Dio non ci rifiuta mai la sua grazia per cui non ci dobbiamo preoccupare che dei nostri sforzi.

Tutti dobbiamo fare, almeno di tanto in tanto, atti di speranza, specialmente nelle tentazioni ed in pericolo di morte. Due pericoli possiamo incontrare: presunzione e disperazione. La presunzione sta nel desiderare da Dio il paradiso e le grazie senza mettere la nostra fatica. Vi sono di quelli che trascurano i comandamenti, l'abnegazione, la preghiera, lo sforzo, la vigilanza, eppure credono che Dio non li perderà! Si espongono, come Pietro all'occasione senza necessità, non curando il «vegliate e pregate, per non cadere in tentazione: lo spirito è pronto, ma la carne e debole » (Mt 26,41); e finiscono col cadere.

La disperazione, lo scoraggiamento, lo sconforto sono malattie opposte, che però portano ugualmente a lasciare i mezzi di salute e di santificazione. San Paolo era pure persuaso che da solo non avrebbe potuto resistere; ma fiducioso nella promessa e nella grazia di Dio, chiedeva: «Siano rese grazie a Dio: per Gesù Cristo Signore nostro!» (Rm 7,25).
Tutto ciò che Dio fa è per il nostro meglio. Gli stessi dolori fisici e morali si possono cambiare in preziose gemme per il cielo.

Eleviamo il cuore e lo sguardo al cielo: «Affinché abitiamo anche noi con lo spirito nella celeste dimora». Anzi, curare «di tenere, tra le mondane vicende, fisso il cuore ove risiede il vero gaudio». È il pensiero che ci fa perseverare, e pregare per perseverare. Molte sono le attrattive della terra; molti sono gli intrighi e le persecuzioni. Ma San Vincenzo diceva: «Quand'anche tutto il mondo si levasse contro per perderci, ciò non avverrà se non piacerà al Signore: in lui è riposta ogni nostra speranza».
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 24 Ago - 8:28

LA CARITA'
Anche l'amore teologale (come tutte quelle idee sul cristianesimo prodotte dai pregiudizi), nel pensiero del battezzato medio, è spesso frainteso. Comunemente, la parola "carità" si associa all'idea di assistenzialismo. In altre parole, si assimila la carità cristiana all'impegno verso i bisognosi. Alla luce della Parola di Dio, questa associazione si rivela errata. La carità teologale non è un'opera in favore dei poveri.
Alle sorgenti dell'amore (1 Gv 4,7-21)
L'Apostolo Giovanni ci dice con chiarezza in cosa consiste la carità: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi" (1 Gv 4,10). Ciò significa che per intendere la carità teologale non bisogna pensare tanto all'amore che dona, quanto all'amore che riceve. La carità teologale consiste infatti non nell'amare, ma nell'essere amati. Più precisamente, l'amore teologale comincia quando abbiamo sperimentato e sentito che Dio ci sta amando. In sostanza, la carità teologale ha la sua sorgente nel percepire di essere amati da Dio.
Di conseguenza, la nostra capacità di amare non deriva dalla decisione di amare gli altri, ma dalla gioia di sentirsi amati da Dio. Questa è la condizione basilare perché l'amore non si arrenda dinanzi all'ingratitudine o dinanzi a qualunque mancanza di amabilità. Chi percepisce di essere amato da Dio, si sente già pieno di questo amore, e non ha bisogno di raccogliere consensi intorno a sé per sentirsi bene con se stesso.
Da queste premesse, dobbiamo concludere: l'amore teologale è innanzitutto un amore che riguarda Dio; vale a dire: la carità teologale è l'amore col quale Dio ama la singola persona.
Solo chi si sente amato può amare
Ancora nel quarto capitolo della sua prima lettera, l'Apostolo trae una ulteriore importante conseguenza: il fatto che taluni hanno l'impressione di non essere capaci di amare, o pensano di avere una limitata capacità di accettazione del prossimo, dipende semplicemente da questa causa: sono deboli nell'amare perché non hanno ancora capito quanto sono amati. Si esprime così infatti al v. 19: "Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo". Insomma, vuol dire che solo se mi sento amato, posso avere la sicurezza sufficiente per correre il rischio dell'amore. Di fatti, proprio così si esprime il v. 18: "Nell'amore non c'è timore, al contrario, l'amore perfetto scaccia il timore".
Chi ama Dio e odia suo fratello è un mentitore (1 Gv 4,20)
Alla fine del capitolo, l'Apostolo Giovanni approda all'unificazione dei due amori: da un lato ci si sente amati da Dio e si diventa così capaci di amare il prossimo; dall'altro l'amore del prossimo è inseparabile dall'amare Dio. Anzi, è la prova dell'avere conosciuto Dio la capacità di parlare cinque minuti con una persona senza ferirla. Quale poi sia l'equilibrio tra questi due amori, Giovanni non ne parla. Ne parla il Vangelo, come vedremo.
I volti della carità teologale
Il NT è abbastanza esplicito circa le manifestazioni della carità, come lo è per quelle della fede. Nell'insegnamento di Gesù, come nel suo modo di essere uomo, si possono facilmente delineare tutte le sfaccettature di uno stile di vita che caratterizza il cittadino di un altro regno.
L'equilibrio dell'amore
La carità teologale produce un primo e basilare effetto nella vita del battezzato che può chiamarsi riequilibramento della capacità di amare. E' quello che Gesù lascia intendere al dottore della Legge che lo interrogava sul comandamento più importante (cfr Mt 22, 34ss). Nel momento in cui Dio è amato più di tutto, gli altri amori assumono la loro vera posizione. Il che significa imparare ad amare ciascuna realtà nel suo ordine, senza che il proprio cane sia amato più di una persona umana e senza che una qualsiasi creatura sia amata più di Dio. Questo amore equilibrato Gesù lo chiede esplicitamente a Pietro, quando gli affida la comunità cristiana (cfr Gv 21,15).
Il superamento dell'esclusivismo
L'esclusivismo è una caratteristica normale dell'amore umano, ma esce fuori dal quadro della nuova creazione. L'insegnamento di Cristo indica chiaramente al discepolo la meta di un amore capace di superare ogni genere di confine. Per questa ragione, al dottore della Legge che lo interrogava sul senso della parola "prossimo" (cfr Lc 10,25ss), Gesù presenta due figure che fanno saltare tutte le categorie giudaiche: un uomo, di cui non si sa la provenienza né la nazionalità (v. 30) e un samaritano (v. 33), detestato dai Giudei. Il superamento dell'esclusivismo culmina poi nella disposizione di benevolenza verso i propri nemici (cfr Lc 6,27ss), cosa che rappresenta il tratto peculiare e irripetibile dell'amore teologale.
Il superamento della strumentalizzazione
Un'altra manifestazione dell'amore umano, bisognoso di essere illuminato dalla Grazia, è la tendenza, non sempre consapevole, a strumentalizzare il prossimo, ossia ad amare gli altri a motivo di se stessi e non a motivo della loro autentica felicità. Cristo ha corretto questa tendenza molto umana mediante l'icona del Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli: "Se io, Maestro e Signore, ho lavato i vostri piedi…" (Gv 13,3ss). Il Maestro non usa gli altri per ottenere benefici per sé, ma vive in funzione della felicità degli altri. L'amore teologale è insomma un esodo da se stessi senza ritorno. Chi vive perché gli altri siano felici non ha più la voglia di interrogarsi circa i propri bisogni personali. Questa maniera di amare riempie così tanto la propria interiorità che a un certo momento sembra meschino fermarsi a pensare a se stessi e ai propri eventuali bisogni. Il Cristo storico ha amato così e ha esplicitamente chiesto ai suoi discepoli di fare altrettanto: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come Io vi ho amato" (Gv 13,34).
La cessazione delle aspettative
Gesù disapprova i Farisei in molti aspetti del loro operato. Tra tutte le altre cose, Egli li rimprovera di avere troppe aspettative: fanno l'elemosina, e si aspettano la lode degli uomini (cfr Mt 6,2), pregano in modo da essere visti (v. 5), digiunano facendo in modo che gli altri se ne accorgano (v. 16), vanno in piazza e si aspettano di essere salutati (Mt 23,7), vanno al Tempio e si aspettano la benedizione di Dio sulle loro opere di giustizia (cfr Lc 18,9-14).
A questo stile di vita privo di vera libertà, perché condizionato dalle risposte del prossimo, Cristo contrappone uno stile di vita fondato sulla gratuità: "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete?" (Mt 5,46). In questo modo la persona si libera da ogni attesa di ritorno, e se ha qualcosa da fare, la fa perché ci crede, o perché vale la pena di farla, o perché dà gloria a Dio. Questo modo di amare è inoltre il sigillo della figliolanza: "… perché siate figli del Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (v. 45).La carità teologale, sorgente dell'evangelizzazione Il frutto più bello dell'amore teologale, e del modo di amare secondo la nuova creazione, è l'ansia della evangelizzazione. Se lo sviluppo del dono battesimale dell'amore pone il battezzato al servizio della felicità degli altri, ciò avviene in modo equilibrato e ordinato. Al paralitico calato dal tetto Gesù prima perdona i peccati e poi restituisce la salute fisica. Vi è dunque un ordine di procedimento nel ricercare la felicità del prossimo. Il primo pensiero deve perciò andare all'annuncio del Vangelo, primissima ed essenziale carità. La responsabilità dei credenti nei confronti del mondo è infatti proprio questa: fare uscire Cristo dalla Chiesa verso il mondo. La massima felicità dell'uomo è infatti quella di conoscere Dio. Ritrovare se stessi nel quadro della paternità di Dio è l'esperienza più radicale e più profonda di guarigione. Per questo, Gesù collega all'annuncio del Vangelo anche il ministero di guarigione. Naturalmente, l'evangelizzazione non si fa con le parole, ma con la propria vita trasformata. Da qui la necessità che il cristianesimo sia "un cammino" e non "un posteggio". Solo chi cammina, cambia, si trasforma, e diventa credibile davanti alla Chiesa e davanti al mondo.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 31 Ago - 8:55

I più importanti dogmi
della Chiesa cattolica

Dogma
Termine del linguaggio ecclesiastico usato per indicare un principio certo e una verità inconfutabile (dal greco dògma, "dottrina comunemente accettata", "decreto").

I dogmi sono verità contenute nella rilevazione divina e manifestate nelle Sacre Scritture o nella tradizione della Chiesa. Il dogma viene proclamato da un concilio o dal papa in prima persona, e impegna tutti i cristiani a credervi per fede. Può in seguito essere chiarito ed elaborato, ma mai negato. Il termine ha acquisito questo significato solo in epoca moderna (dal XVII secolo), anche se già nella Chiesa antica e nel Medioevo si parlava di “formulazioni dogmatiche”, nelle quali si proclamavano le verità più importanti della fede.

Difesa dalle eresie. Fin dalle sue origini, quindi, la Chiesa ha fissato dei “dogmi”, soprattutto in particolari momenti storici, spesso per opporsi a eresie. La maggior parte di essi si trova nei testi dei primi sette concili ecumenici, tutti del primo millennio, quando si stabilirono le verità centrali della fede e si fissò il “Credo”, usato ancora oggi nella liturgia. Un elenco preciso dei dogmi non esiste. Ecco comunque quelli ritenuti più importanti dalla Chiesa cattolica.

DOGMA: Dio è uno e trino
Ha assunto la forma di dogma durante il concilio di Costantinopoli del 381. Dio è uno solo in tre persone: Dio-Padre, Dio-Figlio e Dio-Spirito Santo. Le persone divine sono distinte tra loro, ma la loro distinzione non divide l’Unità divina.

DOGMA: Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato ma non creato consustanziale al Padre, eterno e immutabile
Fu proclamato nel primo concilio di Nicea (325): Gesù Cristo è il Figlio di Dio, è stato generato prima dei secoli, ma non è una creatura di Dio, ed è della stessa sostanza del Padre.

DOGMA: Maria è Madre di Dio
Dogma proclamato dal concilio di Efeso (431). Maria è Madre di Dio perché è madre di Gesù. Infatti, colui che è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che è diventato veramente suo figlio, è il Figlio eterno di Dio Padre. E’ Dio egli stesso.

DOGMA: Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo
Gesù Cristo, nell’unità della sua persona divina, ha due nature inscindibili, quella umana e quella divina, ed è perfetto quanto alla divinità e perfetto quanto alla umanità (concili di Efeso, 431, e di Calcedonia, 451).

DOGMA: Maria è sempre vergine
Il II concilio di Costantinopoli, nel 553, sancì la perpetua verginità di Maria: prima, durante e dopo il parto di Gesù Cristo. Quando i Vangeli parlano di “fratelli e sorelle di Gesù”, si tratta di parenti prossimi.

DOGMA: Il purgatorio esiste
E’ lo stato di quanti muoiono nella grazia di Dio, ma, anche se sono sicuri della loro salvezza eterna, hanno ancora bisogno di purificazione. La dottrina del Purgatorio fu sancita come dogma nei concili di Firenze (1439) e di Trento (1545-1563).

DOGMA: Transustanziazione
E’ la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, al momento della consacrazione. La transustanziazione divenne dogma nel 1215, nel IV concilio Laterano, e fu confermata dal concilio di Trento, quando la Chiesa cattolica, in seguito alla riforma protestante, stabilì i confini dell’ortodossia.


DOGMA: Immacolata concezione
Proclamata da papa Pio IX l’8 dicembre 1854, satbilisce che la Vergine Maria è stata concepita pura, senza peccato originale. E’ cioè stata preservata dalla condanna universale del peccato fin dal concepimento.

DOGMA: Infallibilità papale
Il dogma è contenuto nella costituzione Pastor aeternus approvata dal Concilio Vaticano I il 18 luglio 1870. Afferma che il papa deve essere considerato infallibile quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo “supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani” e “definisce una dottrina circa la fede e i costumi”. Pertanto quanto da lui stabilito vincola tutta la Chiesa per sempre.



DOGMA: Assunzione di Maria
E’ l’ultimo dogma, proclamato da papa Pio XII il 1° novembre 1950. Indica che la Madonna, finito il corso della sua vita terrena, fu “assunta” (cioè accolta) in Paradiso con l’anima e con il corpo, accanto al Figlio e a Dio Padre.


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Messaggio  DomenicoPassante Dom 7 Set - 9:18

I Sette Doni Dello Spirito Santo


I doni dello Spirito Santo sono regali che lui ci fa per affinarci di più a sé. Troviamo questi doni enumerati nel Libro del profeta Isaia al capitolo 11 dove parlando del Messia che verrà il profeta dice che sarà ricoperto dello Spirito del Signore che è spirito di Sapienza ecc…

È interessante notare che nell’originale ebraico erano nominati solo sei doni, mancava la pietà, quando invece è stata preparata la versione greca chiamata dei 70 (circa un secolo prima di Cristo), essi introdussero anche la pietà perché nella lingua greca il termine timore di Dio non rendeva la pienezza di significati del corrispondente ebraico.

I sette doni ci sono dati perché nello Spirito Santo portiamo frutti, noi che ora siamo innestati nella vite vera. I frutti dello Spirito santo li conosciamo da Galati 5,22-23.

Nella sequenza allo Spirito Santo diciamo: "Senza il tuo spirito non c’è nulla nell’uomo senza colpa". Il Signore vuole darci questi doni ma tocca a noi aprirci. Gv 7,37: "Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. E diceva questo riferendosi allo Spirito Santo". Abbiamo dunque la certezza di questi doni.

* La Risurrezione ha realizzato in pienezza il disegno salvifico del Redentore, l'effusione illimitata dell'amore divino sugli uomini. Spetta ora allo Spirito coinvolgere i singoli in tale disegno d'amore. Per questo c'è una stretta connessione tra la missione di Cristo e il dono dello Spirito Santo, promesso agli apostoli, poco prima della Passione, come frutto del sacrificio della Croce. «Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti» (Rm 8,11) deve abitare in noi e portarci ad una vita sempre più conforme a quella del Cristo risorto. Tutto il mistero della salvezza è evento dell'amore trinitario, dell'amore che intercorre tra Padre e Figlio nello Spirito Santo. La Pasqua ci introduce in questo amore mediante la comunicazione dello Spirito Santo, «che è il Signore e dà la vita». Invochiamo l'intercessione della Vergine Maria perché ci sia dato di comprendere più a fondo i doni dello Spirito Santo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio), ricordando con fede che su di lei per prima è sceso lo Spirito Santo ed ha steso la sua ombra la potenza dell'Altissimo (cfr. Lc 1,35)

(* Giovanni Paolo II, Regina Coeli, 2 aprile 1989).


I Sette doni dello Spirito Santo

Sapienza

Intelletto

Consiglio

Fortezza

Scienza

Pietà

Timore di Dio
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 21 Set - 9:15

IL DONO DELLA SAPIENZA /
1Il dono della sapienza consiste in una illuminazione dello Spirito Santo in forza della quale noi possiamo contemplare Dio e le verità della nostra fede provandone gioia e gusto. Più c’è luce, quindi, e più si ama. Invece, il dono dell’intelletto (come vedremo in seguito), ci permette di penetrare, come d’intuito, nelle verità rivelate.

Tra i due doni non ci sono confini ben marcati, essi si completano. Così il dono della sapienza viene in soccorso al nostro intelletto con una luce straordinaria per farci scoprire Dio, le sue perfezioni, Gesù Cristo e il suo grande mistero, per darcene una conoscenza piena di buon sapore e di calore. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,Cool.

Una vista penetrante, dunque, un occhio limpido, una lente di ingrandimento che ci rende capaci, ma sempre nella pura fede, di una contemplazione amorosa e bella, continua e appassionata di Dio. L’anima rimane come incantata o assopita durante la sua preghiera. Lo Spirito svela al suo cuore cose che uno “capisce”, cioè racchiude entro di sé, ma che non si possono assolutamente descrivere. Il campo del dono della sapienza non sono le visioni né le estasi, ma la certezza di stare familiarmente a tu per tu con il Signore.

Una antifona della festa di Santa Cecilia dice così: “La vergine Cecilia portava nel cuore l’Evangelo di Cristo, e giorno e notte parlava con Dio”.
Il dono della Sapienza ha adombrato la Vergine di Nazaret, quando ricevette l’annuncio dell’Angelo Gabriele. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì prima nel cuore e poi nel grembo immacolato il Figlio di Dio. Per questa altissima conoscenza di Dio e del suo progetto la Vergine, conquistata dall’Amore, non esitò a dire: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Scendendo, poi, dalle alte sfere, diciamo che il dono della sapienza illumina la nostra strada e guida i nostri passi nella vita quotidiana, nella ordinaria amministrazione delle nostre faccende domestiche e di comunità. Ci aiuta a discernere e a giudicare l’amore: quando è dono e quando invece è puro egoismo o semplice erotismo. Ci dice se la nostra gioia è superficiale, ingannevole, oppure vera contentezza dei figli di Dio.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 28 Set - 8:54


Intelletto:


E’ la risposta al bisogno di conoscenza e verità. Ci fa comprendere in maniera chiara quello che la luce della fede ci fa comprendere in maniera crepuscolare. Nell’ultima cena Gesù dice: "Vi ho detto queste cose ma il Padre vi manderà lo Spirito Santo che vi insegnerà ogni cosa". E’ indispensabile nell’Evangelizzazione e nella catechesi, sia per chi parla che per chi ascolta. Fa capire in profondità la Parola di Dio e fa gustare la bellezza delle realtà rivelate.


Sal 119,104 "Attraverso i tuoi precetti io guadagno l’intelletto per cui odio le vie false".


Pensate a tutti i dogmi della fede. "Ti ringrazio Padre perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli".


Il dono dell’intelletto coinvolge non solo la mente ma anche il cuore, la volontà, la passione, e persino l’azione.


Per gli antichi Ebrei della Bibbia, sede dell’Intelletto non è il cervello ma il cuore perché la conoscenza che si raggiunge col cuore è più profonda di quella fredda del cervello.


Non è puro calcolo, ma adesione. Intelletto, da intus legere. Chi conosce con l’intelletto non si ferma all’esteriorità e al momento ma sa cogliere le conseguenze delle cose e accettarle. L’intelletto è strettamente legato alla fortezza che gli darà la capacità di portare avanti le scelte.


Altra caratteristica dell’intelletto è quella di saper fare unità tra i diversi aspetti della fede.


Chi vive di intelletto sa che la vita è sempre un misto di vittorie e sconfitte, gioie e dolori. Si arriva a capire il modo di agire di Dio che è diverso dal nostro.


E’ un dono indispensabile quando si legge la Bibbia. Frutto dell’intelletto è la profezia.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 5 Ott - 8:54

Il dono del consiglio

della Comunità Cattolica "Cristo Maestro"



Questo dono dello Spirito, altrettanto necessario ai discepoli di Cristo, riguarda pure una particolare illuminazione della mente; tuttavia, a differenza dei tre doni precedenti, i quali si muovono su un terreno prevalentemente speculativo (anche se la sapienza ha innegabili aspetti pratici), il dono del consiglio opera esclusivamente in sede di ragion pratica. Questa particolare luce soprannaturale non è quindi ordinata al conoscere ma all'agire.

Ma perché è necessario un dono dello Spirito per illuminare la ragion pratica?

La risposta è semplice: l'ambito delle decisioni e della vita pratica è il campo su cui si combatte la battaglia del compimento della volontà di Dio. E la luce della ragione naturale, da sola, non è sufficiente a indicarmi "il meglio pratico" nel quadro della perfezione cristiana. In sostanza: se devo realizzare un bene umano (vale a dire: l'acquisto di una casa, la legalità nella professione, il metodo educativo per i figli..) può bastarmi la luce della mia ragione naturale, accompagnata dalle competenze e dall'esperienza; ma se devo realizzare un bene soprannaturale (vale a dire: realizzare le aspettative della volontà di Dio per me, qui e ora), la luce della mia ragione naturale non può più bastarmi. Ecco che il Signore mi dà ciò che manca al mio quoziente intellettivo, infondendomi il dono soprannaturale della ragion pratica: il consiglio.

Si tratta di un dono che, al pari degli altri, nessuno può conseguire, se Dio non lo elargisce graziosamente: "A Dio appartiene il consiglio" (Gb 12,13). Anche questo dono è prerogativa divina, nel senso che non è in dotazione della natura umana in quanto tale. Il consiglio è un dono che si aggiunge alla ragione umana. Chi non lo possiede non può rispondere alle esigenze quotidiane della volontà di Dio, perché non è interiormente diretto da Dio. Al massimo egli potrà individuare il bene umano e regolarsi su di esso in base al loro buon volere, ma la perfezione cristiana, ovviamente, è ben altro. Chi ha il dono del consiglio è guidato da Dio nelle circostanze piccole e grandi della vita pratica, e perciò egli non agisce bene, ma agisce santamente: "Mi guiderai con il tuo consiglio" (Sal 73,24); "Benedico il Signore che mi ha dato consiglio" (Sal 16,7); "Il Signore dirigerà il consiglio del saggio" (Sal 39,7).

Per ottenere il dono del consiglio, al pari di tutti gli altri doni soprannaturali, occorre una precisa disposizione: "L'uomo accorto acquisterà il dono del consiglio" (Prv 1,5); insomma, i doni di Dio non possono essere elargiti a chi non si dispone a riceverli.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 12 Ott - 9:22

FORTEZZA

Fortezza nella Bibbia

Quando parliamo della virtù della fortezza non intendiamo la forza d’animo, l’energia morale per cui uno vuole e può conseguire la meta che si è prefissa, né del coraggio e del valore nei combattimenti. Nella Bibbia la virtù della fortezza ha un ruolo molto importante quando, appunto, viene evidenziata la forza e la potenza che Dio possiede in abbondanza e che dona al suo popolo.
Così viene cantato il passaggio del Mar Rosso:
Io canterò al Signore
perché si è mirabilmente manifestato.
Ha rovesciato in mare cavallo e cavaliere.
Il Signore è la mia forza e la mia salvezza.
Egli è il mio Dio e lo voglio esaltare,
è l’Iddio di mio padre e lo voglio glorificare.
(cfr Esodo 15,1-2)

La Virtù della Fortezza è un dono dello Spirito Santo

Per il battezzato la fortezza è un dono che viene da Dio. San Paolo colpito terribilmente da Satana si rivolge con fede al suo Signore per esserne liberato. “Ma egli mi ha detto: La mia grazia ti basta; la mia forza trionfa nella debolezza” (2 Cor 12,8-9). La grazia di Dio è l’amicizia che ci lega con Lui, e per essa ci viene donata la fortezza capace di vincere ogni ostacolo, ogni tentazione. Allora preghiamo con fede viva, nelle prove, nelle lotte contro il nemico, nelle debolezze, nelle fragilità della natura umana, negli abbattimenti del nostro spirito. La grazia del Signore Gesù è potenza divina e non ci mancherà mai, perché Dio guarda gli umili. “Se ciò che è debolezza è più forte degli uomini” (1 Cor 1,25) e di tutte le loro vanterie, che cosa sarà quando egli dispiegherà tutta la sua potenza? E, per di più, “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,27).
Battezzati in acqua e Spirito Santo noi riceviamo forza dallo stesso Spirito per essere veri testimoni del Signore Gesù. San Paolo scrive così al suo discepolo Timoteo.

   Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio
   che è in te per l’imposizione delle mie mani.
   Dio, infatti,
   non ci ha dato uno Spirito di timidezza,
   ma di forza, di amore e di saggezza.
   Non vergognarti dunque della testimonianza
   da rendere al Signore nostro,
   né di me, che sono in carcere per lui;
   ma soffri anche tu insieme con me per il Vangelo,
   aiutato dalla forza di Dio.
   Egli, infatti, ci ha salvati e ci ha chiamati
   con una vocazione santa,
   non già in base alle nostre opere,
   ma secondo il suo proposito e la sua grazia;
   grazia che ci è stata data in Cristo Gesù
   fin dall’eternità.
   (cfr 2 Tm 1.6-10)

Quando la fortezza è o non è virtù cristiana

Non è fortezza cristiana il prendere decisioni ardue e non sapersi tirare indietro di fronte ai pericoli, per esempio correre troppo forte in auto o in moto, fare escursioni in montagna senza considerarne le insidie, o usare il denaro senza pensare al futuro.
Non è fortezza cristiana usare il proprio carattere forte per dominare sugli altri, per esempio dettar legge in famiglia o nei raduni, voler vincere sempre nelle discussioni, persistere nei propri atteggiamenti poco civili.
Non è fortezza cristiana il non saper perdonare mai, tentando anche la via della ritorsione e della vendetta, perché ci sentiamo superiori agli altri.
Invece è virtù cristiana la fortezza, dono dello Spirito Santo, quando uno sa valutare i pericoli, segue le regole stradali e prende consiglio, per rispettare la propria e altrui vita e per ben amministrare le risorse della propria famiglia.
È pure fortezza cristiana modellare il proprio carattere, scegliendo con sincerità la via del confronto e del dialogo, in tutte le discussioni, considerando gli altri persone umane e figli di Dio.
È ancora fortezza altamente cristiana il perdonare sempre in tutte le situazioni. Possiamo chiedere che la giustizia umana faccia il suo corso, ma l’odio nel cuore del cristiano non deve regnare.
Insomma, la virtù della fortezza non la si dimostra con la temerarietà, che mette tutto a rischio, e neppure con la presunzione di essere già perfetti. E inoltre, la vera fortezza non è ambiziosa oltre misura, né vanagloriosa rivestendosi di meriti e di virtù che non ha
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 19 Ott - 8:27

IL DONO DELLA SCIENZA


Lo Spirito Santo ci guida alla conoscenza del creato
“Lodate il Signore nell’alto dei cieli,
lodatelo sole e luna,
lodatelo, voi tutte, fulgide stelle” (Sal 148).

Chi scopre Dio attraverso il creato, e a lui innalza le sue lodi, lo fa per un dono speciale dello Spirito Santo: il Dono della Scienza. Non si tratta di una scienza umana, che ci fa scoprire i segreti e le leggi della natura, né della scienza teologica, che si occupa dello studio di Dio e delle creature in quanto si riferiscono a Dio stesso, ma di una scienza o conoscenza infusa che perfeziona la virtù della fede, facendoci conoscere le cose create nelle loro relazioni con il Creatore. Possiamo affermare che ogni creatura è come un sacramento delle perfezioni di Dio, e un documento del suo amore. Il creato ci parla di Dio ed è lo Spirito che ce lo svela. E così veniamo gettati fra le braccia amore di Dio.

Infatti in ogni creatura animata e inanimata, possiamo trovare uno spunto di meditazione e di contemplazione di Dio. Certo difficilmente in città, dove sovente l’uomo suole lasciare la sua orma disordinata. Ma in collina, sulle montagne, lungo la riva di un fiume, davanti all’immensità del mare e nelle belle campagne e praterie, come in mille altri posti, il nostro stupore riceve in continuazione stimoli inebrianti della presenza di Dio. “La sua gloria risplende sulla terra e nei cieli” (Sal 148,13).
l Dono della Scienza
ci guida nei vari momenti della vita

Parliamo dunque di un riflesso affascinante che Dio stesso ha manifestato agli uomini. Infatti come afferma San Paolo, dalla creazione del mondo in poi le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute (cf Rom 1,20).
Il Salmo 19 ci dice la stessa cosa: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia”. San Francesco d’Assisi non finiva di cantare: “Laudato sii mi Signore, per tutte le tue creature”, e le nominava una per una. Quando rimarremo incantati di fronte a questi mirabili riflessi che affascinano i semplici?

Allo stesso tempo, il Dono della Scienza ci aiuta a scoprire la limitatezza di ogni cosa. Il Qoelet, dopo una lunga esperienza, ci fa esclamare con convinzione, se siamo saggi: “Vanità delle vanità , tutto è vanità” (1,1).

Quelli che si credono sapienti secondo il mondo, diventano stolti. “Essi hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile” (Rm 1,22). E così Dio li abbandona. Chi pone l’uomo creato al posto di Dio creatore, viene sempre abbandonato in balia di una intelligenza depravata e per questo commette “ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, con tutto il seguito descritto da Paolo (Rm 1,29-31). Il Dono della Scienza ci sveglia, ci scuote, ci illumina: noi al nostro posto di creature e Dio al suo. Lui, il creatore e il Signore, e tutte le meravigliose sue opere sono lì cosparse nel mondo e brillano e cantano la sua gloria.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 26 Ott - 9:36

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 4 giugno 2014





I doni dello Spirito Santo: 6. La Pietà

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Oggi vogliamo soffermarci su un dono dello Spirito Santo che tante volte viene frainteso o considerato in modo superficiale, e invece tocca nel cuore la nostra identità e la nostra vita cristiana: si tratta del dono della pietà.

Bisogna chiarire subito che questo dono non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati.

1. Questo legame col Signore non va inteso come un dovere o un’imposizione. È un legame che viene da dentro. Si tratta di una relazione vissuta col cuore: è la nostra amicizia con Dio, donataci da Gesù, un’amicizia che cambia la nostra vita e ci riempie di entusiasmo, di gioia. Per questo, il dono della pietà suscita in noi innanzitutto la gratitudine e la lode. È questo infatti il motivo e il senso più autentico del nostro culto e della nostra adorazione. Quando lo Spirito Santo ci fa percepire la presenza del Signore e tutto il suo amore per noi, ci riscalda il cuore e ci muove quasi naturalmente alla preghiera e alla celebrazione. Pietà, dunque, è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore.

2. Se il dono della pietà ci fa crescere nella relazione e nella comunione con Dio e ci porta a vivere come suoi figli, nello stesso tempo ci aiuta a riversare questo amore anche sugli altri e a riconoscerli come fratelli. E allora sì che saremo mossi da sentimenti di pietà – non di pietismo! – nei confronti di chi ci sta accanto e di coloro che incontriamo ogni giorno. Perché dico non di pietismo? Perché alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare una faccia da immaginetta, far finta di essere come un santo. In piemontese noi diciamo: fare la “mugna quacia”. Questo non è il dono della pietà. Il dono della pietà significa essere davvero capaci di gioire con chi è nella gioia, di piangere con chi piange, di stare vicini a chi è solo o angosciato, di correggere chi è nell’errore, di consolare chi è afflitto, di accogliere e soccorrere chi è nel bisogno. C'è un rapporto molto stretto fra il dono della pietà e la mitezza. Il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio, al servizio degli altri con mitezza.

Cari amici, nella Lettera ai Romani l’apostolo Paolo afferma: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,14-15). Chiediamo al Signore che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente, e possa renderci testimoni gioiosi di Dio e del suo amore, adorando il Signore in verità e anche nel servizio del prossimo con mitezza e col sorriso che sempre lo Spirito Santo ci dà nella gioia. Che lo Spirito Santo dia a tutti noi questo dono di pietà.
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Messaggio  DomenicoPassante Sab 1 Nov - 8:09


“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

Queste sono parole che Gesù, durante l’agonia nel Getsemani, ha rivolto a Pietro, Giacomo e Giovanni quando li ha visti sopraffatti dal sonno. Egli aveva preso con sé questi tre apostoli – gli stessi che erano stati testimoni della sua trasfigurazione sul monte Tabor – perché gli fossero vicini in questo momento così difficile e si preparassero con la preghiera assieme a Lui, giacché quanto stava per accadere sarebbe stato una prova terribile anche per loro.

“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

Queste parole – lette alla luce delle circostanze in cui sono state pronunciate – prima ancora che una raccomandazione rivolta da Gesù ai discepoli, occorre vederle come un riflesso del suo stato d’animo, cioè del modo con cui Egli si prepara alla prova. Di fronte alla passione imminente, Egli prega, con tutte le forze del suo spirito, lotta contro la paura e l’orrore della morte, si getta nell’amore del Padre per essere fedele fino in fondo alla sua volontà ed aiuta i suoi apostoli a fare altrettanto.

Gesù qui ci appare come il modello per chi deve affrontare la prova e, nello stesso tempo, il fratello che si mette al nostro fianco in quel difficile momento.

“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

L’esortazione alla vigilanza ricorre spesso sulle labbra di Gesù. Vigilare per Lui vuol dire non lasciarsi mai vincere dal sonno spirituale, tenersi sempre pronti ad andare incontro alla volontà di Dio, saperne cogliere i segni nella vita di ogni giorno, soprattutto saper leggere le difficoltà e le sofferenze alla luce dell’amore di Dio.

E la vigilanza è inseparabile dalla preghiera, perché la preghiera è indispensabile per vincere la prova. La fragilità connaturale all’uomo (“la debolezza della carne”) può essere superata mediante quella forza che viene dallo Spirito.

“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

Come vivere allora la Parola di vita di questo mese?

Anche noi dobbiamo mettere in programma l’incontrop con la prova: piccole, grandi prove che s’incontrano ogni giorno. Prove normali, prove classiche in cui chi è cristiano non può un giorno o l’altro non imbattersi. Ora, la prima condizione per superare la prova, ogni prova – ci avverte Gesù – è la vigilanza. Si tratta di saper discernere, di rendersi conto che sono prove permesse da Dio non già perché ci scoraggiamo, ma perché, superandole, maturiamo spiritualmente.

E contemporaneamente dobbiamo pregare. E’ necessaria la preghiera perché due sono le tentazioni a cui siamo maggiormente esposti in questi momenti: da un lato la presunzione di cavarcela da soli; dall’altro il sentimento opposto, cioè il timore di non farcela, quasicché la prova sia superiore alle nostre forze. Gesù, invece, ci assicura che il Padre celeste non ci lascerà mancare la forza dello Spirito Santo, se vigiliamo e glielo chiediamo con fede.

Chiara Lubich

Parola di vita, aprile 1990, pubblicata in Città Nuova, 1990/6, p. 9.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 2 Nov - 9:01

Domanda:  "Che cosa significa avere timore di Dio?"

 Risposta:   Per la persona che non crede, il timore di Dio è il timore del giudizio   di Dio e della morte eterna, che è l’eterna separazione da Dio (Luca   12:5; Ebrei 10:31). Per la persona che crede invece, il timore di Dio è   una cosa molto diversa.  Il timore del credente è una riverenza per Dio.   Ebrei 12:28-29 fornisce una buona descrizione di questa riverenza:   “Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo   riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore!    Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante.”  Questa riverenza e   senso di meraviglia è esattamente il significato del timore di Dio per i   Cristiani. Questo è il fattore che ci da la motivazione di arrenderci   al Creatore dell’universo.

 Proverbi 1:7 afferma che “Il timore del Signore è il principio della   conoscenza”.  Fino a quando non capiamo chi è Dio e non sviluppiamo un   timore riverenziale di Lui, non avremo la vera sapienza. La vera   sapienza viene solo dal capire chi è Dio e che Lui è santo, retto e   giusto. Deuteronomio 10:12, 20-21 riporta le seguenti parole: “E ora,   Israele, che cosa chiede da te il Signore, il tuo Dio, se non che tu   tema il Signore, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu   lo ami e serva il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con   tutta l'anima tua, Temi il Signore, il tuo Dio, servilo, tieniti stretto   a lui e giura nel suo nome. Egli è l'oggetto delle tue lodi, è il tuo   Dio, che ha fatto per te queste cose grandi e tremende che gli occhi   tuoi hanno viste.”  Il timore di Dio è la base per il cammino nelle Sue   vie, per il servizio fatto per Lui e anche per l’amore che abbiamo per   Lui.

 Alcune persone ridefiniscono il timore di Dio che i credenti devono   avere in termini di “rispetto”.  Ciò è vero in parte, perché il rispetto   fa parte di ciò che significa temere Dio, ma c’è di più. Un timore   biblico di Dio, anche per il credente, include la comprensione di quanto   Dio odia il peccato ed un timore del Suo giudizio sul peccato –anche   nella vita di un credente.  Ebrei 12:5-11 descrive l’azione disciplinare   di Dio nei confronti dei credenti. Anche se viene fatta con amore   (Ebrei 12:6), tale disciplina è sempre una cosa che incute timore. Come   figli, il timore della disciplina dei nostri genitori ci ha prevenuto   dal compiere delle azioni malvagie. Lo stesso dovrebbe essere vero nella   nostra relazione con Dio. Dovremmo temere la Sua disciplina, e quindi   cercare di vivre le nostre vite in modo da piacerGli.

 I credenti non devono avere paura di Dio. Non abbiamo motivo di avere   paura di Lui. Abbiamo la promessa che nulla ci potrà separare dal Suo   amore (Romani 8:38-39). Abbiamo la Sua promessa che non ci lascerà mai e   non ci abbandonerà mai (Ebrei 13:5). Temere Dio significa avere una   tale riverenza per Lui che le nostre vite sono profondamente cambiate   come conseguenza. Il timore di Dio significa rispettarLo, obbedirLo,   sottometterci alla Sua disciplina e adorarLo con meraviglia.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 9 Nov - 8:18

I VIZI CAPITALI

Di don Giuseppe Tomaselli



INTRODUZIONE

Uno scritto sui « Vizi capitali » è di grande utilità. Ordinariamente quando si scrive, si rivolge la parola a qualche categoria di anime. Il presente lavoro invece riguarda tutti, perché non c'è per­sona che possa dire: Io sono esente da ogni miseria morale! ... Non sento gli incentivi al male!

Benedica il buon Dio questo umile scritto!



PRELUDIO

Nell'anima umana, per effetto della colpa originale, ci sono i germi dell'i­niquità.

Tra i vizi che albergano nel cuore, i più importanti sono quelli chiamati capitali. Essi sono sette e cioè: super­bia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia ed accidia. Si dicono capitali perché danno origine a tutti gli altri vizi.

Si rileva il male che producono nell'a­nima e si suggeriscono i mezzi per com­batterli con le virtù opposte.

E’ bene notare che le mancanze che si commettono in forza dei vizi capitali, non sempre sono peccati gravi o mortali; ma lo possono essere, purtroppo non ra­ramente
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 16 Nov - 9:06

SUPERBIA
(Prima Parte)


SUPERBIA

Dicesi superbia il desiderio disordi­nato della propria eccellenza. È un vizio molto radicato in noi, il quale è causa di una grande quantità di peccati.

Iddio odia la superbia e la punisce. Il primo peccato di superbia fu com­messo dagli Angeli in Cielo, allorché si ribellarono a Dio con a capo Lucifero. La punizione fu tremenda, poiché subito fu creato l'inferno e vi precipitarono tutti i ribelli, per starvi eternamente. Un altro grave peccato di superbia fecero i nostri progenitori Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, quando fu­rono tentati dal demonio a mangiare il frutto proibito da Dio. - Perché non mangiate di questo frutto? – domandò il tentatore. - Non possiamo, risposero, perché Iddio ce l'ha proibito! - Se lo mangerete, continuò il demonio, diven­terete simili a Dio! - Adamo ed Eva prestarono fede e, mossi dal desiderio di diventare simili al Creatore, colsero il frutto e lo mangiarono. Il peccato fu grave, non solo per la disubbidienza, ma anche per la superbia. Iddio, fortemente sdegnato, tolse ai due peccatori i doni soprannaturali, già dati gratuitamente, li condannò a morire e li cacciò dal Pa­radiso Terrestre.



Il Redentore.

Dio, giusto punitore della colpa, non tralascia però di compatire l'uomo im­pastato di debolezza e gli dà un rimedio efficace contro la superbia. Infatti la se­conda Persona della Santissima Trinità, il Figlio Eterno di Dio, lascia lo splen­dore del Cielo e si riveste di umana car­ne. Lo scopo dell'Incarnazione è di ria­prire il Paradiso agli uomini e di dare un meraviglioso esempio di umiltà, in opposizione all'innata superbia.

La vita terrena di Gesù Cristo fu una lotta continua al vizio della super­bia. Avrebbe egli potuto nascere in un palazzo reale e farsi ricoprire di gloria dagli uomini; ed invece nacque in una stalla, visse in una bottega facendo il fa­legname e mori ignudo sulla Croce, tra due ladroni, come un malfattore.



Gl'insegnamenti di Gesù.

Il Vangelo è ricco di massime e di parabole, che hanno per scopo di abbat­tere la superbia e d'insegnare l'umiltà. Gli Apostoli domandarono a Gesù: Maestro, chi è il più grande nel regno dei Cieli? -

Egli prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e poi disse: Chi si umilie­rà, facendosi piccolo come questo bam­bino, costui sarà il più grande nel re­gno dei Cieli. -

E vedendo che gli Apostoli tende­vano alla superiorità, disse loro: I prin­cipi di questo mondo signoreggiano i loro sudditi; per voi non sia così. Chi di voi vuole essere il primo, sia l'ul­timo. -

Trovandosi in un convito Gesù ed osservando che gl'invitati brigavano per avere i primi posti, parlò in questo mo­do: Quando tu sei invitato a pranzo, non andare a metterti al primo posto, poiché potrà darsi che sia stato invi­tato uno superiore a te ed allora il pa­drone dovrà dirti: Amico, lascia questo posto e mettiti in fondo! - Allora ne avrai vergogna presso tutti i commen­sali. Quando invece sei invitato a tavola, mettiti nell'ultimo posto, affinché chi ti ha invitato abbia a dirti: Amico, vieni avanti! Così ne avrai onore presso tutti i convitati. Poichè chi s'innalza sarà u­miliato e chi si umilia sarà esaltato. -

Essendo la superbia come una feb­bre che spossa ed anche il motivo dell'in­quietudine del cuore umano, Gesù Cristo si dà quale modello a tutti, dicen­do: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete il riposo per le anime vostre! -

Fortunati coloro che vivono in con­formità a questi divini insegnamenti!
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 23 Nov - 8:06

SUPERBIA (2* PARTE)



Lo spirito di superbia.

L'amor proprio, o l'alta stima che cia­scuno sente di sé, fa sempre capolino e bisogna vigilare per non restarne vit­tima.

S. Giovanni Bosco confessa lui stesso di aver sentito nell'animo fin dalla fan­ciullezza una forte inclinazione allo spi­rito di superbia. Subito però si mise all'opera e riuscì vittorioso. Una volta potè dire in maniera lepida: Ho dovuto propormi di prendere per il collo la mia superbia, metterla sotto i piedi e cal­pestarla. -

Lo spirito di superbia porta ad es­sere ambiziosi, presuntuosi, vanitosi e rende ribelli all'autorità, per cui non si sopporta di stare soggetti ad altri e, quando lo si è costretti, internamente ci si rode. Veniamo ora alle particolari manife­stazioni della superbia.



I pensieri.

Il superbo nella sua mente ingran­disce i propri meriti e si gonfia come un pallone. Crede di essere qualche cosa di grande e perciò guarda dall'alto in basso, studiando i mezzi per eccellere sempre.

Se il superbo riceve un'offesa o una mancanza di riguardo, non sa darsi pace. Pensa e ripensa il torto ricevuto e con­cepisce desideri di vendetta. - A me fare questo affronto? ... Trattare in tal modo me, che ho tanti meriti? ... Ah! questo è troppo! - In preda a tali sen­timenti, perde la pace del cuore.



Le parole.

Il superbo non si contenta di pen­sare altamente di se, ma sente il biso­gno di esternare con le parole i suoi sentimenti. Si loda facilmente, metten­do in mostra i titoli di onore, dicendo di appartenere a nobile famiglia, par­lando con entusiasmo delle proprie cose e mettendo sempre avanti il proprio « io ». - Io faccio così ... Io in quel­l'occasione mi comportai in tal modo ... Io sono salutato sempre ... Io sono sti­mato assai ... Io porto abiti di lusso ...

Insomma s'incensa di continuo e non ricorda il proverbio: Chi si loda, s'im­broda! -

Chi ha il vizio della superbia, non si limita a lodarsi; è anche portato natu­ralmente a disprezzare gli altri.

Il parlare del superbo suole essere impastato di critica, di mormorazione e di bugia.

Coloro che assistono a simili conver­sazioni, esternamente dimostrano di approvare, per non irritare il superbo, ma appena questi si allontana, cominciano a ridere alle sue spalle, dicendo: Che superba persona! . .. Oh, quanto è scioc­ca! ... Ma cosa crede di essere?... -

E così si avvera il detto di Gesù: Chi s'innalza, sarà umiliato! -



Il volere comparire.

Il superbo è smanioso di comparire e fa di tutto per apparire in società qualche cosa di più degli altri. Se è ric­co, spende grosse somme per avere un'a­bitazione più bella degli altri ricchi, compra gioielli di grande valore ed in­dossa abiti lussuosi.

Se il superbo non è ricco, fa grande economia pur di comparire davanti agli altri; perciò limita le spese giornaliere, va forse in prestito di denaro e tutto spende in abiti eleganti ed in pro­fumi.

La persona superba e vanitosa ama di stare lungamente davanti allo specchio e studia la conciatura dei capelli e l'abbellimento del volto; studia anche il sorriso ed i movimenti del corpo, per apparire sempre più attraente. Esce di casa, non tanto per sbrigare faccende, quanto per mettersi in mostra. Lungo le vie cammina con affettazione e pare voglia dire a tutti: Guardatemi! ... Chi c'è simile a me? ... Desidera ricevere saluti e gode nel suo cuore ad ogni pic­cola dimostrazione di stima.

Poveri superbi vanitosi! ... Ma credete che tutti abbiano a pensare a voi?... Ognuno ha i propri fastidi e tira per la sua strada! ... Vale dunque la pena sprecare tanto tempo e denaro per la voglia di comparire? ... Cosa ne resta a voi di utile? Vanità della vanità!…


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Messaggio  DomenicoPassante Dom 30 Nov - 9:15

SUPERBIA (3 PARTE)
Le opere del superbo.

Le nostre opere devono essere diret­te alla gloria di Dio ed al bene del pros­simo; soltanto così sono meritorie per l'altra vita. Ma il superbo non bada a ciò, anzi agisce in senso contrario; il fi­ne del suo operare è l'appagamento del­l'orgoglio, con la ricerca della stima e dell'approvazione altrui.

È bene qui ricordare gli Scribi ed i Farisei, uomini superbi, i quali fu­rono riprovati da Gesù Cristo. Costoro facevano elemosina, pregavano a lungo, digiunavano ed erano osservanti scru­polosi della legge di Mosè. Tuttavia non erano accetti a Dio, perchè le loro opere erano fatte per riscuotere la lode degli uomini. Gesù perciò disse ai suoi disce­poli: Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei Cieli. -

Il superbo, quando non è visto, si astiene dal far la carità o ne fa assai poca; se invece sa di essere osservato, fa elemosina ed anche abbondante­mente, affinché possa sentirsi dire: Oh, com'è caritatevole e di buon cuore! -

Quello che si dice per la carità, si dica per tutto il resto.
Quale ricompensa può sperare il su­perbo da Dio in questa o nell'altra vita? Nessuna!

La superbia spirituale.

E’ superbia spirituale il credersi buono, anzi più buono degli altri ed il disprezzare il prossimo perchè peccatore. Questo ge­nere di superbia dispiace moltissimo a Dio, il quale conosce la miseria di ciascu­no e sa che senza il suo aiuto non può farsi niente di buono.

Il Signore suole abbandonare questi superbi, lasciandoli in balia di se stessi, permette che poco per cadano in nei peccati e specialmente in quelli più ver­gognosi, affinchè imparino a conoscere la propria miseria spirituale.

Bisogna perciò guardarsi da un vizio così funesto; e per riuscirvi, ci si umili tanto più, quanto maggiore è il progresso che si fa nella via della perfezione.

UMILTA

L'umiltà è la virtù opposta alla su­perbia e consiste nello stimarci per quello che siamo, cioè un impasto di miseria, e nell'attribuire a Dio l'onore di qualche bene che in noi riscontria­mo. Non dovremmo faticare molto a praticare l'umiltà, se fossimo davvero convinti di ciò che siamo.

Facciamo delle brevi considerazioni sopra l'umana miseria, per invogliarci sempre più dell'umiltà.

Il corpo umano.

Quanti vanno superbi del proprio corpo! C'è chi va orgoglioso per la bel­lezza del volto, chi per il colore dei capelli, chi per la freschezza della carna­gione, chi per la robustezza delle mem­bra, chi per la voce, ecc. Eppure, che cosa è il corpo umano, anche il più bello? E’ un pugno di fango.

Basta un po' di febbre per abbattere una forte corporatura; un foruncolo può deturpare in breve il viso più avve­nente; da ogni parte del corpo umano emanano odori nauseanti, per cui si ha da ricorrere alle ciprie ed ai profumi.

Appena avvenuta la morte, il corpo diventa freddo cadavere e presto ha principio la putrefazione. Si è costretti a chiuderlo in una cassa, ben saldata, e dopo lo si affida alla terra. Guai a tro­varsi vicino al corpo umano quando la dissoluzione è avanzata! La carne puru­lenta si stacca dallo scheletro e serve di pasto ai rettili più schifosi del sotto­suolo.

O uomini, o donne, che tanto vanto menate del vostro corpo e tanta cura ponete nel comparire, pensate a ciò che vi ridurrà presto o tardi la morte!

I beni di fortuna.

Cosa sono le ricchezze e la nobiltà del casato? Sono delle semplici vanità. Che merito ne hai tu, o uomo, se sei nato da nobili genitori e ne hai ereditato il nome, il denaro, il palazzo e le altre proprietà? Il merito, al massimo, sarebbe di chi ha faticato per procurar­ti tali beni. Quale differenza c'è tra te nobile e l'ultimo dei poveri? Tutti e due siete figli di Adamo e soggetti en­trambi ad un cumulo di miserie. Come tu non hai avuto merito a nascere ricco, così l'altro non ha avuto colpa a nascere povero. E dunque, perché disprezzare il povero, aver vergogna di stargli vicino e pretendere da lui atti di umiliazio­ne? ...

Si pensi che i beni di fortuna oggi ci sono e domani potrebbero non esser­ci. Un terremoto, un'inondazione, un furto, un fallimento... e scompaiono le ricchezze! Quanti nobili decaduti ricor­da la storia! Vale dunque la pena d'insuperbirsi per i beni di fortuna? ...

Le doti mentali.

Taluni hanno sortito da natura una memoria prodigiosa, oppure una intel­ligenza superiore, per cui ritengono quanto vedono e sentono e con facilità riescono in diversi rami della scienza. Altri, pur non avendo memoria ed in­telligenza straordinaria, hanno tuttavia un'attitudine particolare alla musica, alla poesia, alla pittura o ad altra arte bella.

Costoro hanno diritto d'insuperbir­si? Niente affatto! Le doti intellettuali sono doni di natura e si possono perde­re o in parte o completamente. Basta visitare un manicomio, per convincersi di ciò. Quanti professori valenti, medici di grido, avvocati celebri, ecc.... hanno perduto l'uso della ragione e sono rico­verati tra gli scemi!

Il bene spirituale.

Oltre alla memoria ed all'intelligen­za, noi abbiamo la volontà, che é la fa­coltà più nobile dell'anima nostra. La volontà è fatta per il bene e tende ad esso.

Molti vanno in cerca di beni falsi e passeggeri e trascurano i veri beni, che si acquistano con l'esercizio delle virtù cristiane.

Ci sono invece anime ricche di beni spirituali, che moltiplicano gli sforzi quotidiani e che hanno già raggiunto un buon grado di perfezione. Possono que­ste insuperbirsi della propria virtù? No! L'anima può fare il bene, perchè è sorretta dalla grazia di Dio; se manca quest'aiuto, la volontà non può fare niente. La volontà umana è tanto de­bole: oggi vuole il bene e domani si ap­piglia al male; oggi ama e domani odia.

Come possono insuperbirsi i virtuosi, pensando alla debolezza della loro volontà? Basta pensare al principe degli Apostoli, S. Pietro, che disse a Gesù Cristo: Io sono pronto a morire con Te! Non ti abbandonerò! - La stessa notte invece Lo rinnegò tre volte.

Quanti, che prima erano virtuosi e modello agli altri di vita cristiana, si pervertirono e divennero di scandalo! Dunque, si stia sempre umili e diffidenti di sè.


Umiltà davanti a Dio.

Non dobbiamo mai confidare in noi stessi, come se fossimo qualche cosa davanti a Dio, stimandoci giusti. Ecco la parabola che fa al caso nostro.

- Due uomini, dice Gesù Cristo, anda­rono al Tempio per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così: Ti ringra­zio, o Dio, che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; e nean­che sono come quel pubblicano. Io digiu­no due volte nel sabato; do decime di tutto ciò che possiedo.

Il pubblicano invece stando in fondo al Tempio, non osava neanche alzare gli occhi al cielo; ma batteva il petto dicendo: O Dio, siate propizio a me pec­catore! -

Io vi dico, conclude Gesù, che que­sto pubblicano ritornò a casa giustifica­to, a differenza dell'altro; perché chiun­que si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato. -

La parabola é molto eloquente. Se vogliamo che Iddio ci perdoni i peccati, umiliamoci sinceramente davanti a Lui, riconoscendo la nostra miseria.

Se fossimo realmente buoni, se cioè osservassimo bene la legge di Dio, non potremmo allora pensare altamente di noi? Neppure questo è lecito. Infatti Ge­sù ci dice: Quando voi avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: Sia­mo servi inutili! Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare! -

Ora, se chi adempie bene i comanda­menti di Dio, deve dirsi servo inutile, che cosa pensare di chi ha fatto, oppure fa qualche peccato? ... E chi è sulla ter­ra che non pecca? ...

I patimenti.

Il Signore non lascia mancare la cro­ce ne’ ai cattivi ne’ ai buoni. Ai primi il soffrire serve a castigo dei peccati ed a mezzo di richiamo sulla buona via; ai secondi è fonte di merito per il Paradiso.

Il vero umile quando riceve una cro­ce, sia una malattia, sia una disgrazia o una contrarietà, non si ribella a Dio, ma tutto facilmente abbraccia, dicendo: Signore, ho peccato! ... Merito questa cro­ce, a motivo dei miei peccati! Abbiate pietà di me e datemi la forza di soffri­re! - Chi può dire quali tesori per il Cielo guadagna, facendo così l'anima umi­le?...

Il superbo invece, se si trova nella sofferenza, si arrabbia e dice: Ma che co­sa ho fatto a Dio, perché abbia a trattar­mi così? Ho fatto bene nella mia vita! - Povero superbo, come si sbaglia davan­ti a Dio! ...

Umiltà col prossimo.

L'umiltà con gli altri si pratica pen­sando bene di tutti e scusando quelli che sbagliano; non mormorando dei difetti altrui, anzi sopportandoli con pazienza; trattando con rispetto e cortesia tutti, anche i poveri, i rozzi e gl'ignoranti; non usando parole sprezzanti coi dipendenti e persone di servizio; non disprezzando la compagnia di chi è di bassa condizione; finalmente, aiutando i bisognosi.

Facendo così, si diventa amici di tut­ti e naturalmente si è stimati e lodati con disinteresse.

Umiltà con se stessi.

Si pratica l'umiltà con se stessi, non soltanto riconoscendo la propria miseria, ma anche accettando con calma le umilia­zioni. Un insulto, una mancanza di ri­guardo, un merito non riconosciuto, un favore ricambiato in male ... son cose che feriscono la superbia umana. L'u­miltà ci fa scoprire tutto ciò con corag­gio cristiano, pensando che per i nostri peccati siamo meritevoli di ogni umilia­zione.

L'umiltà c'insegna anche a pregare per chi ci ha umiliati.

Ma come avere la forza di praticare l'umiltà in tal guisa? Tenendo presen­te l'esempio di Gesù Cristo!

Nelle umiliazioni pensiamo a Gesù quando era insultato, ingiuriato, sputacchiato e preso a schiaffi dai perfidi Giu­dei. Se Gesù, Figlio di Dio, innocentis­simo, sopportò tante e sì gravi umilia­zioni, noi Cristiani, essendo suoi segua­ci, sforziamoci d'imitarlo come facevano i Santi e così troveremo il riposo per le anime nostre.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 7 Dic - 9:12

AVARIZIA (Prima Parte)

Il secondo vizio capitale è l'avarizia, cioè l'amore disordinato dei beni terreni, chiamati comunemente « beni di fortu­na ».

L'avarizia è peccato più o meno gra­ve, secondo che offende più o meno gra­vemente la carità o la giustizia.

Se il cuore umano è dominato da que­sto vizio, ad altro non pensa e non mira che alla ricchezza; diventa schiavo del denaro, sino ad adorare come Dio la mo­neta.

Gli avari, propriamente detti, non so­no molti; costoro si privano del neces­sario pur di accumulare denaro. Però gli attaccati alle ricchezze più del giusto, so­no in gran numero. Per convincersi di ciò, basta vedere con quale avidità si compera e si vende, quante liti si sosten­gono ed a quanti sacrifici si va incontro per accrescere il proprio guadagno.

Non è da confondersi con l'avarizia il giusto desiderio di guadagnare del de­naro, per sovvenire ai propri bisogni ed a quelli della famiglia; neppure è avarizia quel senso di economia, per cui si limi­tano le spese non necessarie, allo scopo di mettere da parte qualche cosa per gl'im­previsti della vita.



Conseguenze.

Il desiderio di arricchire suole spin­gere all'usura.

Il bisognoso si rivolge al benestante per avere in prestito denaro. Bisognereb­be immedesimarsi della necessità del pros­simo e dare in prestito generosamente, senza domandare interesse, oppure chie­dere il minimo. Chi però è attaccato alla ricchezza, o non dà in prestito o, se dà, richiede molto interesse. Quanti usurai fanno piangere intiere famiglie, spillando denaro a più non posso! Giustamente questi miserabili sono chiamati strozzini, perché strozzano il prossimo, prendendolo per la gola.

L'amore sregolato al denaro fa froda­re anche la giusta mercede all'operaio. Il lavoro dev'essere retribuito come si conviene, cioè la paga dev'essere in rap­porto alla fatica ed all'abilità.

L'avaro invece esige molto lavoro e re­tribuisce poco, dando così motivo di be­stemmiare e d'imprecare.

L'amore al denaro mette a tacere anche la voce del sangue. Perché tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra zii e ni­poti, non si mantiene la dovuta cordia­lità? ... Perché spesso costoro non si vi­sitano, non si salutano, anzi si calunniano, augurandosi ogni male? È la conseguen­za dell'attacco al denaro.

E quanti delitti non si commettono per appropriarsi della roba altrui! Ed a quanti parenti si desidera la morte pre­matura, nella speranza di aver presto l'ere­dità o qualche lascito!

Giuda tradì Gesù Cristo per trenta de­nari; e chiunque si lascia vincere dall'amo­re ai beni di questo mondo, non c'è ma­le che non possa commettere, davanti alla possibilità di arricchire ancora.



IL NECESSARIO

L'esempio di Gesù.

I beni di questo mondo ci sono stati dati da Dio come mezzo di sostenimento; non bisogna dunque attaccarvi troppo il cuore e cambiare così il mezzo col fine. Gesù diede al mondo l'esempio del più completo distacco dai beni terreni, per far comprendere che le vere ricchezze sono quelle celesti. Egli perciò volle una Ma­dre povera ed un Padre Putativo povero; nacque nella massima povertà; lavorò e visse da povero, sino a dire ad un tale che voleva seguirlo: Gli uccelli dell'aria hanno i loro nidi e le volpi le loro tane, ma il Figlio dell'uomo non ha neppure dove posare il capo. -
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 14 Dic - 9:38

AVARIZIA (Sec.parte)


I veri tesori.

La virtù opposta all'avarizia è la li­beralità e consiste nell'avere il cuore stac­cato dalla ricchezza e nel beneficare gli altri, nel limite della propria possibilità.

« Non vogliate, - dice il Signore; - affaticarvi per guadagnare tesori sulla ter­ra, tesori che la ruggine e la tignola di­struggono e che i ladri dissotterrano e rubano. Procuratevi invece tesori per il Cielo ... Fatevi degli amici col Mam­mona d'iniquità, (cioè col denaro,) affin­ché quando verrete meno, possiate esse­re ricevuti negli eterni tabernacoli ».

Il Signore in tal modo ci esorta a te­soreggiare per il Paradiso e ci dice di servirci del denaro per assicurarci la feli­cità eterna. Chi infatti fa buon uso del denaro, esercitando la cristiana carità, sconta i peccati e si arricchisce di tesori, che troverà in Cielo quando verrà meno con la morte.

Ma mentre è promesso il Paradiso a chi fa buon uso delle ricchezze, è minac­ciato il fuoco dell'inferno a chi non fa carità, avendone la possibilità.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 21 Dic - 8:25

LUSSURIA

Uno dei vizi che fa più strage morale in mezzo all'umanità, è la lussuria, cioè il piacere sensuale. Questo vizio si suole anche chiamare disonestà, immoralità o impurità.

Iddio ci ha dato un corpo fornito di sensi ed un'anima intelligente e volitiva. Il corpo ha delle funzioni particolari, stabilite dal Creatore, funzioni che se si compiono contrariamente all'ordine vo­luto da Dio, sono un male molto grande.

Per la qual cosa il Signore ha mes­so nel Decalogo due comandamenti espli­citi, uno che riguarda le azioni: « Non commettere atti impuri » e l'altro che ri­guarda i pensieri: « Non desiderare la persona degli altri ». Chiunque manca volontariamente contro questi comanda­menti, commette sempre peccato mortale, non ammettendo la lussuria parvità di materia.



Funeste conseguenze.

La lussuria è un vizio così potente, che guai a lasciarsene dominare! La schiavitù delle impure passioni è infatti la più vergognosa ed umiliante.

Davanti a questo vizio si sacrifica la propria dignità e si diventa simili alle bestie senza ragione; si sacrifica la salute, per cui si va a finire al manicomio, op­pure si va alla tomba prima del tempo. Si sacrifica il denaro, la pace della famiglia, la pace del cuore; e più che tutto si sacri­fica l'anima rendendola un tizzone d'in­ferno.

Al tempo di Noè il Signore punì questo brutto vizio con il diluvio universale; ed al tempo di Abramo punì le città delle Pentapoli mandando il fuoco dal cielo, che incenerì tutti gli abitanti. Se riflet­tiamo bene, possiamo convincerci che buona parte dei mali che oggi affliggono l'umanità, sono dovuti, al dilagare della disonestà.




Lussuria

quei desideri mai appagati...

Che cos'è
La radice della parola lussuria coincide con quella della parola lusso - che indica una esagerazione - e quella della parola lussazione - che significa deformazione o divisione.
Appare quindi chiaro il significato di lussuria, che designa qualche cosa di esagerato e di parziale. Il lussurioso cioè è portato a concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner (il corpo o una parte di questo) che diventano il polo dell'attrazione erotica; tutto il resto è escluso, l'interezza è negata.
Il corpo viene oggettivato e la persona spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza fondamentale poiché devono supplire alla mancanza di un altro tipo di seduzione che scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre che fisica.
La lussuria è quindi una conseguenza di un certo tipo di paura: la paura del confronto con un altro essere umano nel quale è possibile rispecchiarsi. Il lussurioso non si vuole specchiare, non si vuole vedere, non si vuole confrontare…

La lussuria è anche una delle manifestazioni più comuni del disagio proprio della nostra società, dove siamo alla continua ricerca di nuove esperienze e nuove emozioni che ci facciano sentire "vivi".
Cosa è stato detto a proposito della "lussuria"

Rendimi casto, ma non subito.
Sant'Agostino

Il sesso è la cosa più divertente che ho fatto senza ridere.
Woody Allen

Il sesso è l'ultima importante attività umana non soggetta a tassazione.
Russel Baker

Il piacere è come certe droghe medicinali: per ottenere sempre lo stesso risultato bisogna raddoppiare la dose.
Honorè de Balzac


Ma è una ricerca irrequieta che spesso ci porta a sentire il vuoto dietro le cose, e a sentire che la vita non trova un suo compimento. E così ad una avventura erotica ne segue un'altra, un'altra e un'altra ancora. Si cerca l'assoluto… ma si rimane inevitabilmente delusi.
Poi capita che la sessualità tradizionale non basti più e così si cerca la novità, una pratica erotica trasgressiva, una avventura con un travestito o un transessuale… I gay spesso sono persone che più delle altre hanno paura del confronto col diverso, e così si cercano qualcuno di "simile" a sé, anche nel sesso.

Come superare l'ansia alla base della lussuria

L'ansia che porta molti a ricercare nuove emozioni e gratificazioni in un sesso sregolato scompare nel momento in cui si incomincia a percepire il vero senso della vita, e ci si sbarazza di dubbi, ripensamenti e sensi di colpa…
Buttarsi e ributtarsi nella realtà, confrontandosi con tutto quello che si incontra e senza paura del confronto, senza paura di essere sconfitti o messi in ridicolo: questa è l'unica medicina per combattere la lussuria e per essere felici.
A volte siamo così distratti e sconvolti da ciò che ci capita che poi fatichiamo a ritrovare noi stessi. Eppure si deve. Non si può affondare in ciò che ci circonda. É in te che le cose devono venire in chiaro, non sei tu che devi perderti nelle cose.
Quando ci capita di pensare che la nostra vita sia completamente sbagliata, che ci sia un errore, questo capita solo perché ci siamo fatti una determinata idea della vita, rispetto a cui può apparire sbagliato come realmente viviamo. Ma questa è solo una nostra costruzione. La vita è così com'è: l'unico modo per non soccombere è quello di accettarla senza volerla per forza spiegare, insomma... viverla.

Lussuria ed eros

Nel linguaggio comune, la lussuria è associata all'erotismo, o eros. In questa accezione del termine, la lussuria non è propriamente un peccato capitale, a meno che la persona non si faccia travolgere dalle proprie passioni, perdendo completamente il controllo di sé.
Ma anche la situazione opposta non è raccomandabile: le persone che esercitano un controllo esagerato delle proprie pulsioni vanno incontro a grosse frustrazioni, e rischiano di inaridirsi, diventando fredde, giudicanti e bigotte.
Inoltre, quando la repressione è protratta nel tempo, nei casi estremi assistiamo a episodi di sdoppiamento di personalità: impiegati modello o brave casalinghe che di pomeriggio o di notte si trasformano in qualcos'altro…
L'istinto alla sessualità quindi non va represso. Le passioni danneggiano l'essere umano sia quando sono eccessivamente compresse, sia quando sono scatenate senza limiti. E la salute del corpo e l'equilibrio della mente non si mantengono con la repressione o la rimozione delle passioni, ma con la loro misurata espressione…

Lussuria e storia contemporanea

Nella società moderna, lo schema della relazione maschio-femmina, per effetto dell'introduzione degli anticoncezionali, si è trasformato radicalmente. Negli anni 60 il maschio, che conosceva solo il proprio corpo come corpo libero dalla catena della riproduzione, si trovò di fronte un altro corpo "liberato" (biochimicamente liberato) e il suo schema di vita subì un contraccolpo che lo obbligò ad una trasformazione e una rivisualizzazione radicale di sé.
Liberata dal ritmo della natura a cui era inchiodata dall'origine del mondo, la donna, col suo ingresso nella "storia", ha liberato una sessualità più autentica e più pratica, che ha spostato i limiti del comune senso del pudore.
Ciò ha costretto le morali a fare delle contorsioni su se stesse per rendere tollerabile quello che un tempo era deprecabile, e ha obbligato le terapie psicologiche a riconfigurarsi.
Ma le conseguenze non finiscono qui. Quando la donna era inchiodata alla natura e l'uomo libero di mettersi in gioco, la differenza sessuale era marcata dall'appartenenza a due diversi scenari.
Negli anni 90 è venuta a galla un'altra verità: che i sessi fossero meno diversi di quanto si pensasse, anzi tendessero a confondersi se non a scambiarsi…
Tale fatto si è reso evidente non solo nella fisicità, ma anche nell'atteggiamento psicologico: molte donne si sono infatti rivelate bramose di esercitare quel potere che da sempre era appannaggio degli uomini.
Oggi le cose stanno cambiando di nuovo. I giovani sono più liberi, più autentici, più generosi di sé senza cadere in macchinosi giochi di potere e di seduzione. Non c'è lussuria nei loro atti d'amore, ma una sana e giocosa consapevolezza …
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 4 Gen - 9:02

LUSSURIA 2* PARTE
Purezza matrimoniale.
Tutti abbiamo il dovere di essere puri, ciascuno secondo il proprio stato. C'è la purezza matrimoniale e quella verginale. Coloro che sono uniti col vincolo ma­trimoniale, hanno degli obblighi gravi, ai quali non devono mancare. Si ricordino che anche per essi c'è il sesto e il nono Comandamento. Per gli sposati il mancare contro la virtù della purezza importa una gravità maggiore che non per i celibi. Purtroppo la santità matrimoniale è profanata con tanta facilità. Iddio vede tutto e darà a suo tempo a ciascuno il dovuto castigo.
Nella vita di S. Caterina da Siena si legge che il Signore in una rivelazione le disse essere molto offeso per i peccati che si commettono dai coniugati.
È bene perciò che gli sposati esami­nino la propria coscienza, per vedere se c'è da correggere qualche cosa.
 
Purezza verginale.
Chiamasi purezza verginale quella che devono osservare tutti coloro che sono liberi dal vincolo matrimoniale.
Per praticare bene questa virtù ci vuole buona volontà; il premio però è gran­dissimo.
Un'anima vergine dà a Dio molta gloria e si arricchisce continuamente di meriti per il Cielo.
Non mancano nel mondo queste ani­me generose, che sacrificano ogni umano diletto per amore del regno dei Cieli. Co­storo godono in terra le gioie pure dello spirito ed avranno nell'altra vita un premio particolare.
San Giovanni Evangelista in una vi­sione vide il Paradiso ed i Beati vicino al trono di Dio. Scorse una schiera di anime che seguivano festanti l'Agnello Immacolato, Gesù Cristo, dovunque Egli andasse, e cantavano un inno, che sola­mente a loro era permesso di cantare. San Giovanni chiese: - Chi sono costoro? - Gli fu risposto: Sono le ani­me vergini, che hanno lavato la loro stola nel Sangue dell'Agnello. -
Attratti dalla sublimità di questa virtù, tante anime fanno il voto di purezza, o temporanea o perpetua. Prima però di emettere un tal voto, si domandi il pa­rere al proprio Confessore, poiché è fa­cile in un momento di fervore offrirsi al Signore, ma non è sempre facile essere puri come si deve. Si sappia che chiunque fa il voto di purezza, guadagna doppio me­rito delle opere buone che compie riguar­do a questa virtù. Però se manca volonta­riamente contro la purità, o nei pensieri o nelle parole o nelle opere, commette allora doppio peccato grave, uno contro il Comandamento di Dio e l'altro contro il voto emesso. In Confessione si deve dire: Padre, ho peccato contro la purità; però ho anche il voto. -
Dal voto di purezza temporanea, cioè per mesi o per anni, si può ottenere la dispensa dal Vescovo o da altro Sacerdo­te che ne abbia facoltà. Dal voto di purezza perpetua, cioè di tutta la vita, si può ottenere la dispensa solamente dalla Santa Sede. Però, se il voto perpetuo è stato fatto prima dei diciotto anni, non occorre rivolgersi alla Santa Sede per la dispensa.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 11 Gen - 9:28

Lussuria 3°P

Il corpo.
Se vogliamo essere puri, dobbiamo custodire il corpo, il quale è il più gran­de nemico della purezza.
Pur dando al corpo quanto gli spetta, non gli si conceda troppa libertà. Chi non riesce a dominare con facilità i pro­pri sensi, presto o tardi perderà la bella virtù.
Iddio ci ha dato gli occhi affinché po­tessimo servircene in bene. Essi però sono chiamati le finestre dell'impurità; difatti guardare, pensare e peccare, sono spesso indivisibili.
Non è lecito guardare ciò che non è lecito desiderare. Si custodiscano dunque gli occhi e non si posino maliziosamente nè sopra oggetti nè sopra persone. Uno sguardo cattivo può dare la morte al­l'anima. Eppure, con quanta facilità si profa­nano gli occhi! ...
Dovremmo essere tanto grati a Dio per il dono della lingua; invece la maggior parte delle persone se ne serve in male. Quante parolacce triviali e libere si pro­nunziano nella rabbia, oppure nello scherzo! Quante frasi equivoche si met­tono fuori per fare dello spirito!
Tuttavia ciò che costituisce un gran­de male, è il discorso disonesto o vergo­gnoso. Il parlare scandalosamente è la rovina della propria purezza e dell'al­trui e costituisce per lo più un grande male.
Bisognerebbe fare una lotta spietata al parlare immorale, rimproverando senza tanto riserbo chi ha la sfacciataggine d'intavolare certi discorsi ... che fan­no vergogna.
È necessario mortificare la curiosità di sapere e di sentire ciò che non è con­veniente.
Siccome le orecchie non si possono chiudere, come si fa per gli occhi, la mi­glior cosa è allontanarsi da chi tiene cat­tivi discorsi. Nè si pensi che l'ascoltare chi parla scandalosamente sia cosa insi­gnificante, poiché si comporta male chi fa il discorso disonesto e chi l'ascolta volentieri.
Il corpo è tempio dello Spirito Santo; si rispetti perciò come una cosa sacra. Il senso del tatto sia delicatamente custodito e si porti grande rispetto alla propria ed all'altrui persona, evitando ogni libertà illecita con se e con gli altri. Il cuore è fatto per amare; perciò non tutti gli amori sono leciti.
Quando ci si accorge che il cuore tende ad un amore non buono, bisogna subito troncare gli affetti, diversamente le fiam­me amorose aumenteranno sempre più e si svilupperà un incendio inestinguibile. Il cuore umano non tenuto a freno, porta nell'abisso della impurità e poi nell'abis­so infernale.
Pensino a custodire bene il cuore specialmente le donne, le quali sono tan­to facili ad amare!
 
I pensieri.
Ad una certa età, quando cioè si esce dalla fanciullezza, i pensieri cattivi co­minciano a disturbar la mente. Non è il caso di preoccuparsi per tali pensieri, perchè non sono mai peccato quando la volontà è contraria.
Chi ha nella mente cattivi pensieri ed impure immaginazioni, ma senza ba­dare al male che fa, unicamente per di­strazione ed inavvertitamente, non com­mette peccato alcuno.
Chi si ferma nei brutti pensieri con poca avvertenza, oppure senza la piena volontà, commette un semplice peccato leggero.
Chi invece si pasce di pensieri e desi­deri illeciti e fa ciò con piena conoscen­za e con piena volontà, è colpevole di grave peccato contro la purezza.
Coloro che si accorgono del cattivo pensiero e subito lo scacciano, o fanno ad esso l'atto contrario, non peccano, ma guadagnano merito davanti a Dio. Si confortino perciò le anime tentate, pen­sando che neppure i più grandi Santi sono stati esenti da simili assalti.
 
La cattiva abitudine.
Tutte le abitudini cattive sono fu­neste; ma l'abitudine del peccato impu­ro è la più disastrosa. Infelice chi cade e ricade con frequenza in questo pec­cato! O l'anima si rimette sulla buona via o andrà inesorabilmente perduta.
Ci sono dei mezzi efficaci per tron­care l'abitudine dell'impurità. Il primo è la buona volontà. Il demonio sugge­risce che è impossibile rompere la cate­na della cattiva abitudine; ma ciò non è vero. Chi vuole può. Quanti infatti, già schiavi del brutto vizio, si sono cor­retti ed hanno fatto penitenza! Mad­dalena, la Samaritana, Sant'Agostino, Santa Taide, Santa Maria Egiziaca, ecc.... furono anime grandemente peccatrici e scandalose, ruppero però la catena della rea abitudine ed ora sono degne di pubbli­ca venerazione sugli Altari.
Il secondo mezzo è la preghiera. Pre­gando, si rafforza la volontà ed aumenta l'energia spirituale. E’ bene anche far celebrare qualche Santa Messa.
Un mezzo potente assai è la Confes­sione frequente e ben fatta, unita alla Santa Comunione. Se è il caso, ci si con­fessi ogni giorno. Commesso un peccato impuro, non si aspetti che se ne faccia un altro prima di andare a confessarsi. Se si ritarda a mettersi in grazia di Dio, il demonio farà moltiplicare i peccati e sarà poi più difficile il rialzarsi. La Con­fessione sia fatta bene, cioè sincera e col dovuto dolore. Purtroppo, chi cade nel­l'impurità, non di raro per vergogna tace in Confessione ciò che è tenuto a mani­festare al Ministro di Dio e così commet­te il sacrilegio. Altri invece, pur confes­sando tutto, non hanno il vero dolore per detestare il peccato impuro e così non ri­cavano utilità dalla Confessione. Ripor­to una visione di San Giovanni Bosco.
 
La corda limacciosa.
Dice il Santo: Mi trovai in una gran­de sala illuminata, ed ecco comparire una schiera di bellissimi giovanetti come An­geli, che tenevano nelle mani dei gigli e li distribuivano qua e là, e coloro che li ricevevano si sollevavano da terra. Doman­dai alla mia guida che cosa significassero quei giovani che portavàno il giglio e mi fu risposto: Sono quelli che seppero con­servare la virtù della purità. -
Scomparve la bellissima luce ed io ri­masi al buio. Di poi vedevo facce rosse, quasi infuocate. Vidi alcuni giovani che si affaticavano attorno ad una corda li­macciosa, pendente dall'alto, e si sfor­zavano di arrampicarsi ed andare in alto; ma la corda cedeva sempre e veniva giù un poco, di modo che quei poverini erano sempre a terra con le mani e la persona infangate. Meravigliato di ciò, domandai cosa volesse significare quello che vedevo. Mi fu risposto: La corda è la Confessione; chi sa bene attaccarvisi, arriverà al Cielo, e questi sono quei giovani che vanno so­vente a confessarsi e si attaccano a questa corda per potersi innalzare; ma vanno a confessarsi senza le dovute disposizioni, con poco dolore e poco proponimento. -
Vidi in seguito un altro spettacolo più desolante. Certi giovani di aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpentaccio, che con la coda an­dava al cuore e sporgeva innanzi la te­sta e la posava vicino alla bocca del me­schino, come per mordergli la lingua, se mai aprisse le labbra. La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti; la loro bocca era torta ed essi erano in una po­sizione da mettere spavento. Domandai il significato di ciò e mi fu detto: Il ser­pente stringe la gola a quegl'infelici e, per non lasciarli parlare in Confessione, sta attento se aprono la bocca per morderli. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona Confessione ed il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati nella coscienza, tornano più e più volte a confessarsi, senza mai osare di mettere fuori il ve­leno che racchiudono nel cuore. Va' a dire ai tuoi giovani che stiano attenti e racconta loro quello che hai visto. -
 
La penitenza.
Tra i rimedi per vincere la cattiva abitudine del peccato impuro, è da met­tere la mortificazione o penitenza. Il cor­po è come un cavallo furioso e bizzarro, che ha bisogno della frusta e degli spe­roni per essere tenuto a bada.
Chi vuol correggersi, si privi di tanto in tanto di piaceri anche leciti, faccia qualche penitenza speciale, come sarebbe un digiuno, il battere il corpo con qualche strumento, il portare un piccolo cilizio ... Se facevano questo i Santi, i quali non ne avevano tanto bi­sogno, perchè non hanno da farlo coloro che facilmente cadono nell'impurità? ... Si è provato che la penitenza del corpo mette in fuga la disonestà.
In conclusione, chi vuol correggersi davvero, ogni qual volta ha la disgrazia di cadere nel brutto peccato, s'imponga una qualche penitenza corporale. Ad ogni nuova caduta, una nuova peni­tenza. E’ impossibile non correggersi con tale rimedio.
 
Consigli per custodire la purezza.
Per custodire il giglio della purezza si procuri di tenere occupata la mente in buoni pensieri. Si stia sempre occu­pati, perchè l'ozio è il padre dei vizi. Si pensi che vicino a noi c'è l'Angelo Custode, notte e giorno, e perciò non deve farsi mai cosa alcuna che sia in­degna della sua presenza.
Si pensi spesso che Iddio vede tutto, anche i pensieri più nascosti, e non si abbia la spudoratezza di fare alla pre­senza del Signore, quel male che non si farebbe alla presenza dei genitori o di persona riguardevole. Quando la ten­tazione assale e minaccia di aumentare l'energia, è bene interrompere l'occu­pazione che si ha per mano, mettersi a passeggiare, lasciare la solitudine cer­cando un poco di onesta compagnia, cantare lodi sacre, ecc....
Se con tutto ciò la tentazione ingi­gantisce, il che è molto raro, non ri­mane altro che gettarsi in ginocchio, baciare il Crocifisso o la medaglia, fare la Croce possibilmente con l'acqua be­nedetta e dire con fede: Prima la morte, o Signore, anzichè peccare!
 
Fuga delle occasioni.
E’ occasione di peccato tutto ciò che esternamente sollecita la volontà a pec­care, sia persona, sia oggetto, sia luogo. L'occasione può essere remota e prossima. Si dice remota, quando non è ta­le da spingere fortemente la volontà alla colpa grave; è prossima, quando ordinariamente trascina al peccato mor­tale.
Chi si mette in una data occasione, ad esempio, dieci volte, e sempre o la maggior parte delle volte cade nella col­pa grave, allora si trova nella vera oc­casione prossima di peccato. Si tenga bene in mente questo: Chiunque si mette nell'occasione prossima di grave peccato volontariamente e senza una forte ragione, commette peccato mortale volta per volta, anche se casualmente non acconsentisse alla tentazione!
 
Attenzione a certe persone.
Occasione di peccato contro la pu­rezza sogliono essere le persone di ses­so differente. Si eviti dunque la compa­gnia di coloro che sono poco timorati di Dio e che non hanno stima della purezza.
Le donne si guardino anche dai pa­renti e specialmente dai cognati e dai cugini.
Un'occasione grave, ma necessaria, è il fidanzamento; si abbia perciò la massima vigilanza per non deturpare il giglio della purezza. I fidanzati non stiano mai soli, abbiano un grande ri­spetto vicendevole e siano disposti a dispiacere alla creatura anziché offen­dere il Creatore. I fidanzati tengano lontano il pensiero della fuga vergogno­sa, perché è peccato mortale contro la purezza. Commettono anche grave pec­cato coloro che hanno il dovere e la possibilità d'impedire questa fuga e non lo fanno, coloro che in qualche modo l'aiutano e quelli che la consi­gliano oppure l'approvano.
 
Scuola e laboratorio.
La compagnia dei buoni aiuta a di­ventare migliori; quella dei cattivi tra­scina al male.
Non manca la cattiva compagnia nel­le pubbliche scuole e nei laboratori. La gioventù bramosa di conservarsi pura, stia più lontano che sia possibile dagli appestati morali e, pur frequentando la scuola o il laboratorio, usi tutti i mez­zi necessari per non lasciarsi contami­nare. Per riuscire, conosciuti gli esseri pericolosi, si fugga la loro compagnia, si facciano conoscere a chi fa da superiore e, se sarà necessario, si cambi labora­torio.
Chi ha la responsabilità di un labo­ratorio, specialmente di giovani, vigili e mandi via chi può seminare l'immora­lità e non lasci mai soli i giovani lavo­ranti, perchè quando manca il capo, or­dinariamente il demonio impuro semi­na il male.
 
I divertimenti mondani.
Il divertirsi onestamente è lecito. Ma i divertimenti che oggi il mondo appre­sta, sono un'insidia continua alla vir­tù della purezza. Bisogna sapersi guardare. Si dovrebbero meditare bene que­ste tremende parole di Gesù Cristo: Guai al mondo per gli scandali!
Quando il cinema ed i teatri sono buo­ni, non si fa male ad andarvi; quando sono cattivi, non si vada assolutamen­te; quando si è in dubbio sulla mora­lità di qualche rappresentazione, è pru­denza cristiana non andarvi.
Allorché si ci trova davanti a certe scene poco castigate, non sempre basta abbassare gli occhi, ma è necessario al­zarsi ed andare via. Questo dovere è chiesto dalla dignità personale, dalla re­sponsabilità verso coloro che forse ivi si sono condotti e dal buon esempio che deve darsi al prossimo. - Ma facendo così, si perde il denaro del biglietto! - È meglio perdere un po' di denaro, an­zichè il candore della purezza.
Quanti, dopo aver pascolato la mente tra scene immorali, escono dal cinema morti alla grazia di Dio, col rimorso e con le durature conseguenze delle brut­te impressioni!
Facciano un buon esame di coscienza i genitori, che fossero facili ad accon­tentare i figli con questi divertimenti e si esaminino pure tutti coloro che ac­corrono con frequenza a tali spettacoli.
 
Il ballo.
Di per se stesso il ballo non sareb­be un male, però la malvagità umana l'ha ridotto ad una scuola d'immoralità. I vari balli moderni, eseguiti special­mente tra persone di diverso sesso, co­stituiscono un vero pericolo per la pu­rezza.
Si faccia di tutto per impedire si­mili balli e non si permettano nelle fa­miglie che si dicono cristiane; anzi, non vi si assista neppure, per non approva­re colla propria presenza il male che al­tri commette.
I genitori, desiderosi di custodire la purezza delle figliuole, siano molto vi­gilanti su questo spasso mondano, che giustamente è chiamato il divertimento del diavolo.
 
La spiaggia.
Anche la vita di spiaggia è conside­rata oggi come rovina della purezza. Il costume molto ridotto, l'ozio, la pre­senza di giovani dissoluti, tutto ciò con­corre alla rovina delle anime.
È necessario quindi prendere le do­vute cautele, diversamente, mentre si va al mare per pulire il corpo e rafforzarlo, si macchia l'anima e la si potrebbe per­dere eternamente.
 
La moda.
Le donne son portate naturalmente a seguire la moda. Se la moda è modesta, la purezza ne avvantaggia; se è troppo libera, i buoni costumi ne risentono assai.
Al presente l'abito femminile lascia molto a desiderare, tanto che si può chiamare la provocazione delle umane passioni. Ordinariamente le donne non pensano al male che fanno col vestire immodesto; esse cercano di appagare la vanità; il demonio invece si serve di ciò per tendere insidie agl'incauti e farli cadere nel male.
Coloro che confezionano abiti femmi­nili, siano prudenti e delicati nell'eser­cizio della loro professione per non coo­perare alla rovina delle anime. Prefe­riscano perdere certi clieti, anzichè macchiare la propria coscienza.
I genitori cristiani s'impongano ener­gicamente sulle figliuole e non permet­tano di vestire immodestamente. Si ri­cordi che il migliore ornamento di una giovane è la serietà del vestire e la mo­destia del portamento.
 
Altri pericoli.
Libri cattivi ce n'è molti e si trovano anche presso famiglie cristiane. Si leg­gono con la scusa d'istruirsi o con la falsa idea di non ricavarne del male. Quando un libro è cattivo, non solo si fa male a leggerlo, ma si fa male pure a prestarlo, a consigliarlo ed a tenerlo conservato. Non resta dunque che di­struggere subito i libri cattivi o pericolosi.
Quello che si dice per i libri, valga anche per i giornali, le riviste ed i perio­dici cattivi.
Il televisore costituisce un pericolo per la moralità; si trasmettono opere, films e dialoghi che lasciano assai a desiderare in fatto di purezza.
In ultimo, si considerino come veri pericoli i quadri e le statuette indecen­ti, esposte senza riserbo nelle villette, lungo le scale e sulle pareti delle ca­mere. Quanto male non fanno certi la­vori, chiamati artistici, ma che in realtà si dovrebbero chiamare scandalosi!
Si distruggano anche certe cartoline indecenti, che persone senza timore di Dio mettono in circolazione.
 
Custodire i piccoli.
Ad una certa età, conosciuto il valore della purezza, ciascuno è in grado di vi­gilare sopra di se e sopra degli altri. I piccoli però non possono fare questo, in quanto non conoscono il male.
I genitori ed i superiori hanno il do­vere grave di vigilare affinché i piccoli non vengano scandalizzati.
I ragazzini e le ragazzine sogliono es­sere facilmente vittime delle umane passioni. Ma guai a chi compie quest'o­pera diabolica! Dice Gesù: Guai a chi dà scandalo ad uno di questi piccoli che credono in me! -
In pratica, si sia prudenti a non fare riposare, ad una certa età, nello stesso letto parecchi figliuoli. Non si la­scino senza sorveglianza i piccoli quan­do attendono al giuoco, specialmente se cercano di nascondersi per non essere visti. Non ci si fidi troppo delle persone di servizio, in modo particolare se sono poco timorate di Dio.
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Messaggio  DomenicoPassante Dom 18 Gen - 10:05

IRA
Il quarto vizio capitale è l'ira o col­lera, che può definirsi, in senso stretto, come il desiderio disordinato della ven­detta. Considerata in senso largo, la col­lera è una viva commozione dell'animo, che ci fa respingere con forza e sdegno ciò che ci dispiace.
Qualche volta la collera non è pec­cato; questo avviene quando è conforme alla retta ragione. Un esempio l'abbia­mo nel Vangelo. Gesù trovò nel Tempio i profanatori; allora prese il cingolo, ne fece come un flagello e con esso battè i profanatori, mandandoli fuori dalla Casa di Dio.
Anche quando la collera è conforme alla retta ragione, potrebbe divenire peccato, più o meno grave, per quello che si fa durante l'ira o per il modo con cui si fa. Nella collera infatti si può pec­care o perché si punisce chi non merita, o perché si punisce più gravemente che non comporti la colpa, o perché si ha di mira più la vendetta anzichè la cor­rezione del colpevole, o perchè si esage­ra nella maniera di adirarsi.
Da ciò ne segue che è meglio non arrabbiarsi mai, piuttosto che arrab­biarsi giustamente, poichè è difficile mantenersi nei giusti limiti.
 
Simile alla pazzia.
Chi è pazzo, parla ed opera senza ri­flettere; può recare del male a se ed agli altri. Non è però responsabile del suo agire. Chi si lascia dominare dalla collera, finché è in preda alla passione, è come un pazzo: non sa ciò che dice o fa. Quante stranezze si commettono nella rabbia! Si battono i piedi, si tira­no i capelli, si mordono le mani, si bestemmia, s'impreca, si getta addosso al primo che capita ciò che si ha fra le mani, sì ferisce il prossimo e si può an­che dargli la morte. Cessata la rabbia, il collerico suole restare umiliato e dice a se stesso: Ma cosa ho fatto?... Guarda un po' a che estremi sono arrivato!... Ah! questi nervi! Invece di pentirsi dopo, è meglio pensarci prima e non montare in col­lera.
Il collerico è di tormento agli altri ed a se. Guai a contrastarlo! Ne sanno qualche cosa le spose ed i figli, quando hanno da fare con il capo di famiglia assai nervoso. Sono ingiurie, minacce e botte! La presenza del collerico in casa tronca il sorriso dei familiari.
Chi facilmente monta sulle furie, vive nell'inquietudine, credendo che tutte le cose avverse capitino proprio a lui; pensa e ripensa i torti ricevuti, torti che a volte sono immaginari; suole avere la mente eccitata, per cui si rende inquieto lo stesso sonno.
Questi caratteri sono simili alle pen­tole in ebollizione; basta un poco più di calore ed ecco saltare il coperchio e riversarsi l'acqua; è necessario togliere legna dal fuoco, oppure aggiungere nella pentola un poco d'acqua fresca.
Al collerico si devono togliere le oc­casioni che possano eccitarlo; gli si fa così un vero atto di carità.
Quando si mantiene il dominio di se, si vede meglio la situazione delle cose e si possono prendere delle decisio­ni prudenti.
Invece il nervoso, alterandosi, non può vedere chiaramente, non è in gra­do di valutare le circostanze e facilmente può sbagliare negli affari d'importanza.
La nervosità è madre della precipi­tazione. Si sa per esperienza che la preci­pitazione è causa di tanti e tanti sbagli.
Il danno maggiore che arreca questo vizio, è quello spirituale, perché duran­te la collera si sogliono commettere di­versi peccati, con i pensieri, con le pa­role e con le azioni.
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Messaggio  DomenicoPassante Mar 27 Gen - 10:22

IRA (2^ parte)

PAZIENZA
La virtù della pazienza è molto ma­gnificata dal Signore. Infatti Gesù dice: Beati i mansueti, poichè essi possederan­no la terra!
Queste parole significano che chi è paziente può divenire padrone del cuore degli uomini, è stimato dagli altri e bene­detto da Dio.
Inoltre Gesù vuole mettersi a model­lo della pazienza e proclama a tutti gli uomini: Imparate da me, che sono mite!
 
Pazienza con se stessi.
La pazienza è necessaria a tutti e sempre. Non mancano le occasioni in cui essa viene messa alla prova. Si deve esercitare questa virtù prima di tutto con noi stessi. Essere pa­zienti significa frenare la commozione dell'animo o mantenere in calma le po­tenze spirituali e sensitive. Non è sem­pre facile conservare il dominio di se stessi e mostrarsi sereni quando avvie­ne qualche contrarietà. La padronanza di se si acquista con un continuo eser­cizio e con l'aiuto della preghiera.
San Francesco di Sales aveva un'in­dole rabbiosa; sin da fanciullo si propo­se di correggersi e riuscì ad avere un grande dominio di se.
La pazienza deve farci sopportare i nostri stessi difetti. Tutti abbiamo del­le deficienze e per conseguenza cadia­mo in molti mancamenti. Anche quan­do commettiamo uno sbaglio, non dob­biamo arrabbiarci. Del resto, cosa giova adirarci quando lo sbaglio è avvenuto? Invece, dopo un mancamento, dobbiamo con calma dirci: Questa volta ho sba­gliato; starò più attento in seguito. -
E’ bene comportarsi così anche quan­do si commettono gravi colpe morali, poiché taluni, facendo il proposito di non cadere più in un dato vizio, si ri­tengono sicuri di sé, e, se per casa mancano, s'indispettiscono, perdono il coraggio e forse depongono il pensiero di migliorarsi.
 
Pazienza. col prossimo.
Il pretendere che nessuno manchi verso di noi, è assurdo. Coloro con i qua­li abbiamo da trattare, sono come noi ri­pieni di difetti e conseguentemente ci dispiacciono in molte cose. Ognuno ha i propri gusti e le proprie vedute, ed è difficile trovare due che se la inten­dano perfettamente. A questo si ag­giunge anche l'antipatia, che suole in­grandire i difetti del prossimo.
Dato questo, è necessario avere una buona dose di pazienza, per vivere in discreta armonia in famiglia ed in so­cietà. Per riuscire, è bene partire da questo principio di carità cristiana: Co­me voglio essere io sopportato e compatito nei miei difetti, così devo sop­portare e compatire il prossimo.
 
I pensieri.
Giova fare qualche riflessione d'in­dole pratica.
Tu, ad esempio, provi risentimento e rabbia interna verso una persona per il suo fare scortese e nervoso. Per compatirla, tieni conto dell'indole sua forse irascibile, dei dispiaceri, che forse avrà avuto in famiglia per cui è esaspe­rata; tieni conto pure della sua età, per­chè ad un certo periodo della vita l'orga­nismo è logoro ed il sistema nervoso ne risente gli effetti; tieni ancora conto dell'educazione che avrà avuto nell'in­fanzia. Insomma hai da tenere presenti tante cose, per non arrabbiarti nella tua mente contro il prossimo.
 
Le parole.
Quando si perde la pazienza, è la lin­gua a prendere il sopravvento. E’ necessario perciò frenarla, tenendo, se fa bi­sogno, la bocca chiusa quando si è trat­tati male e si sente già la fiamma della collera. Di certo questo è ottimo rime­dio! Si cominci a parlare quando, passa­ta la prima eccitazione interna, si rico­nosce di poter conservare la calma nelle parole e nelle opere.
L'Imperatore Augusto era d'indole collerica; avendo da trattare con ogni categoria di persone, era sovente nell'oc­casione di perdere la pazienza. Conosce­va la necessità di dominare i nervi, ma non sempre vi riusciva. Domandò con­siglio al filosofo Atenodoro. Questi gli rispose: Imperatore, se tu senti la rab­bia e vuoi subito parlare, comincia a recitare le lettere dell'alfabeto greco; quando avrai finito, comincerai a par­lare; ti troverai bene. -
Il rimedio era molto buono, poiché recitando lentamente le lettere dell'al­fabeto, la mente si distraeva un poco, il sangue circolava con più regolarità, i nervi si calmavano e così dopo era facile dominare la lingua e parlare con serenità e prudenza.
A tutti sarebbe utile questo rimedio. Però i Cristiani, invece di recitare le lettere dell'alfabeto, farebbero bene a dire lentamente il « Padre Nostro » o « 1'Ave Maria »; in questo modo, oltre a calmarsi prima di parlare, si può pre­gare per chi ha mancato.
 
Un Parroco.
Celebrandosi qualche Matrimonio, era solito un Parroco rivolgere la parola ai novelli sposi, raccomandando l'accordo ed il compatimento vicendevole. In par­ticolare diceva: Ogni volta che tra voi due sta per avvenire qualche contesa o diver­bio dovete subito dire: « Rimandiamo la contesa a domani! Per ora non ne par­liamo affatto! ». La mattina seguente, o sposi, voi non penserete più alla contesa, oppure se vi penserete, farete tutto con calma. -
Non solo gli sposi, ma tutti dovrebbero seguire questa norma. Quanti di­spiaceri e quanti peccati si potrebbero evitare!
 
La risposta dolce.
La risposta dolce rompe l'ira. Par­lando aspramente a chi è in collera, non si ottiene niente, anzi lo si irrita di più. Se gli si parla dolcemente e con garbo, naturalmente il collerico resta disarmato. Viene a proposito il prover­bio: Si prendono più mosche con una goccia di miele, anziché con un barile di aceto.
Il Santo Curato d'Ars aveva conver­tito alla fede cattolica una donna ebrea. Il marito di essa, pure ebreo, montò sul­le furie e si presentò al Santo con un col­tello in mano, minacciando:
- Siete voi, gli disse, colui che ha pervertito mia moglie? - Sono stato io a convertirla! ... Cosa volete adesso? - Son venuto per strapparvi un occhio con questo coltello! - Quale volete strapparmi, il destro o il sinistro? - Vi strappo l'occhio destro. - Allora mi resterà il sinistro per guardarvi ed amarvi! - Vi strapperò anche il sini­stro! - Mi resterà il cuore per amarvi e vi aiuterò in ciò che potrò! -
A queste parole, improntate a calma e dolcezza, l'ebreo da leone diventò agnello e sentì il bisogno d'inginocchiar­si davanti al Santo Sacerdote per chie­dergli perdono.
La pazienza cristiana non solo mo­dera la lingua, ma tiene a freno tutti i sensi del corpo. Cosa vale non aprire bocca quando si è arrabbiati, se poi si alzano le mani, oppure si scaraventano a terra sedie, bottiglie od altro?
Bisogna sforzarsi di non apparire arrabbiati, anche quando l'animo è tur­bato assai. Il fare certi gesti sgarbati e sprezzanti, il guardare con occhio bieco, il sorridere sarcasticamente ... so­no cose contrarie alla virtù della pazienza.
 
Norme pratiche.
Credo di fare cosa utile ai lettori, presentando norme pratiche da seguire in famiglia e fuori. Metterò sott'occhio alcune categorie di persone. Voglio spe­rare di contribuire in tal modo alla pace domestica di certe famiglie ed al loro bene spirituale.
 
Gli sposi.
La convivenza dell'uomo con la don­na nei primi mesi dopo la celebrazione del Matrimonio, non è difficile; il loro affetto in quel primo tempo suole es­sere grande e quindi facilmente si com­patiscono. Coll'andare del tempo, gli sposi manifestano apertamente il loro carattere e per conseguenza cominciano le dolenti note; l'uomo vuole coman­dare e la donna pure; l'uno vuol sem­pre ragione e l'altra non vuole mai torto; lo sposo alza la voce e la sposa grida; lui minaccia e lei si avventa.
Se non c'è pazienza, la vita degli sposi diviene un purgatorio e qualche volta un vero inferno. I fiori dei novelli sposi di­ventano spine e forse anche chiodi. Que­sta è la ragione per cui si domanda da taluni la separazione legale.
Perchè ci sia la pace, è necessario che gli sposi conoscano il vicendevole carat­tere; conosciutolo, facciano di tutto per non toccare i lati deboli.
Tu, o donna, sai che il marito non vuole essere contrariato? Cedi subito, anche con tuo sacrificio! Sai che egli ha un dato gusto e gli piace quel modo di pensare e di agire? Fa' di tutto per accontentarlo, prevenendo anche i suoi desideri! Se tu agisci così, lo sposo ti apprezzerà di più ed anch'eglí si sforzerà di fare altrettan­to con te.
Tu, o sposo, ti accorgi che la con­sorte qualche giorno ha la luna a tra­verso? Sai che quando si altera non vede più dagli occhi? Compatiscila in quel gior­no, non irritarla di più, togli ogni occa­sione di contrasto! Tu forse dici: Ma io sono il capo di casa! Io devo coman­dare ... e la donna mi deve stare sogget­ta! - Hai ragione; però non dimenticare che la sposa è compagna e non serva e tanto meno schiava. Ama la tua donna come te stesso e perciò compatiscila!
Ci vuole lo spirito di sacrificio e l'aiuto del Signore. È bene quindi che gli sposi, dicendo le preghiere del mattino o della sera, recitino anche un Padre Nostro con questa intenzione: « Per la pace in fami­glia ». Chi persevera in tale preghiera, presto ne vedrà i buoni frutti.
 
Correzione fruttuosa.
Un operaio aveva il vizio di bere trop­po, specialmente il sabato sera. La moglie era stanca di convivere con lui. A vederlo ritornare barcollante in casa, a sentirlo bestemmiare e vomitare ingiurie e paro­lacce ... provava i brividi. Questo non era tutto. Sovente il marito nell'ubria­chezza rompeva qualche cosa e rovesciava le sedie; alla fine si sdraiava e si addor­mentava a terra.
La sposa sopportava sino ad un certo punto; ma dopo montava sulle furie e lo rimproverava aspramente. Finita la tempesta, quando cioè il marito si era addormentato a terra, con grande fatica lo prendeva di peso e lo metteva a letto; dopo rassettava la camera e finalmente si coricava. L'indomani riprendeva i rimpro­veri contro il marito per quello che aveva fatto la sera precedente. L'uomo, non ri­cordando niente perchè la sera era in ba­lia del vino, non faceva caso dei rimpro­veri, anzi rispondeva con una risatina. La cosa non poteva più durare.
Un giorno la donna ebbe la felice idea di chiedere consiglio ad un Sacerdote; ebbe un buon suggerimento e si affrettò ad attuarlo.
La prima sera che il marito era rinca­sato ubriaco, non gli rivolse la parola, anzi lo lasciò libero di fare. Nel bollore del vino, il misero uomo afferrò il lume e lo buttò a terra; rovesciò il piccolo tavolo su cui era la cena e tutto andò a male, minestra, piatti e bicchieri; in ultimo, come al solito, si addormentò sul pavimen­to. Questa volta la moglie si contentò di guardare; subito dopo andò a letto, senza rassettare la camera e lasciando il marito a terra. L'indomani mattina si sve­gliò l'uomo ed a vedersi in quello stato, chiamò la donna; questa con calma gli disse: Dunque cosa desideri? - Come mai mi trovo qui a terra?... Ho le ossa rotte! ... E questo tavolo perché è rove­sciato? E questi, piatti ed i bicchieri?... Guarda quanta minestra per terra!... - La moglie rispose: Sono i miracoli che fai tu quando ritorni a casa ubriaco! - Sono stato io a fare questo? - Proprio tu! ... Se vuoi continuare ad ubriacarti, continua pure; ma ti lascerò tutta la notte a terra. -
Quando il marito constatò con i pro­pri occhi il male che proveniva dall'u­briachezza. propose fermamente di cor­reggersi e poco per volta ci riuscì.
Questo episodio insegna che tra gli sposi è necessaria la mutua correzione; questa però si deve fare con calma e prudenza; soltanto allora è fruttuosa.
 
I genitori.
Hanno i genitori la missione di educa­re i figlioli. Il compito dell'educazione è delicato e non tutti i genitori sono all'altez­za di soddisfarlo. Tuttavia, chi desidera avere dei figli docili e virtuosi, faccia di tutto per bene educarli.
Taluni credono di educare bene i figliuo­li rimproverandoli per ogni piccola cosa, alzando spesso la voce in atto di minaccia ed adoperando con frequenza la verga. Con i figliuoli, specialmente di tenera età, ci vogliono piccoli richiami; quando ciò non basta, si dà loro un piccolo castigo, consistente nel privarli di un atto di be­nevolenza o nel negare loro un piccolo piacere.
Quando ciò non fosse sufficiente, si ricorra a qualche piccola minaccia; in casi estremi si ricorra alla verga. Ma anche in questo caso procurino i genitori di essere giusti, cioe’ proporzionino il castigo al grado di colpevolezza dei figli.
Molte mancanze dai bambini si commettono per irriflessione o per leggerezza. Dice San Paolo: Voi, o genitori, non provocate all’ira i vostri figliuoli! – Quando un figliuolo si vede punito piu’ del giusto, si arrabbia contro i genitori, dice loro parole ingiuriose e qualche volta si avventa.
Dunque i genitori siano pazienti, frenino la lingua non pronunziando ingiurie ed imprecazioni e moderino l’uso della verga o delle mani.
Non dimentichino che anche loro un tempo furono fanciulli e che forse mancanze ne fecero piu’ dei loro figliuoli.
 
I figli
Iddio ha dato un comandamento> “Onora il padre e la madre”. I figli hanno percio’ il dovere di amare, ubbidire e amare i genitori.
Quando i figli sono piccoli, danno pic­coli dispiaceri; divenuti grandi, danno grandi dispiaceri. Facciano di tutto per alleggerire al padre ed alla madre il peso della famiglia; usino con loro modi deli­cati e parole dolci.
Fanno tanto male quei figli che ri­spondono con insolenza ai genitori, o li trattano da uguali e peggio ancora.
La pazienza maggiore si deve avere con i genitori avanzati in età. Quando comincia la vecchiaia, sogliono essi di­venire ciarlieri ed irrequieti; quando la vecchiaia è inoltrata, diventano alle volte come i bambini, per il modo di fare e di pensare; vogliono essere subito acconten­tati nei loro piccoli desideri e fanno anche dei capricci. In queste circostanze si rico­noscono i buoni figliuoli, se cioè trattano con pazienza ed amore le due creature che rappresentano Iddio nella famiglia.
Pazienza molto grande devono avere i figli, allorchè il padre e la madre si am­malano. I genitori sogliono assistere i fi­gli ammalati con un amore particolare, sino all'eroismo; i figli invece perdono la pazienza, se hanno da assistere i geni­tori infermi e possono arrivare al punto di desiderare ad essi la morte.
 
I fratelli.
- Amor di fratelli, dice un prover­bio, amor di coltelli. - Questo può av­venire quando si tratta di dividere i be­ni dei genitori. - Tra fratelli e sorelle d'ordinario c'è la benevolenza, ma diffi­cilmente c'è la pazienza. Si paragonano infatti i fratelli e le sorelle ai cani ed ai gatti, che si bisticciano di frequente.
Si dovrebbe fare di tutto perchè tra loro regni la pace, tenendo lontane le parole ingiuriose ed impedendo che al­zino le mani.
 
Parenti e vicini.
La pazienza si suole perdere con le persone con cui si ha più da fare. Le relazioni tra parenti e vicini sogliono essere frequenti e per conseguenza si pre­sentano spesso le occasioni di dissensi. Per conservare l'armonia, si stia atten­ti a non far conoscere le faccende intime della propria famiglia e nello stesso tem­po non si metta il naso negli affari inti­mi altrui.
Quando sorge un contrasto, si faccia morire subito, non parlandone più. Ricevuto uno sgarbo oppure un'offesa, si ricambi il male con un favore, per fare comprendere che si perdona generosa­mente, vincendo il male con il bene. Questo sistema è fonte di merito e di pace.
 
Padroni e servi.
Grande carità e pazienza dovrebbe re­gnare tra padroni e persone di servizio. I padroni, pur esigendo il giusto ser­vizio, trattino con garbo i dipendenti. È già un'umiliazione grande il dovere servire gli altri; non si aggravi quest'u­miliazione con le maniere superbe e con le parole irritanti. Pensino i padroni: Se per un rovescio di fortuna dovessi anda­re io a servizio, come vorrei essere trat­tato? Dunque, è giusto che io tratti bene il personale dipendente! - Quanti pa­droni purtroppo maltrattano i servi, stra­pazzandoli come se fossero delle bestie o degli stracci!
I servi siano sottomessi ai padroni per amore di Dio e si mantengano umi­li in tale stato, anche per scontare i pec­cati. Sopportino i difetti dei padroni spe­cialmente se nervosi o vecchi, e siano loro di esempio nell'esercizio della pa­zienza. Una persona di servizio paziente è un rimprovero continuo ai padroni collerici e superbi; essa per la sua virtù vale molto di più dei suoi padroni, ai quali è inferiore solamente per il portafoglio.
 
Gl'insegnanti
Una particolare pazienza si richiede ne­gli insegnanti. Se chi insegna è pazien­te, non si guasta il sangue, è più stimato dagli alunni e riesce con più frutto nel­l'istruzione. Se al contrario non sa domi­nare i nervi, è di cattivo esempio per le parole offensive che dice e fa progredire poco nello studio o nell'arte.
Per lo più gl'insegnanti sono nervosi, per effetto di stanchezza mentale; è per­ciò necessario che si facciano molta vio­lenza per non perdere la pazienza. Per istruire i piccoli si richiede una pazien­za superiore; con essi si adoperi il si­stema della madre, che è sistema di a­more, di comprensione e di grande com­patimento.
 
Pazienza in tutti gli eventi.
Quando capita una disgrazia, una ma­lattia, una perdita, ecc.... è inutile ar­rabbiarsi. Anche quando si desse libero sfogo alla collera, con bestemmie, paro­lacce ed imprecazioni, non si aggiuste­rebbe niente. Come comportarsi in simi­li eventi? Fare di necessità virtù! Dire subito con calma: La disgrazia è avvenuta; la croce l'ho addosso. Se mi arrab­bio, la croce rimane lo stesso, anzi si fa più pesante; è meglio prendere tutto in pazienza ed a penitenza dei peccati. Signo­re, sia fatta la vostra volontà! -
Si smarrisce un oggetto. Perché mon­tare in collera? Forse facendo cosi’, si troverà più presto? E’ ridicolo il pen­sarlo. Cosa fare allora? Senza inquietar­si, fare di tutto per rinvenirlo e rivolgersi a Dio per aiuto. Un Padre Nostro recitato con devozione e con fede a Sant'Anto­nio spesso toglie dall'imbarazzo.
S'inciampa e si cade; ci pestano un piede; ci urtano per inavvertenza ... È il caso di arrabbiarsi? Cosa se ne guadagna? È meglio sopportare con merito quel po­co di molestia.
Il sole dardeggia; un giorno piove a dirotto; il vento soffia con furia; le mo­sche od altri insetti ci danno noia ... Conviene perdere la pazienza? Forse im­precando contro il vento o le mosche, si riesce ad accomodare la partita? Oh, no certamente!
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