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Gioacchino da Fiore

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Messaggio  Keope Mar 3 Feb - 0:43

Volevo citare qualcosa dell' abate calabrese Gioacchino da Fiore.

Addirittura lo stesso Dante nel Canto XII del Paradiso,vv 140-141 così lo definiva:

« … il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato »


Le condizioni economiche della famiglia di Gioacchino erano agiate, il padre Mauro infatti era tabulario o notaio. In passato si era ritenuto che la famiglia avesse origini ebraiche, forse per spiegare l'atteggiamento benevolo di Gioacchino nei confronti dell'Ebraismo. Da studi più recenti sembra tuttavia che questa ipotesi sia infondata.

Gioacchino nacque a Celico e ricevette le prime nozioni di educazione scolastica nella vicina Cosenza. Ben presto fu mandato dal padre a lavorare, sempre a Cosenza, presso l'ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, andò a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo, dove lavorò prima a diretto contatto con il capo della zecca, con i Notai Santoro e Pellegrino ed infine presso il Cancelliere di Palermo l'Arcivescovo Stefano di Perche. Entrato in disaccordo anche con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta.

Forse nel corso di questo viaggio maturò un profondo distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture. Al ritorno in patria Gioacchino si ritirò dapprima in una grotta nei pressi di un monastero italo-greco posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui fu riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo aveva dato per disperso. Al padre confessò di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re (Dio).

Egli visse circa un anno presso l'Abbazia di Santa Maria della Sambucina, da cui si allontanò per andare a predicare dall'altra parte della valle vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino Rende.

Poiché al tempo la predicazione di un laico non era ben accetta, Gioacchino compì un viaggio fino a Catanzaro, dove il Vescovo lo ordinò sacerdote. Durante il tragitto da Rende a Catanzaro si fermò nel monastero di Santa Maria di Corazzo, dove incontrò il monaco Greco che lo pose davanti alla parabola dei talenti, rimproverandolo di non mettere a frutto le sue doti. Tornò a predicare nuovamente a Rende, con l'abito di sacerdote. Poco tempo dopo vestì l'abito monastico entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo. Questa abbazia benedettina, guidata dal beato Colombano, aspirava a seguire la regola cistercense.

Secondo le fonti più accreditate, nel 1177 Gioacchino venne eletto abate di Santa Maria di Corazzo, ma rinunciò scappando dapprima nel monastero della Sambucina, poi nel monastero del legno della croce di Acri. Gioacchino non ambiva a diventare abate, ma a studiare la Sacre Scritture. Gli uomini più potenti di quel tempo, riunitisi con lui a Sambucina lo convinsero ad accettare la carica di abate di quel monastero a quel tempo poverissimo.

In qualità di abate compì un viaggio nell'Abbazia di Casamari tra il 1182 e il 1184. Durante questo periodo incontrò il Papa Lucio III che gli concesse la licenza scribendi. Con l'aiuto degli scriba Giovanni, Nicola e Luca iniziò già a Casamari la stesura delle sue opere principali: la Concordia tra il vecchio e il nuovo testamento e l'Esposizione dell'Apocalisse. In quello stesso periodo Gioacchino interpretò innanzi al Papa una profezia ignota, trovata tra le carte del defunto Cardinale Matteo d'Angers. Da cui scaturì l'incoraggiamento del Pontefice Lucio III a scrivere le sue opere.

Nel 1186-1187 si reca a Verona dove incontra il Papa Urbano III. Al ritorno si ritira a Pietralata, una località sconosciuta, abbandonando definitivamente la guida dell' Abbazia di Corazzo. I suoi monaci non tollerarono il suo girovagare e lo stare sempre a distanza dall'abbazia, pertanto fecero una petizione per risolvere la questione presso la Curia Romana. A seguito di ciò, nel 1188 ottenne l'affiliazione della abbazia di Corazzo alla Abbazia di Fossanova e il Papa lo proscioglie dai doveri abbaziali autorizzandolo a continuare a scrivere le opere.

A Pietralata, da egli ribattezzata Petra Olei, cominciarono a pervenire molti seguaci. Il primo fu Raniero da Ponza, che in seguito fu legato apostolico in Francia e Spagna sotto Papa Innocenzo III. Pietralata divenne presto un luogo incapace di ospitare la moltitudine di gente che accorreva a sentire Gioacchino, pertanto nell'autunno del 1188 Gioacchino salì in Sila alla ricerca di un territorio che si potesse abitare. Dopo tante perlustrazioni si fermò nel luogo oggi denominato Jure vetere Sottano, attualmente nel comune di San Giovanni in Fiore. A sei mesi di distanza dalla perlustrazione abbandonò Pietralata e si trasferì con i suoi discepoli in Sila sul luogo prescelto.

Dopo sei mesi dal trasferimento il re Guglielmo il Buono morì e subentrò sul trono normanno Tancredi, già conte di Lecce. Furono proprio i funzionari di Tancredi a contestare a Gioacchino l'insediamento in Sila, per cui l'abate dovette recarsi a Palermo (primavera 1191) per conciliare con il nuovo re. Dopo un complesso confronto tra i due, Tancredi gli concesse di restare in Sila, sul luogo prescelto, facendogli dono di un vasto tenimento posto nelle adiacenze, aggiungendo 300 pecore e 30 some di grano, per il sostentamento della comunità religiosa. Da qui in avanti cominciò a costruire il protomonastero di Fiore vetere.

Nel 1194, dopo la morte di Tancredi subentrò nel regno Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, il quale concesse a Gioacchino un vasto tenimento in Sila e privilegi sovrani su tutta la Calabria.

In questo periodo, dopo il diploma concesso da Enrico VI, Gioacchino fondò i monasteri di Bonoligno e Tassitano, nonché acquisì altri monasteri già italo-greci. Forte del patrimonio terriero ed ecclesiale acquisito, Gioacchino si recò a Roma ricevendo da Papa Celestino III l'approvazione della Congregazione florense e dei suoi Istituti il 25 agosto del 1196.
I florensi continuarono a colonizzare il territorio assegnato e, affinché Fiore venisse articolato secondo lo schema della Tav. XII, misero a cultura i territori di Bonoligno e di Faraclovio (o Faradomus), facendosi aiutare, molto probabilmente da gruppi di laici che condividevano il progetto del novus ordo. Derivarono pertanto le acque del fiume Garga fecondando dapprima Bonoligno e poi Faraclovio. Da qui insorsero delle liti con i monaci greci del monastero dei tre fanciulli, ubicato in prossimità di Caccuri, che contestarono ai florensi l'occupazione di territori che secondo loro detenevano da tempi immemorabili. I poveri florensi furono bastonati, malmenati e gli edifici in costruzione distrutti. Tuttavia l'azione di costruzione dell'insediamento non si fermò, fintanto che l'abate rimase in vita. Gioacchino morì il 30 marzo 1202 presso Canale di Pietrafitta e fu seppellito nel monastero florense di S. Martino di Canale. Il suoi resti furono traslati nell'abbazia di san Giovanni in Fiore intorno al 1226.


Le tre grandi intuizioni Gioacchino da Fiore ebbe tre grandi intuizioni.

Ha cercato e provato che esiste una concordia tra l'Antico e il Nuovo Testamento, il primo indissolubilmente legato al periodo del Padre, il secondo indissolubilmente legato al periodo del Figlio. Questo concetto, noto come "binario della teologia della storia", era condiviso da tutti i Padri della Chiesa.

Da questo concetto binario, Gioacchino elabora un "modello ternario", connesso strettamente alla santissima Trinità, dimostrandolo alcuni concetti fondamentali attraverso l'analisi teologico-iconografica delle lettere "ALFA" e "OMEGA".
Dallo sviluppo di queste due concezioni basilari Gioacchino approdò allo sviluppo dei concetti riferiti alle tre Età della Storia, sostenendo che se c'era stato il tempo in cui ha operato prevalentemente il Padre e il tempo in cui ha operato prevalentemente il Figlio, allora doveva esserci anche un tempo in cui opererà prevalentemente lo Spirito Santo, che procede da Padre e dal Figlio. La scansione del tempo che l'abate di Fiore elabora si basa sulle tre epoche fondamentali:

Età del Padre: corrispondente alle narrazioni dell'Antico Testamento, estesa nel tempo che va da Adamo ad Ozia, re di Giuda (784-746);

Età del Figlio: rappresentata dal Vangelo e compresa dall'avvento di Gesù, estesa nel tempo che va da Ozia fino al 1260;

Età dello Spirito Santo: estesa nel tempo che va dal 1260 fino alla fine del "millennio sabatico", ovvero quel periodo in cui l'umanità attraverso una vita vissuta in un clima di purezza e libertà avrebbe goduto di una maggiore grazia.

Con tale teorema Gioacchino estende il tempo della storia, proponendo la dilazione del tempo della salvezza. Gioacchino elabora pertanto, prima il modello dell'albero dei due avventi, poi i tre alberi, quello sviluppato nell'età del Padre, quello sviluppato nell'età del Figlio e quello che si svilupperà nell'età dello Spirito Santo. L'inesorabilità della storia, secondo Gioacchino, è data da un ossessionante computo delle generazioni, che a volte valgono un'estensione di tempo a volte no. Con questo meccanismo complesso elabora una sorta di "linea del tempo", che va dalla "Genesi" al "Giudizio Universale". I due capi segnano i confini estremi della storia della salvezza che si sviluppa all'interno di questa linea del tempo. Gioacchino si chiede quanto è lunga questa linea del tempo e a quale punto di questa linea egli si trova e da qui sviluppa una serie di calcoli e combinazioni teologiche del tutto originali e per certi versi in superamento della la tesi di Sant'Agostino che si era fermata sostanzialmente al modello binario.


Ciao :farao:
Keope
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