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Messaggio  OCCAM Mar 29 Dic - 22:27

Satira e poesia: Giovenale -La rabbiosa indignatio del più spietato flagello dissacratore
di Massimo Barile
Quando sentiamo in qualche trasmissione televisiva personaggi della politica od opinionisti parlare in tono provocatorio del malcostume per il quale i cittadini sembrano non interessarsi più a nulla ed infischiarsene altamente di partecipare attivamente alla scena politica, vi sarà sicuramente capitato di ascoltare una conclusione del discorso del tipo: oramai due cose soltanto il popolo desidera ansiosamente panem et circenses (pane e giochi). Cioè in sintesi riuscire a mangiare e poter divertirsi.
Altre volte possiamo leggere sui quotidiani dichiarazioni rilasciate da esponenti politici che polemizzano a proposito di garanzie costituzionali, della necessità di garanti super partes, di organismi di controllo nei poteri dello Stato, di giudici che siano custodi della legge e capita spesso che qualcuno lanci avventatamente la domanda: Ma chi custodirà poi i custodi? (Quis custodiet ipsos custodes).
Ecco allora che siamo al cospetto di Giovenale. Sì perchè sono proprio queste alcune espressioni entrate a far parte del linguaggio dei giorni nostri anche se datano a quasi duemila anni fa. Infatti queste locuzioni proverbiali sono una sua creazione anche se è doveroso precisare che sono mutati i soggetti di riferimento e dal marito geloso che mette dei custodi a vigilare la moglie abile che scaltramente inizia proprio da quelli, si passa a problematiche politiche di portata ben più complessa e a funzioni istituzionali assai più delicate.
Oggi si punta il dito verso altri obiettivi e si utilizzano forme differenti ma la voce di indignazione per i tempi ed i costumi che ha fatto la fortuna di Giovenale è ancora presente e ne sono testimonianza tangibile proprio tali semplici locuzioni proverbiali e gli innumerevoli saccheggi da parte della produzione satirica moderna.
Il medioevo cristiano utilizzò la carica moralistica, della satira giovenaliana, Dante lo cita diverse volte e lo pone nella Divina Commedia, Petrarca lo conosceva molto bene, ed è stato utilizzato dall'Ariosto e dall'Alfieri. E'la prova che v'è sempre qualcosa che lega il passato al presente e analizzare la figura di Giovenale e le satire che ha lasciato non fa altro che farci capire come i vizi di un tempo sono i vizi di oggi.
Ogni epoca letteraria ha avuto le proprie espressioni satiriche che hanno radiografato l'uomo nelle manifestazioni della vita, individuato e descritto i difetti, biasimato i vizi e corretto i costumi tentando di indicare le vie della saggezza e della virtù. Con Orazio siamo al vertice di questa moralistica e tra spunti declamatori, vivaci parodie dei costumi, amare invettive e realistiche rappresentazioni delle classi sociali avvertiamo l'indignazione e la condanna del malcostume imperante nella vita pubblica e privata. La satira diventa un'arma, strumento di predicazione morale, grimaldello per rendere nota a tutti la fallacia delle azioni umane ed esprimere le proprie convinzioni etiche, politiche e religiose di fronte alle diatribe della drastica realtà ed alle deviazioni morali della società del tempo.
Le cause di questa esuberante vena satirica durante l'Impero vanno ricercate soprattutto nelle mutate condizioni spirituali e culturali dell'epoca: da un lato il decadimento dei costumi e il conseguente dilagare della corruzione in ogni ambito sociale; dall'altro lato la penetrazione sempre più profonda delle dottrine filosofiche convogliavano gli spiriti moralmente più elevati, più insoddisfatti ed inquieti ad un lento ripiegamento su se stessi, ad un vagheggiamento di una realtà assai diversa da quella vissuta e, non ultimo, a risvegliare nelle coscienze l'aspirazione verso ideali di vita ormai tramontati.
Le forme letterarie utilizzate per raggiungere questo scopo potevano essere diverse: quella tradizionale della satira con Persio e Giovenale appunto; quella raffinata della Menippèa sotto le spoglie di racconto arguto con Petronio; quella pungente ed aristocratica dell'epigramma con Marziale; e la favola alla quale già Fedro aveva affidato i suoi propositi moralistici e satirici.
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Messaggio  Admin Mar 29 Dic - 23:21

oramai due cose soltanto il popolo desidera ansiosamente panem et circenses (pane e giochi). Cioè in sintesi riuscire a mangiare e poter divertirsi.

La mia opinione e' piu' catastrofica sul "popolo" e quello che desidera, secondo me il popolo (forse non tutto, almeno lo spero) non legge o almeno legge poco. La satira di oggi non fa male come quella di ieri, proprio perche' meno letta. Oggi, il "popolo" smanetta su Internet alla ricerca non tanto del sapere ma del "circenses" dato che il pane, con tantissimo companatico da buttarlo nella spazzatura, gia' ce l'ha.
Quella speranza di "suscitare" del tuo titolo non credo che condividera' tanto, proprio perche' per suscitare un pensiero bisogna prima cibarsi di qualcosa, a pancia vuota non si va da nessuna parte.

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Messaggio  Keope Mer 30 Dic - 16:02

Oggi si punta il dito verso altri obiettivi e si utilizzano forme differenti ma la voce di indignazione per i tempi ed i costumi che ha fatto la fortuna di Giovenale è ancora presente e ne sono testimonianza tangibile proprio tali semplici locuzioni proverbiali e gli innumerevoli saccheggi da parte della produzione satirica moderna.

Non so se oggi ci si indigna per le cose che accadono come un tempo, forse siamo tutti troppo assuefatti, quasi narcotizzati..............
Siamo impregnati di relativismo da tutti i punti di vista.
Credo che comunque la satira in generale sia sempre attuale, sia applicabile a qualsiasi periodo storico.
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Messaggio  Ludovico Mer 30 Dic - 16:09

Sono d'accovdo con Keope pavzialmente, oggi la sativa coinvolge un vistvetto gvuppo di pevsone, la massa è tvoppo occupata col supevficiale e l'effimevo.
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Messaggio  roddy Mer 30 Dic - 18:08

la ssatirra mi parre che è solo per Berlusconni--si vedde che i satiristi sono tutti di sinistra--per forza non hanno niente da farre--
scusatte sto cercando di imitarre i ssardi--ohiahiuhieiii -- sardissimo ... ---
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Messaggio  OCCAM Gio 1 Apr - 1:04

La rana nella pozzanghera… (storie di ribellione e mancata ribellione)
di Daniele Trevisani
…ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e - dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).
Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.
Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.
Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.
Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.
Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:
Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?
I critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.
Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia – l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.
La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.
Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.
L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.
Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.
In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.
Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.
Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.
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Messaggio  Tonino Gio 1 Apr - 13:27

OCCAM!!!! quannu ti cc'è minti..SUSCITARE PER CONDIVIDERE...PER USCIRE DALL'ANONIMATO Chapea10
i tuoi post profondi ma pieni di significati fan si che la mia apertura mentale
diventi sempre piu' ampia , facendomi vedere alcune cose che prima vedevo in modo diverso .
ed esprimere c'iò che era chiuso dentro di me
OCCAM un grazie di cuore thumbsup
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Messaggio  giovanna canigiula Dom 27 Giu - 22:53

OCCAM ha scritto:
Satira e poesia: Giovenale -La rabbiosa indignatio del più spietato flagello dissacratore
di Massimo Barile
Quando sentiamo in qualche trasmissione televisiva personaggi della politica od opinionisti parlare in tono provocatorio del malcostume per il quale i cittadini sembrano non interessarsi più a nulla ed infischiarsene altamente di partecipare attivamente alla scena politica, vi sarà sicuramente capitato di ascoltare una conclusione del discorso del tipo: oramai due cose soltanto il popolo desidera ansiosamente panem et circenses (pane e giochi). Cioè in sintesi riuscire a mangiare e poter divertirsi.
Altre volte possiamo leggere sui quotidiani dichiarazioni rilasciate da esponenti politici che polemizzano a proposito di garanzie costituzionali, della necessità di garanti super partes, di organismi di controllo nei poteri dello Stato, di giudici che siano custodi della legge e capita spesso che qualcuno lanci avventatamente la domanda: Ma chi custodirà poi i custodi? (Quis custodiet ipsos custodes).
Ecco allora che siamo al cospetto di Giovenale. Sì perchè sono proprio queste alcune espressioni entrate a far parte del linguaggio dei giorni nostri anche se datano a quasi duemila anni fa. Infatti queste locuzioni proverbiali sono una sua creazione anche se è doveroso precisare che sono mutati i soggetti di riferimento e dal marito geloso che mette dei custodi a vigilare la moglie abile che scaltramente inizia proprio da quelli, si passa a problematiche politiche di portata ben più complessa e a funzioni istituzionali assai più delicate.
Oggi si punta il dito verso altri obiettivi e si utilizzano forme differenti ma la voce di indignazione per i tempi ed i costumi che ha fatto la fortuna di Giovenale è ancora presente e ne sono testimonianza tangibile proprio tali semplici locuzioni proverbiali e gli innumerevoli saccheggi da parte della produzione satirica moderna.
Il medioevo cristiano utilizzò la carica moralistica, della satira giovenaliana, Dante lo cita diverse volte e lo pone nella Divina Commedia, Petrarca lo conosceva molto bene, ed è stato utilizzato dall'Ariosto e dall'Alfieri. E'la prova che v'è sempre qualcosa che lega il passato al presente e analizzare la figura di Giovenale e le satire che ha lasciato non fa altro che farci capire come i vizi di un tempo sono i vizi di oggi.
Ogni epoca letteraria ha avuto le proprie espressioni satiriche che hanno radiografato l'uomo nelle manifestazioni della vita, individuato e descritto i difetti, biasimato i vizi e corretto i costumi tentando di indicare le vie della saggezza e della virtù. Con Orazio siamo al vertice di questa moralistica e tra spunti declamatori, vivaci parodie dei costumi, amare invettive e realistiche rappresentazioni delle classi sociali avvertiamo l'indignazione e la condanna del malcostume imperante nella vita pubblica e privata. La satira diventa un'arma, strumento di predicazione morale, grimaldello per rendere nota a tutti la fallacia delle azioni umane ed esprimere le proprie convinzioni etiche, politiche e religiose di fronte alle diatribe della drastica realtà ed alle deviazioni morali della società del tempo.
Le cause di questa esuberante vena satirica durante l'Impero vanno ricercate soprattutto nelle mutate condizioni spirituali e culturali dell'epoca: da un lato il decadimento dei costumi e il conseguente dilagare della corruzione in ogni ambito sociale; dall'altro lato la penetrazione sempre più profonda delle dottrine filosofiche convogliavano gli spiriti moralmente più elevati, più insoddisfatti ed inquieti ad un lento ripiegamento su se stessi, ad un vagheggiamento di una realtà assai diversa da quella vissuta e, non ultimo, a risvegliare nelle coscienze l'aspirazione verso ideali di vita ormai tramontati.
Le forme letterarie utilizzate per raggiungere questo scopo potevano essere diverse: quella tradizionale della satira con Persio e Giovenale appunto; quella raffinata della Menippèa sotto le spoglie di racconto arguto con Petronio; quella pungente ed aristocratica dell'epigramma con Marziale; e la favola alla quale già Fedro aveva affidato i suoi propositi moralistici e satirici.

Interessante questa pagina. In effetti con Giovenale, sul solco di Lucilio, Orazio e Persio in particolare, la satira aggiunge all' indignatio una carica di protesta sociale che prima non c'era. Naturalmente Giovenale non fa il capopopolo e, infatti, così come non propone alternative (non è suo compito), pure non attacca mai i contemporanei se non, prudentemente, post mortem). Osserva severo, dunque, i tipi umani che incarnano i vizi, saccheggiando nella realtà e cioè nel quotidiano (il verum), ma rielaborando con la fantasia e deformando all'estremo. Si natura negat -scrive- facit indignatio versum/ qualecumque potest. Qualche limite va ravvisato e io lo vedo nella semplificazione del confronto tra passato e presente che lui propone e che pare misura di ogni cosa: lo sguardo si fa benevolo quando si volge indietro (donne costumate e obbedienti, uomini virili, l'istituto del patronato a garanzia della concordia civile), diventa impietoso e generalizzante quando scruta la degenerazione dei suoi tempi (donne lussuriose come tante Messaline, omosessuali che tradiscono la fiera virilità degli antenati, clienti poco dignitosi che accettano l'umiliazione dei patroni in cambio di un po' di sicurezza, greci e orientali corrotti e dissoluti). In questo mi pare parecchio tradizionalista e conservatore. Il primo Giovenale è quello della denuncia, certo, anche delle ristrettezze in cui versano poeti, storici, avvocati, retori, in netto contrasto con l'avarizia dei ricchi e i grassi guadagni degli sportivi, pertanto alla mercè del mecenatismo degli imperatori; il secondo, invece, riprende il filone moraleggiante dei suoi predecessori, esalta la virtù in quanto 'sola e unica nobiltà', si fa a tratti propositivo quando, ad esempio, rammenta che ai ragazzi si deve grande rispetto e che i cattivi figli sono il prodotto di cattivi genitori se li ritroviamo a inseguire solo ricchezza e successo. E' il Giovenale a più facce, dal pessimismo meno totalizzante e più intento a rielaborare i motivi della tradizione, quello che passa dallo sdegno allo scherno e nella decima satira tale cambiamento è evidente: l'episodio dei due filosofi, Eraclito che piange sulla stoltezza umana e Democrito che scuote i polmoni con una 'continua risata', intende sottolineare il grande potere del riso. Fustigatore di costumi, è sostanzialmente figlio del suo tempo e, come tutti, si porta dietro le debolezze dell'opinione corrente, accettando la consegna di quei valori del mos maiorum che, da Catone in poi, costituscono uno dei fili conduttori che legano le generazioni romane. Ciao, Occam

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Messaggio  OCCAM Lun 28 Giu - 1:51

Prima di tutto volevo esternare il mio piacere del tuo far parte di questa compagnia. Poi, rispondo al tuo post...ma lo faccio succintamente...tempi questi ingrati in fatto di tempo a disposizione. Lo faccio comunque, e mi aiuto con Goya:

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La figura china è avvolta da otto gufi, innumerevoli pipistrelli, la lince solo la lince ai piedi dell'artista rappresenta la positività: Goya ci avverte di rimanere all'erta così come è la lince, a causa dell'eccellente vista capace di penetrare nell'oscurità, perché durante il sonno non possiamo difenderci dai vizi, rappresentati dagli animali che gli stanno intorno. . . e un gatto nero che mimetizzato nell'oscurità rappresenta la pigrizia e la lussuria. Da osservare l'animalità lungimirante della lince espressa nello sguardo - attento, perplesso, preoccupato - e la falsa intelligenza che trapela dagli occhi - furbetti o falsamente ingenui - dei gufi, o da quelli - malevoli - del gatto nero seminascosto dietro il dormiente.
Mi domandavo tra me e me: "Esisterà, in Calabria, almeno una vera lince?" Circa l’esistenza di gufi e gatti neri…non me lo domando... Ciao Giovanna Canigiula.
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Messaggio  Admin Lun 28 Giu - 2:01

Mi domandavo tra me e me: "Esisterà, in Calabria, almeno una vera lince?

- Occam -

Nell'attesa di una risposta da parte di Giovanna, un profano si ferma davanti all'uscio della chiesa e risponde: No. No

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Messaggio  OCCAM Lun 28 Giu - 2:32

Devo supporre, caro Adm, che nemmeno la tua fede ti abbia, sull'uscio della chiesa e seppur per un attimo, tentato di rispondere altrimenti. Quindi, la domanda mi sorge e sgorga spontanea: " Ma ella stava entrando in chiesa o ne usciva?".
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Messaggio  Admin Lun 28 Giu - 14:56

Occam, dal profano che sono, la mia era solo una risposta alla tua domanda, impossibilitato ad entrare nel tempio della filosofia in cui tu e Giovanna sembrate trovarvi a vostro agio. Il forum di Sellia e' anche questo, trovare delle persone con cui si puo' dialogare su tutto.
Il mio NO, era basato su quello che si vede oggi ed in quello che si e' visto nel passato. Forse bisogna andare indietro fino a Tommaso Campanella e la sua utopica "Citta' del Sole", per poter intravedere qualche speranza. La Calabria per come e' ora e' ancora uno "sfasciume pendulo sul mare".
Non credo di essere pessimista, speriamo che col tempo qualcosa cambi.

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Messaggio  giovanna canigiula Lun 28 Giu - 16:49

OCCAM ha scritto:
Prima di tutto volevo esternare il mio piacere del tuo far parte di questa compagnia. Poi, rispondo al tuo post...ma lo faccio succintamente...tempi questi ingrati in fatto di tempo a disposizione. Lo faccio comunque, e mi aiuto con Goya:

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La figura china è avvolta da otto gufi, innumerevoli pipistrelli, la lince solo la lince ai piedi dell'artista rappresenta la positività: Goya ci avverte di rimanere all'erta così come è la lince, a causa dell'eccellente vista capace di penetrare nell'oscurità, perché durante il sonno non possiamo difenderci dai vizi, rappresentati dagli animali che gli stanno intorno. . . e un gatto nero che mimetizzato nell'oscurità rappresenta la pigrizia e la lussuria. Da osservare l'animalità lungimirante della lince espressa nello sguardo - attento, perplesso, preoccupato - e la falsa intelligenza che trapela dagli occhi - furbetti o falsamente ingenui - dei gufi, o da quelli - malevoli - del gatto nero seminascosto dietro il dormiente.
Mi domandavo tra me e me: "Esisterà, in Calabria, almeno una vera lince?" Circa l’esistenza di gufi e gatti neri…non me lo domando... Ciao Giovanna Canigiula.

Accidenti, che raffinato e 'capriccioso'richiamo con Goya! Non credo tu l'abbia scelto a caso perché, partendo dal collegamento da qualcuno avanzato tra l'elemento satirico della sua pittura e la satira di Orazio (al quale guarda e col quale torna anche il tema del riso), ti sposti chiaramente sul versante politico. Il sonno/ sogno della ragione è di complessa definizione viste le numerose chiavi di lettura, da quella poetica (l'artista dormiente non controlla la mente e produce mostri, proiettando sulla tela le visioni meravigliose e mostruose partorite dalla sua fantasia) a quella più 'filosofica' (l'uomo in lotta con se stesso prima ancora che col mondo, incontra, nella fase del sonno/ sogno e fuori dal dominio della ragione, i suoi 'mostri' interiori) a quella più propriamente politica alla quale sembri fare riferimento attraverso l'immagine della lince vigile. Assai riduttiva la mia sintesi (dovremmo stare a parlare di Illuminismo Romanticismo, idealismo e anti-idealismo, ma lo faremmo per il puro piacere della discussione ed esuleremmo dall'ambito al quale miri). La domanda che poni è parecchio impegnativa, presumendo (non so se a torto) di leggervi la necessità, nella e per la nostra terra, di una guida che aiuti il risveglio delle coscienze. Tu hai una risposta?

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Messaggio  giovanna canigiula Lun 28 Giu - 16:50

Admin ha scritto:Mi domandavo tra me e me: "Esisterà, in Calabria, almeno una vera lince?

- Occam -

Nell'attesa di una risposta da parte di Giovanna, un profano si ferma davanti all'uscio della chiesa e risponde: No. No

Ahiahiahi, siamo nella fase del pessimismo cosmico.

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Messaggio  OCCAM Lun 28 Giu - 18:57

Giovanna...rubo un pò di tempo al "tiranno" e... ti abbozzo il mio stato d'animo, più che una risposta. Infatti, da buon amante di filosofia, di risposte non penso proprio di averne...ma, facendomi e facendoci tante domande penso che forse, dico forse, attraverso non tanto la mera scoperta, ma la nostra quotidiana invenzione, potremmo scegliere una certa direzione da intraprendere ed, eventualmente, una certa terapia da somministrarci, ritrovandoci così a confrontarci con ciò che ritengo essere il presupposto principale per poter scardinare certe "pastoie" e insieme diventare un vera e propria persona ("giuridica") resiliente e non soccombente, anche se certamente non supponente: la logoterapia. Tutto questo richiede tempo, passione, pazienza ed esser ben consapevole della propria caducità. Perchè? Personalmente per cambiare niente e poter dire, quel fatico e nefasto (?) per me giorno, di aver vissuto e non di aver anzitempo (come dicono da queste parti) tirato le cuoia! Questo atteggiamento creerebbe un "spirito di gruppo" che collettivamente avrebbe anche i numeri per cambiare qualcosa... sai qual'è la parte curiosa del mio dire e del nostro esistere? Che il termine da me sopramenzionato e sottolineato apparentemente da certezza, ma praticamente, per chi legge, ha una connotazione di incertezza! Affinchè ci sia coerenza tra ciò che diciamo e sentiamo, ognuno di noi deve voler scegliere di inventare la propria vita e non solo e meramente scoprirsela.
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Messaggio  Muttley Lun 21 Ott - 11:07

Quannu a conversaziona è fatta ari curini di muntagni duve manca laria è difficila ma si continua quannu manca lossiggenu o no?chuckle 
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Messaggio  Il Ruminante Sab 30 Nov - 11:08

"E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che proietta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?" [Il fu Mattia Pascal, cap. XIII]

Si posta, se non altro, avendo vivida una cosciente e futile illusione di fermare il tempo; in questo modo, leggendo e rileggendo una ben nota, semplice e "fu" riflessione.
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Messaggio  Admin Sab 30 Nov - 16:48

Compare Rumy, grazie per avermi fatto ruminare un po'...Comunque io devo amaramente constatare che la mia memoria deve aver raggiunto una fase calante.  Ho letto Il Fu Mattia Pascal troppo tempo fa' per ricordare chi era il signor Anselmo, pensa che non posso trovare piu' il libro per andare a vedere, piu' tardi ci provero' con l'aiuto della rete.
Del libro ricordo solo che il protagonista, volendo rifarsi una vita, aveva organizzato la sua falsa dipartita con funerale e tutto per poi scomparire dai luoghi natii e girovagare in cerca di una vita migliore di quella di prima.
La sua illusione di fermare il tempo praticamente consisteva nell'averlo fatto fermare al suo primo "io", per poi cercare di riappropriarsene sono mentite spoglie altrove, solo che il tempo non si ferma per nessuno, si puo' solo cercare di gabbarlo facendo le cose che si ritengono "opportune" in quel determinato momento, ma rimarranno opportune per sempre?

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Messaggio  Il Ruminante Sab 30 Nov - 21:12

Cumpari Adm constato che, nonostante il tuo appannamento mnemonico, hai ruminato bene...Comunque, il mio intento era quello di esternare, condividendola con il forum, una sorte di teoria "filosofica", quindi riflessiva, diciamo pure ruminante che ho, questa volta si, messo meglio a fuoco, rileggendo, dopo circa 25 anni, il romanzo : quella della cosiddetta "lanterninosofia". In pratica, l'architrave di come opera l'illusione nella trama de "Il fu Mattia Pascal". Un fenomeno che vede l'uomo guardare se stesso e non il reale circostante e ha, contrariamente ai vegetali, il sentimento del "sentirsi vivere". L'uomo, in altre parole, vive nell'universo, ma non se ne rende conto perché guarda tutto attraverso il lanternino.
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Messaggio  Admin Mar 25 Feb - 21:10


Condivido queste immagini della Barbagia del maestro De Seta; potrebbero benissimo essere riprese fatte nei nostri paesi calabri, le similitudini sono parecchie.

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Messaggio  Il Ruminante Mer 26 Feb - 0:55

Alla fine di quell'anno vedevo la luce...Oggi, stressato internauto e possessore di smartphone, ho il mondo a portata di polpastrelli, ma ritornerei volentieri a quella semplicità cadenzata di un quotidiano spensierato fatta di giochi all'aria aperta, di pane infornato, di momenti di solidarietà di focolaio, di clacson e purmina che rivaleggia con i rintocchi du campanila e, soprattutto, di quella sensazione che, ricevuto un tozzo di pane, un giocattolo come regalo, ci si sentiva "pieni", "sazi" e non si conosceva quel "vuoto", smanioso e omnivoro che oggi, nonostante le "abbuffate" di miriadi di "surrogati" tecnologici dell'ultimo grido, non si riesce, appunto, a surrogare, a saziare.
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Messaggio  Admin Mer 26 Feb - 17:55

Ciao Rumy, confesso che anch'io, all'udire il clacson del pulman ed allo scampanio, sono stato catapultato indietro nel tempo.  Anche le altre immagini del grande De Seta hanno avuto su di me il potere dell'evocazione.  Non e' pero' nostalgia, almeno nel mio caso, solo un'amara constatazione del tempo che scorre forse troppo velocemente e cancella cose troppo essenziali per l'uomo.  Oggi siamo assaliti da troppe distrazioni inutili ed ognuno si isola, perso nel proprio mondo virtuale.

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Messaggio  007 Mer 26 Feb - 18:29

Bellissimo video , se fosse stato girato in Calabria sarebbe stato il massimo, anche se a dire il vero l'ambiente sardo e' simile al nostro .
Che dire, ti riporta indietro di molti anni, e' rispecchia l'allora realta' in un modo icredibile , il suono du "postala" , i bambini che giocano spensierati in mezzo alle strade polverose , l'ambiente domestico con in centro u "focularu" ecc...sono momenti da noi vissuti e mai dimenticati , nostalgia per moltissime cose , ora viviamo in un mondo ultra tecnologico ma privo di tanti valori che solo quel tempo di poteva dare.
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Messaggio  Pepè Lamanna Gio 27 Feb - 20:22

Anche a me, Adm, questo video mi ha procurato una sensazione di je ne sais quoi, ovvero, una sensazione di "conto alla rovescia" che pervade il mio presente...che sempre più irrequieto  fa di me una persona a cui piace "sostare" nel mio passato...che sempre più si allunga e, quindi, mi costringe ad "aggredire" il mio futuro...che sempre più si accorcia!
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Messaggio  Admin Sab 5 Apr - 22:40



...saro' il fremito dei tuoi alberi, il murmure della tua onda, il sibilo dei tuoi uragani, il profumo delle tue siepi, la luce del tuo cielo.

(Leonida Repaci)

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